Il Messaggero, 4 dicembre 2023
Intervista al nipote di Wiilde
Molti conoscono Oscar Wilde, hanno letto Il ritratto di Dorian Gray o hanno visto a teatro L’importanza di chiamarsi Ernesto. Ma non tutti sanno che, dopo il processo per omosessualità e il conseguente scandalo, sua moglie Constance Lloyd e i figli, Vyvyan e Cyril – sì perché Wilde era sposato – furono costretti a lasciare l’Inghilterra e a vivere con una nuova identità. Via quel cognome troppo ingombrante: Holland era «un vecchio nome di famiglia» da parte di madre, e non avrebbe causato «equivoci e complicazioni». Essere figlio di Oscar Wilde (edito da La Lepre) è il memoir del secondogenito, Vyvyan, il racconto di una famiglia in fuga dal perbenismo vittoriano, di una giovinezza vissuta all’ombra di un esilio infamante. Tra scuole tedesche in cui vigevano punizioni corporali, città liguri in cui Constance si nascondeva con gli amici, e una sorta di vergogna perenne e ingiusta, sempre presente sullo sfondo.
Merlin Holland ha oggi 77 anni ed è il figlio di Vyvyan Holland. È quindi discendente in linea diretta del grande scrittore nato a Dublino nel 1854 e morto a soli 47 anni, a Parigi, nella desolazione più totale. Curatore del libro del padre e grande specialista dell’opera del nonno, Merlin sarà uno degli ospiti d’eccezione di Più libri più liberi, la fiera romana della piccola e media editoria, domenica 10 dicembre alla Nuvola dell’Eur (Sala Luna, ore 15,30). Holland risponde via zoom dalla Borgogna, dove vive, «tra Lione e Digione».
Perché non si è riappropriato del cognome Wilde?
«All’epoca, cambiarlo è stata una scelta necessaria, per mettersi al riparo dell’omofobia inglese. Quando ho compiuto i 21 anni, mio padre mi disse: “Tu sei mio figlio, e un Wilde. Se vuoi cambiare nome, forse è il momento di farlo”. Ma a me sembrava che sarebbe stato sbagliato, finché lui era in vita. Nel 2000, quando ho pubblicato l’edizione completa delle lettere di Oscar, ho pensato che forse era il momento giusto: un secolo era passato, e la legge per la quale era stato messo in prigione era stata cancellata nel 1967. Incidentalmente, due mesi prima della morte di mio padre. Ma poi mi sono detto: non ho il talento e il genio di mio nonno e non voglio lucrare sul suo nome. Posso farne a meno».
Suo padre prima provava vergogna per le sue origini, ma alla fine era molto orgoglioso di suo padre, vero?
«Sì, certo, era fiero dei risultati che suo padre aveva raggiunto, dal punto di vista letterario. Ma quando Rupert Hart-Davis curò tutte le lettere, si rese conto che mio padre aveva ancora molte resistenze nell’accettare l’omosessualità di Oscar Wilde. Ed era il 1960. Una sua buona amica, la scrittrice Rebecca West, gli disse che doveva lasciare pubblicare tutte le lettere. Fino a poco prima della sua morte, provava ancora disagio. Eppure, era amico di alcuni eminenti omosessuali, come Charles Kenneth Scott Moncrieff, traduttore di Proust. Era per suo padre, che provava disagio».
Oscar Wilde oggi non è mai stato così celebre e le sue frasi si trovano ovunque, anche sui social. Ce n’è una che le piace ricordare?
«Ce ne sono molte, ma una secondo me riassume il suo carattere e il modo in cui si relazionava con la società britannica del tempo. Mi fa ridere ma anche riflettere, ogni volta che la leggo: “La depravazione è un mito inventato dalla brave persone per descrivere la singolare attrattiva degli altri”. Credo che riassuma tutta la sua vita».
Lei è anche autore di saggi su Wilde. A cosa sta lavorando?
«C’è un libro che sta per uscire l’anno prossimo, in Inghilterra. Mi concentro sugli ultimi anni della sua vita, che per molti versi credo siano stati fraintesi. Il suo rapporto con la moglie è una cosa che molti biografi non hanno mai compreso completamente. Scrisse una lettera a mia nonna, quando uscì di prigione. Purtroppo, quella missiva, come molte altre destinate a Constance, è stata distrutta dopo la sua morte, e questo è molto triste. Ma lui mandò una lettera a suo fratello, e disse che era una delle più belle che avesse mai letto. Constance voleva andare nel Nord della Francia, dove Oscar si trovava, ma fu scoraggiata dalla sua famiglia. Lui voleva veramente rivedere lei e i suoi bambini. Provava un sincero sentimento paterno, nei confronti dei figli. Era un omosessuale sposato a una donna. Una persona piena di contraddizioni, complementari tra loro. Se si smonta il caleidoscopio, si distrugge la magia».
Cosa avrebbe scritto, se avesse potuto vivere più a lungo?
«Forse opere meno divertenti, ma più profonde. Stava pensando a un dramma su Jezabel, forse avrebbe fatto del teatro. Ma è tutta speculazione. Lui sapeva che non gli restava molto da vivere, e senza la vita di società, la sua creatività si era dissolta».