La Stampa, 4 dicembre 2023
Intervista a Mario Roggero
Per dirla con le sue parole, la questione è semplice: «Più che la condanna, mi pesa il fatto che la giustizia non sia stata dalla mia parte. Diciassette anni mi hanno dato. E certo che è una condanna pesante. Ma lo sa perché mi hanno dato 17 anni?».
Perché ha ammazzato due persone.
«Perché i giudici non hanno voluto ascoltare le mie ragioni fino in fondo. Ed è questo ciò che più mi pesa. Complimenti ai magistrati». Dopo la sentenza, si è sfogato: «È una follia, viva la delinquenza, viva la criminalità».
Apre il cancello alle 17. E già nevischia sulle colline del barolo. Lui, Mario Roggero, 69 anni, il gioielliere di Grinzane Cavour, “il pistolero” come l’hanno chiamato subito dopo quella brutta rapina finita nel sangue, due anni fa, è provato da tutto quel che è accaduto, ma – dice – «Non sono vinto». Motivo? «Su queste colline sono nato e cresciuto. Quel che ho me lo sono sudato lavorando, sempre. E quel giorno quei delinquenti sono venuti da me, con violenza e con le armi in mano, per portarmi via tutto un’altra volta. Poi hanno detto che le armi erano finte. Ma si sono dimenticati di dire che la loro violenza era vera. E io quel giorno mi sono difeso».
E ha sparato, uccidendo. Per quello l’hanno condannata. Non crede?
«Guardi, io e i miei consulenti avevamo preparato una ricostruzione che non hanno voluto mettere agli atti. Si vede nettamente tutto ciò che è accaduto. Abbiamo fatto un lavorone. Ricostruito ogni istante. Messo insieme gli elementi anche nei punti dove la telecamera non riprendeva. Ma mi hanno detto che era troppo tardi per produrlo. Questa non è giustizia».
Non mi dica che sperava in una assoluzione?
«Guardi mi aspettavo una riduzione a 7 o 8 anni. Ne ero convinto, fino a stamattina quando hanno letto il dispositivo. Io so di aver agito in stato di necessità. Per quello ero tranquillo. Non solo un delinquente».
E anche sua moglie, aveva le sue stesse convinzioni granitiche?
«No, guardi, lei l’altra notte non ha nemmeno dormito. Non era serena. Ma sa, dopo quella rapina tutto è cambiato. È stato trauma su tutta la linea».
In che senso tutto è cambiato?
«Mia moglie non vuole più venire in negozio. Mia figlia Paola, quella che era astata picchiata durante il colpo del 2015 ha aperto un bed&breakfast da un’altra parte. L’altra mia figlia se può evita. E io sono rimasto solo in gioielleria. E l’età avanza. Ho 69 anni, non so fino quando proseguirò con la mia attività».
La gente del posto come la tratta?
«Stanno tutti dalla mia parte. Beh, qualcuno che non sta con me c’è. Ma sono pochi».
E che cosa le dicono?
«Mi dicono che sono un fascista. Ma io non lo sono. Io voglio la giustizia, il rigore, la certezza della pena. Chi delinque deve essere punito in modo esemplare».
Quindi politicamente dove sta?
«Da come parlo credo che lo abbia capito che non sono di Rifondazione comunista. Sto più in là, anzi più spostato ancora...».
Lo sa che Salvini e la Lega si sono schierati subito al suo fianco dopo la sentenza di condanna pronunciata ad Asti?
«Me lo hanno detto».
E Salvini oggi lo ha sentito?
«Non ancora, ma spero di parlargli presto. Lui sostiene la legittima difesa, e io quel giorno mi sono soltanto difeso da tre rapinatori che volevano portarmi via tutte le mie cose».
È contento di questa solidarietà?
«Certo. Ma sono deluso da Meloni, che non ha detto nulla su questa ingiustizia che ho subito. Ah, ma Salvini e gli altri invece voglio proprio sentirli per chiedergli, ragazzi: adesso che cosa facciamo?».
In che senso?
«Lo sa che io ho già pagato 300 mila euro alle famiglie di quei delinquenti? E poi ho pagato anche l’avvocato. E non sono pochi soldi. E poi, in aula, alla lettura della sentenza davanti ai parenti dei rapinatori devo sentire quella gente applaudire? Io mi sono girato e li ho guardati così, sorridendo. Lo sa che mi hanno insolentito? Mi dicevano “Che cazzo ridi?"».
Lei proprio non si tiene, eh.
«E come potrei? C’era anche la mamma di uno di quelli, venuta ad ascoltare il processo per il figlio morto sul lavoro. Ma dai…».
Dicono che un partito, dopo quel che accaduto nel 2021, le avesse proposto una candidatura. È vero?
«Si mi avevano detto che c’era un posto per me. Chi? Non glielo dico e non mi viene neanche in mente il nome: erano quelli che nel simbolo avevano una tartaruga. E comunque il loro programma era buono. Si parlava di sicurezza. Di tutti questi arrivi. Di giustizia».
Se glielo chiedessero adesso?
«Non so se lo farei: ho altre cose in testa».
Torniamo a quella mattina della rapina. Si è pentito di aver sparato?
«Quel che è accaduto è accaduto. In quei momenti lì le cose vanno devono andare, io avevo la pistola puntata qui, in faccia. E loro contavano: cinque, quattro tre… Credevo di morire».
Lei, però, ha sparato con una pistola vera…
«Ma io non sono un amante delle armi. La pistola la avevo perché era di mio nonno».
E non l’aveva mai usata prima?
«Mai. Soltanto mio nonno aveva sparato con quell’arma. A chi? A un ladro che era entrato in cortile per rubare la Bmw. Io mai, e da quel giorno non ho più armi. Me le hanno prese tutte. Senza neanche starmi ad ascoltare».
Ma lei crede nella giustizia?
«Una giustizia così fa schifo. È vomitevole».
Quindi non ha più fiducia?
«Guardi, tutto dipende sotto chi capiti. È sempre un terno al lotto. Ah, ma io non mi fermo eh».
E che cosa vuole fare?
«Voglio dire che adesso intendo contattare Roberto Vannacci. Dice cose su cui sono completamente d’accordo: qui c’è tutto che va all’incontrario. E poi voglio chiamare il procuratore Nicola Gratteri: è uno con le palle. Sta dalla parte della gente per bene».
Quante rapine ha subito?
«Due. Una nel 2015, che hanno massacrato mia figlia. Quella del 2021, e poi mi hanno fatto delle spaccate in casa. Sa, in questa zona, sono tanti nelle miste stese condizioni. Così non si può andare avanti».
Ha avuto paura dopo aver ammazzato i due rapinatori?
«Mi sono guardato molto attorno. Ma non mi hanno mai minacciato. Ho soltanto ricevuto una lettera in cui c’era una specie di fattura con frasi sconnesse contro di me. Poi più nulla».
Dove va adesso?
«In negozio. Mi aspetta una troupe per un’intervista».
Che cosa dirà?
«Che la giustizia dipende essenzialmente da chi incontri sulla tua strada. Soltanto quello. Se non ti ascoltano quando spieghi le tue ragioni, mi dica lei che giustizia è?».
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