Corriere della Sera, 7 dicembre 2023
Svolta francese: si torna a bocciare
È nella scuola media pubblica intitolata al grande antimoderno cattolico Charles Péguy, nato nel 1873 in modesta famiglia contadina e diventato normalista e scrittore, che il ministro dell’Istruzione Gabriel Attal, famiglia agiata e scuole sempre private, ha annunciato l’«elettrochoc», il «prima e dopo», insomma la rivoluzione nella scuola francese.
Fine dell’egalitarismo post-sessantottino, dello sforzo di apprendimento collettivo e della concertazione con allievi e genitori: si torna a bocciare e per decisione insindacabile degli insegnanti, le classi vengono divise in tre gruppi a seconda del livello degli allievi (i bravi con i bravi, e così via), l’esame finale delle medie, il brevet, passa da formalità a condizione necessaria e severa per accedere al liceo.
«Il tasso di successo al brevet e al baccalauréat (la nostra maturità, ndr) diminuirà nei prossimi anni», dice Attal. «Ne sono consapevole e lo accetto. È il prezzo che dobbiamo pagare per aumentare il livello dei nostri alunni».
La riforma era pronta da tempo ma è stata opportunamente lanciata poche ore dopo che l’Ocse ha diffuso il suo rapporto «Pisa» sulle competenze dei quindicenni di 81 Paesi, in matematica, comprensione del testo e scienze: i ragazzi francesi offrono risultati desolanti, arrivano al 23° posto e sono protagonisti di un peggioramento che non ha eguali negli oltre vent’anni di esistenza del «Pisa». Inoltre, secondo il rapporto, la Francia rimane «uno dei Paesi dell’Ocse in cui è più forte il legame tra lo status socioeconomico degli studenti e risultati scolastici».
In sostanza l’ascensore sociale comincia a bloccarsi a scuola, e il ministro Attal è determinato a farlo ripartire a colpi di rigore e valorizzazione dell’eccellenza, contro quel «livellamento verso il basso» denunciato per anni dagli intellettuali alla Alain Finkielkraut, grande ammiratore di Péguy, che ha sempre giudicato il declino della un tempo gloriosa «Scuola della Repubblica» come la prima e la più profonda causa del declino dell’intero Paese.
«La scuola di oggi produce troppi fallimenti e pochi successi», dice Attal. «Lasciare alunni di livello diverso nella stessa classe condanna alcuni alla stagnazione e impedisce agli altri di prendere il volo». Quindi, bocciature più frequenti perché «è meglio colmare le lacune che trascinarsele fino alla fine», ed ecco all’interno di ogni classe i tre gruppi formati con un «test di posizionamento» iniziale. Poi, nel corso dell’anno, gli allievi potranno salire o scendere di gruppo, «l’obiettivo non è mortificare ma incoraggiare a studiare e a migliorare».
Attal, 34 anni, è il più giovane ministro del governo e della Quinta Repubblica e viene considerato un possibile nuovo Macron, pronto a candidarsi nel 2027 quando l’attuale presidente non potrà ripresentarsi.
Da quando nel luglio scorso ha ricevuto la responsabilità dell’Istruzione, Attal moltiplica gli annunci: contro l’abaya (la tunica islamica) e a favore dell’uniforme, contro il bullismo e adesso contro il lassismo nell’insegnamento. Forti perplessità a sinistra: «Con la divisione in gruppi avremo allievi in cantina, allievi al piano terra e allievi al primo piano», dice uno dei predecessori all’Istruzione, il socialista Benoît Hamon. «E chi parte in cantina finirà per restarci. Il sistema è già ultra-elitario, così rinunciamo al dovere di aiutare tutti».
Entusiasmo a destra, appena contenuto perché il centrista Attal è pur sempre un avversario politico: «Bene», dice il repubblicano David Lisnard, «e adesso andiamo ancora più lontano su questa strada dopo quarant’anni di logica egualitaria e di politiche educative neomarxiste».
Con questa riforma della scuola il ministro Attal asseconda la richiesta di autorità che, secondo tanti sondaggi, sale ormai da tempo dalla società francese. Dalla sua scommessa dipende il futuro di sei milioni di studenti dalle medie al liceo, e anche il destino delle sue alte ambizioni politiche.