il Fatto Quotidiano, 5 dicembre 2023
Biografia di John Steinbeck
Anticipiamo stralci di “John Steinbeck. Voce inquieta del sogno americano”, la prima biografia italiana del Nobel americano edita da Ares.
Un pomeriggio di tardo autunno una limousine nera si ferma davanti a casa Steinbeck, l’autista scende e apre la portiera a un uomo piccolo di statura, elegante e con una folta capigliatura di neri capelli ricci. L’uomo saluta lo scrittore e si presenta con semplicità: “Sono Charlie Chaplin”.
John Steinbeck fatica a riprendersi dallo stupore, all’epoca Chaplin era tra i pochi attori famosi in tutto il mondo. Il cineasta britannico ha letto e profondamente apprezzato le opere di Steinbeck e, in vacanza sulla costa della California, ha deciso di conoscere di persona lo scrittore e i luoghi di cui scrive. Nei successivi due anni, Chaplin e Steinbeck si incontrano diverse volte. Gli abitanti di Los Gatos, che non hanno mai visto gli Steinbeck troppo di buon occhio per il loro stile di vita e i loro amici piuttosto bohémien, rimangono impressionati nel vedere Charlie Chaplin passeggiare e chiacchierare amabilmente con John, quasi in confidenza, e ancor di più lo sono quando notano che anche Spencer Tracy lo frequenta…
Gli Steinbeck accolgono con piacere la visita di Charlie Chaplin che li raggiunge in un momento di calma prima di girare il film Il Dittatore. Chiacchierando, Chaplin accenna a Steinbeck la possibilità di tradurre la sceneggiatura del film in un romanzo e John ne è entusiasta. Da alcune allusioni nelle lettere sembra che nel discutere su come elaborare il copione John abbia annotato suggerimenti e apportato qualche modifica al discorso cruciale che Chaplin in veste di dittatore tiene nel film. Poi, però, il progetto si arena…
Il mondo del cinema ha sempre attirato Steinbeck: le potenzialità del nuovo strumento espressivo lo incuriosiscono, perciò decide di partecipare in prima persona al lavoro di revisione delle sceneggiature per i film tratti dai suoi Uomini e topi e Furore. Incontra John Ford, che sta dirigendo i lavori di Furore e che gli assicura che sta girando nel pieno rispetto dello spirito del romanzo. Quando John vedrà il film, riconoscerà il grande lavoro compiuto dal regista…
Negli anni Cinquanta, dopo la Spagna, che lo incuriosisce perché gli ricorda il Messico ma su piccola scala, John e la nuova moglie Elaine attraversano l’Italia e visitano Genova, Milano, Firenze, Venezia e Roma. Nella Città eterna, per caso, risiedono nello stesso hotel dove è ospitato proprio in quei giorni il generale statunitense Matthew Ridgway, la cui visita ufficiale ha sollevato proteste e contestazioni.
L’Unità aveva già in precedenza polemizzato contro la presunta politica guerrafondaia americana e contro il generale in particolare, comandante delle truppe alleate nella guerra in Corea fino alla recente nomina a comandante in capo della Nato, così la presenza degli Steinbeck nel medesimo albergo non passa inosservata e viene mal interpretata. Il 15 giugno 1952, Ezio Taddei firma sul giornale comunista un tagliente articolo dal titolo Lettera aperta a John Steinbeck in cui denuncia le atrocità e i soprusi che l’esercito americano ha compiuto in Italia durante la Seconda guerra mondiale e starebbe ora perpetrando contro i civili coreani, ne attribuisce al generale la responsabilità e in conclusione si rivolge all’autore di Furore chiedendogli di alzare di nuovo la voce in difesa dei poveri e degli oppressi, come aveva fatto in passato. Sulla pagina del giornale accanto all’articolo di Taddei campeggia la recensione del film Furore appena arrivato nelle sale italiane. Il film è descritto come un capolavoro, una riuscita denuncia delle logiche capitalistiche e delle scelte politiche americane, ma il tono della recensione e l’accostamento rendono palese l’accusa allo scrittore statunitense di aver cambiato intenti.
Memore delle critiche in patria, Steinbeck sembra più divertito che preoccupato e vorrebbe lasciar perdere, ma gli amici lo convincono del contrario. Con l’aiuto dell’ambasciata americana e di altri giornalisti, tanto che Elaine descrive la loro stanza in quei tre giorni come un “gabinetto di guerra”, John prepara una precisa risposta di circa tre colonne. Con fredda cortesia il direttore del giornale cerca di negoziare su cosa e quanto pubblicare del testo che ha ricevuto, ma Steinbeck è irremovibile: o il suo intervento apparirà integralmente, oppure troverà altre testate interessate, e sa che ce ne sono diverse. Il direttore accetta, ma lo scritto che John legge sul quotidiano il giorno successivo non è quello che aveva inviato, perché date e riferimenti sono stati tagliati e i paragrafi riassemblati così che il testo non ha più alcun senso. Il giorno dopo l’articolo di Steinbeck appare nella versione integrale su Il Tempo. Caso chiuso, John ed Elaine si negano ai giornalisti e riprendono l’attività preferita di “chieseggiare e anticheggiare”.