La Stampa, 7 dicembre 2023
L’altro Conan Doyle
Immaginatelo davanti al fuoco nella casa di Norwood, un sobrio edificio di mattoni rossi e legno bianco a sud di Londra. Arthur Conan Doyle posa la copia di Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen che sta leggendo e scrive una lettera alla madre. «Tutto va bene da queste parti – confessa –. Sono nel mezzo dell’ultima storia di Holmes in cui il gentiluomo scomparirà per non fare più ritorno: mi infastidisce anche il solo sentirlo nominare!».
È il 6 aprile 1893 e la condanna a morte del grande detective è pronunciata. In dicembre uscirà Il problema finale, il racconto nel quale l’investigatore cade nelle cascate Reichenbach a Meiringen, in Svizzera, in un abbraccio apparentemente mortale col suo più temibile nemico, il professor Moriarty. «Ero lieto della libertà acquistata – rivelerà nella sua autobiografia –: si aprivano nuovi campi per la mia capacità di immaginare».
Erano due anni che ci pensava. «Tiene la mia mente lontana da cose migliori», si era lamentato con la madre nell’autunno del ’91. Poi si era deciso e aveva ucciso Sherlock Holmes, sordo alla pressione del suo editore che paventava il peggio e, in effetti, si vide cancellare a stretto giro ventimila abbonamenti allo Strand magazine, il mensile che pubblicava le avventure narrate dal Dottor Watson. Ci furono proteste e lamentele anche a Buckingham Palace, ma il trentaquattrenne Doyle, scozzese di Edimburgo, non accolse ragioni, salvo poi ripensarci al voltar del secolo per regalarci una delle storie più belle di cappa e pipa, Il cane dei Baskerville.
Sir Arthur, dottore convertito alla scrittura, amava il romanzo storico, forma di letteratura che considerava “alta”. Le annotazioni autografe su una copia della biografia di Walter Scott conservata in una collezione privata nella capitale scozzese rivelano la meticolosa passione con cui aveva studiato le opere e la vita dell’autore di Ivanhoe. Il lungo epistolario con Robert Louis Stevenson, che non conobbe mai di persona, certificano l’affetto per il concittadino che aveva inscenato il dramma di Jekyll e Hyde.
Ora che un documentario della Bcc riaccende l’interesse per l’omicidio di Sherlock Holmes ad opera del suo creatore, l’attenzione scivola sulle “cose migliori” a cui voleva concedersi: gli altri romanzi, i saggi e racconti con cui il prolifico autore ha deliziato i lettori sino alla morte avvenuta nel 1930. La classifica parte dal ciclo napoleonico che Doyle reputava il suo prodotto di maggiore qualità. Il resto lo si può immaginare. Il grande gioco, per gli sherlockiani, è sempre li che aspetta.
1.
Il ciclo del brigadiere Gerard.
Doyle ne era orgoglioso, anche se le vendite risultarono alla fine inferiori alle aspettative. Tra dicembre 1894 e settembre 1910 sfornò 17 racconti e un romanzo (
Lo zio Bernac
) basati sull’epopea di un brillante ufficiale napoleonico che segue l’imperatore sino a Waterloo. La penna è lieve, le trame sono ispirate dal miglior Scott e dalle vicende reali del generale Marbot.
2.
Professor Challenger.
Ecco il vero anti Sherlock Holmes, George E. Challenger, professore geniale, eccentrico e simpatico. Doyle pubblica
Il mondo perduto
nel 1912, ed è un successo duraturo alla Jules Verne che si tradurrà in numerosi blockbuster cinematografici. Se non si considerano le avventure di Baker Street, è il più amato da critica e lettori. Doyle arriverà a farsi fotografare truccato da Challenger, confermando il debole per l’ironia e il teatro. Da leggere anche
La nube avvelenata
e
La terra delle nebbie
.
3.
The white company.
Doyle amava
La compagnia bianca
, diffuso nel 1891. La mise in bella evidenza nel celebre disegno in cui esemplificò le principali vicende della sua vita. Siamo in puro stile Scott, cappa, spada e cavalieri. Romanzo storico classico. Per grandi e piccini. In caso di gradimento, provare
Sir Nigel
4.
La tragedia del Korosko.
Un gruppo di turisti impegnati in una crociera lungo il Nilo viene sequestrato dai ribelli. Doyle se l’immagina durante un soggiorno nella terra dei faraoni e lo dà alle stampe nel 1897. Ottimo libro, di grande modernità che sboccia all’alba dello scontro fra le civiltà.
5.
La paura in breve.
Racconti del mistero e del terrore
arriva in libreria nel 1922 e mette insieme una serie di titoli usciti in precedenza. Alle prese con trame più brevi, lo scrittore scozzese emerge come mente brillante e gravida di idee. Scriverà decine di storie, tutte intrise di sapore sherlockiano ma deliziosamente diverse.
6.
La grande guerra boera.
Doyle passò la prima parte del 1900 come dottore volontario in Sudafrica, dove gli inglesi erano alle prese coi boeri. Il risultato fu
The great boer war
, un saggio accurato sul conflitto e le sue cause, più volte ristampato dall’autunno del ‘900. Fu il libro che gli valse il titolo di baronetto facendolo diventare Sir Arthur.
7.
Il dramma del Congo.
Un lavoro serissimo,
The crime of the Congo
è uno dei primi a puntare il dito contro il colonialismo criminale della corona belga in Congo. «Non saremmo figli dei nostri padri» se non prendessimo una posizione e reagissimo di conseguenza, scrive nella prefazione. Una denuncia coraggiosa, più avanti dei suoi tempi. Da riscoprire.
8.
La lanterna rossa.
È quella che i medici britannici erano soliti esporre davanti ai loro gabinetti. Doyle raccoglie in
Round the red lamp
i quindici racconti (poi elevati a diciassette) dedotti dall’esperienza di dottore. È una scrittura sincera, a tratti intima, nuovamente ispirata, sebbene a distanza siderale dallo scoppiettio di Holmes o Challenger.
9.
La Prima guerra mondiale.
Sognava una grande opera da saggista. Fra il 1916 e il 1920 mise insieme i sei volumi di
The british campaign in France and Flanders
curati con la passione di consumato cronista e costruiti in larga parte sull’esperienza di inviato al fronte (anche in Italia). Allo scoppio della guerra avrebbe voluto arruolarsi, ma fu giudicato troppo vecchio. Decise di combattere come narratore della terribile tragedia in cui perse – col contributo della pandemia spagnola – il cognato, il figlio e il fratello.
10.
Rodney Stone.
Amante dello sport e dell’innovazione, Sir Arthur promosse lo sci alpino e fu fra i primi a guidare l’automobile. Adorava la boxe che immortalò in
Rodney Stone
, uscito sullo Strand a partire dal gennaio 1896. Non è la sua opera migliore, ma certo una delle più vicine al suo cuore. Doyle era attento alle questioni sociali. Dopo le olimpiadi di Londra del 1908, difese con vigore i diritti dell’italiano Dorando Pietri, a cui era stata tolta la medaglia d’oro della maratona con una decisione che ancora oggi fa discutere. Era un sopruso che non poteva accettare.
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