il Fatto Quotidiano, 4 dicembre 2023
Non ti traccio se mi paghi: così la privacy sarà solo per i ricchi
Meta, casa madre di Facebook e Instagram, ha pensato di introdurre un abbonamento a pagamento per gli utenti europei che non vogliano essere profilati mentre navigano sulle piattaforme social. Il più economico costa 10 euro al mese, 120 euro all’anno. Al massimo della spesa ipotizzabile per proteggersi, si superano i 251 euro. In alternativa si concede alla società di continuare a registrare preferenze e caratteristiche dei naviganti– età, sesso e posizione al minimo – per offrire agli inserzionisti la possibilità di proporre pubblicità targettizzata, quindi più efficace. L’iniquità è evidente eppure l’escamotage trovato da Meta nasce da un suggerimento contenuto proprio in una sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue che, nel dare ragione all’Antitrust tedesco contro l’uso dei dati sull’attività di navigazione dell’utente, ha espressamente riconosciuto come valida un’alternativa agli annunci “se necessario per una tariffa adeguata”. Questo dettaglio potrebbe complicare le cose e, soprattutto, potrebbe invogliare le altre piattaforme a inserire le stesse regole per allinearsi ed evitare le sempre più stringenti norme sulla privacy che l’Unione europea sta imponendo alle multinazionali tecnologiche.
La non profit in difesa dei diritti digitali Noyb, che sta per None of your business, ha deciso di presentare un reclamo all’autorità austriaca per la protezione dei dati (la Ong ha infatti sede a Vienna). Secondo le stime presentate e supportate da studi e sondaggi, solo tra il 3 e il 10 per cento degli utenti desidera essere monitorato eppure il 99 per cento decide di non pagare. Il calcolo di Noyb è elementare ma lampante: considerando che su un telefono medio sono installate decine applicazioni – il cui business si basa anche sui dati e il loro trattamento – mantenere il proprio telefono privato potrebbe arrivare a costare fino a 8.815 euro all’anno a persona.
La tesi di Noyb è che l’ok al tracciamento per continuare ad usare Facebook&c. gratuitamente non costituisca libero consenso. La normativa dell’Ue prevede infatti l’ok al tracciamento online e alla pubblicità personalizzata solo se “fornito liberamente”. La rinuncia alla privacy deve essere, in sostanza genuina e non vincolata. Negli ultimi anni, invece, si è sempre più diffusa questa sorta di “tassa sulla privacy” spesso anche a caro prezzo. È stata relegata in un dibattito marginale perché poco usata (per lo più dai giornali online) nonostante si siano susseguite sentenze e pareri dei Garanti Privacy, anche in Italia. Lentamente si è passati dal pensare che se “è gratis il prodotto sei tu” al “paga per non essere un prodotto tuo malgrado”. Eppure il “Pay or Okey” è comunemente considerato tutt’altro che libero consenso. Guido Scorza, del Garante Privacy, in un articolo pubblicato sul numero di Millennium del mese scorso ha spiegato che questo tipo di pratica genera una rinuncia plebiscitaria alla tutela dei propri dati e soprattutto scherma i social dai possibili ricorsi da parte degli utenti, quasi azzerandone il potere negoziale. “Quando il 3% delle persone vuole effettivamente nuotare, ma il 99,9% finisce in acqua, è evidente che non è stata una scelta libera – spiega Max Schrems, presidente della Noyb –. Non è né intelligente né legale: è semplicemente pietoso”.
Il costo è poi impressionante: l’abbonamento per Facebook, ad esempio, costa fino a 12,99 euro. Altri 8 euro per ogni account collegato. Un canone che Noyb reputa “sproporzionato” visto che secondo Meta le entrate medie per utente in Europa tra il terzo trimestre del 2022 e il terzo trimestre del 2023 sono state di 16,79 dollari, quindi soli € 62,88 per utente. Ben lontane dalle cifre illustrate a inizio di questo articolo.
Se poi si estende il calcolo al nucleo familiare, la protezione dei dati potrebbe costare fino a 35mila euro a famiglia all’anno nel momento in cui in Ue il 21,6% della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale. Secondo Google, infatti, in media ogni persona ha sul suo smartphone 35 applicazioni installate. “Se Meta riuscisse a difendere questo nuovo approccio, è probabile che si scatenerebbe un effetto domino”, spiega Schrems. Il timore è fondato: X (la ex Twitter) di Elon Musk lo ha fatto da mesi mentre TikTok, una delle applicazioni maggiormente sotto osservazione dalle autorità e soprattutto utilizzata da i più giovani (che hanno un minor potere di acquisto e minore disponibilità economica) sta testando un abbonamento senza pubblicità al di fuori degli Stati Uniti a 4,99 euro al mese. Insomma, “c’erano tempi in cui i diritti fondamentali erano riservati ai ricchi – conclude Schrems – Sembra che Meta voglia riportarci indietro di più di cento anni”. E potrebbe non essere sola.