Corriere della Sera, 8 dicembre 2023
La verità sui sondaggi
Ogni volta che esce un sondaggio su qualche provvedimento o comportamento del governo, dalla spesa sanitaria alle fermate del pendolare Lollobrigida, i pareri negativi prevalgono su quelli positivi. Ma appena si passa al cartello delle intenzioni di voto, i partiti della maggioranza non perdono un consenso che è uno, al massimo se li palleggiano tra loro, mentre le opposizioni sembrano sbriciolarsi un pezzo alla volta, come se avessero le urne bucate: nelle ultime due settimane i Cinquestelle sono calati di un punto, i centristi di Calenda, nel loro piccolo, dello 0,2, e il Pd è sceso ai minimi dell’era Schlein, avvicinandosi allo strapiombo del 19 per cento.
Pare di capire che molti italiani non siano soddisfattissimi del governo di destra, ma che lo sarebbero ancora di meno se al suo posto ne arrivasse uno di sinistra. È la prima volta da tempo immemore che stare all’opposizione non premia nei sondaggi, la cui funzione è proprio quella di dare voce ai mal di pancia procurati da chi comanda. Semplificando, delle due l’una: o maga Meloni è davvero riuscita a farci credere che lei si trova ancora in esilio a Colle Oppio mentre a Palazzo Chigi impazza Che Guevara; oppure l’unico modo per convincere un elettore non di sinistra a votare dall’altra parte consiste nel proporgli un leader di sinistra che non sia di sinistra – uno come Renzi, insomma – che però in quanto tale verrà quasi subito rigettato dagli elettori di sinistra. Al confronto, il cubo di Rubik è una bazzecola.