la Repubblica, 7 dicembre 2023
Bisogna tradire per fare la pace
Una casa di pietra in vicolo Rav Albaz, a Gerusalemme ovest, con il tetto spiovente di tegole, la pergola e un vecchio fico. Ci abitano Shemuel, studente di materie umanistiche, Wald, professore disabile e coltissimo, e la misteriosa Atalia, sua ex nuora e ora giovane vedova. I tre hanno alle spalle storie diverse, ma passano molte ore al giorno a parlare, bevendo litri di tè; e sia che parlino di politica, religione o letteratura, le loro discussioni ruotano tutte, immancabilmente, attorno a un unico tema: quello del tradimento.
C’è anzitutto il tradimento personale di Shemuel, che ha abbandonato i suoi genitori ad Haifa per farsi adottare dalla nuova famiglia gerosolimitana composta da Atalia e da Wald. E poi c’è il tradimento politico del padre di Atalia, leader sionista ormai scomparso, nei riguardi di Ben Gurion e dello Stato ebraico nato nel 1948. Ma al centro delle loro conversazioni c’è specialmente il tradimento di Giuda, e quella questione di ordine religioso irrisolta, su cui Shemuel stava scrivendo la tesi di dottorato prima di lasciare gli studi.
È ambientato nell’inverno 1959-60 questo romanzo di Amos Oz – Giuda nella versione italiana –, ma potrebbe essere benissimo una storia dei nostri giorni. Perché il tema è di quelli eterni e universali, il tema del tradimento appunto, o meglio il tema di chi a torto viene considerato dai suoi come un traditore: perché ha il coraggio di cambiare quando gli altri non cambiano, o perché non ha paura di sembrare un codardo quando tutti gli altri giocano a fare i patrioti e gli eroi.
Amos Oz indaga sulla figura di Giuda Iscariota secondo le tradizioni ebraica e cristiana. E spiega di non credere ai Vangeli canonici perché per lui certi passaggi non sono logici: anzitutto trenta denari non sono nulla per uno ricco come Giuda: perché tradisce per così poco? E poi non regge neanche la storia del bacio: Gesù era conosciuto a Gerusalemme, e non serviva certo il bacio di Giuda per indicare alle guardie che era lui la persona da arrestare.
Per Oz insomma hanno più senso i Vangeli gnostici, per i quali Giuda era l’apostolo che più voleva bene a Gesù, quello che più lo capiva. Se lo tradì lo fece perché era convinto che il Figlio di Dio non potesse essere ucciso da una semplice crocefissione. O perché quel tradimento non era altro che l’esecuzione di un ordine impartito dallo stesso Gesù, necessario a portare a termine il suo disegno. Giuda dunque tradisce a fin di bene, tradisce per amore, tradisce perché potesse inverarsi un progetto molto più grande di lui.
È impressionante come questo romanzo riesca a catapultarci nell’attualità politica mediorientale, nella guerra tra Israele e Hamas. Il messaggio di Amos Oz è chiaro, inequivocabile: ci vorrebbe un Giuda per portare la pace tra israeliani e palestinesi quando la guerra a Gaza sarà conclusa; ma un Giuda diverso da quello cui pensiamo di solito, un Giuda storicizzato, un Giuda liberato dal mito del tradimento e riconsegnato a pieno titolo alla Storia.
In concomitanza con l’uscita diGiuda, nel 2014, Amos Oz rilasciò varie interviste sul tema del tradimento, proprio mentre per l’intransigenza delle due parti, falliva l’ennesimo tentativo americano di rilanciare la trattativa. D’altra parte la questione toccava lo scrittore direttamente: lui stesso, in quanto sostenitore dei “due Stati” fin dal 1967, non era altro che un traditore agli occhi dei falchi della destra israeliana.
«Orgoglioso di essere considerato un traditore, sono in ottima compagnia» ripeteva Amos Oz ai giornalisti. E poi faceva la lista dei grandi statisti del passato accusati a vario titolo dalla propria gente di aver tradito la causa nazionale: Churchill che aveva smembrato l’impero britannico, de Gaulle che si era ritirato dal Nord Africa, Gorbaciov che aveva provocato la disgregazione dell’Unione Sovietica...
Anche in Medio Oriente, secondo Oz, c’erano “traditori” cui bisognerebbe ispirarsi, da una parte e dall’altra: Ben Gurion che aveva accettato il piano di partizione dell’ONU, Begin che si era ritirato dal Sinai, Rabin che aveva firmato gli accordi di Oslo... Ma anche Sadat che era andato a trattare a Gerusalemme, o Arafat che si era rimangiato la distruzione di Israele sancita dall’OLP firmando gli accordi di Oslo... Tutti costoro, dai propri cittadini, vennero paragonati a dei Giuda, quando in realtà avevano scelto soltanto la via della pace. «Quando la gente tornerà a dare del traditore ai propri leader – diceva Oz – allora vorrà dire che la pace è vicina». Il che come sappiamo non è avvenuto, né da parte israeliana né da quella palestinese, dal momento che l’intransigenza ha continuato negli anni a tener banco da ambo le parti e che le due leadership, per evitare un rilancio del negoziato, si sono in un modo o nell’altro attenute al solito “all or nothing”, con le conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti. Israeliani e palestinesi, da Oslo in poi, hanno dunque evitato qualsiasi mossa che somigliasse a un compromesso, perché si sa che un compromesso è roba da traditori, specie in Medio Oriente... Come se i compromessi non fossero invece dei segnali di forza, il marchio di fabbrica della leadership, e come se gli statisti destinati a finire nei libri di storia, non fossero quelli capaci di dare alla propria gente pace, sicurezza e benessere, invece di mandarla a morire per niente.
I diplomatici dicono “land for peace”, la pace per la terra. Ed è il principio alla base di ogni accordo mediorientale che sin qui ha funzionato, cui si ispira anche la soluzione “due Stati” tra israeliani e palestinesi. Per arrivarci ci vuole una cosa sola, la volontà politica. Il che significa anche un leader disposto a tradire la nazione per un disegno più alto, capace di sacrificare il bene più caro – un pezzo di terra – per un bene più grande, la pace tra i due popoli.
Se dopo il cessate-il-fuoco, la liberazione degli ostaggi e una soluzione per il futuro di Gaza si vorrà far ripartire un’iniziativa di pace israelo-palestinese, il Giuda dei Vangeli storicizzato dalla penna di Amos Oz sta sempre lì, a indicare la via.
Il 28 dicembre prossimo ricorre il quinto anniversario della scomparsa del grande scrittore israeliano. Sarebbe bello se per quella data, tra Ramallah e Gerusalemme, qualcuno ricominciasse finalmente a tradire.