la Repubblica, 4 dicembre 2023
La redenzione di Battisti
Per accelerare il riconoscimento di benefici penitenziari, di misure alternative al carcere, e permessi premio, il terrorista Cesare Battisti, condannato definitivamente all’ergastolo per quattro omicidi, ha avviato un progetto per chiedere di essere ammesso alla mediazione penale, che fa parte della giustizia riparativa.
Secondo l’iter di questo procedimento Battisti dovrebbe incontrare i familiari delle sue vittime, alla presenza di un mediatore, e intraprendere un percorso di “redenzione” alla fine del quale potrebbe ottenere anche misure alternative alla cella. I familiari delle vittime non sono obbligati a partecipare e quindi possono anche respingere la proposta di mediazione.
Per il terrorista, però, non cambierebbe quasi nulla, perché la sua linea di condotta “riparativa” che voleva intraprendere anche se non conclusa, farebbe “curriculum” durante la detenzione e di tutto ciò potrebbe tener conto il giudice di sorveglianza al quale verranno rivolte le richieste di permessi premi o altri benefici penitenziari.
Tutto ciò rientra nella nuova riforma Cartabia che prevede che siano i centri territoriali a svolgere i percorsi di Giustizia riparativa, richiesti dal detenuto e concordati con i responsabili del progetto. Battisti, vista la lunga pena che deve ancora scontare, potrebbe attendere la creazione definitiva dei centri da parte delle commissioni locali, che avverrà già nei prossimi mesi. Intanto lui prepara il terreno.
L’ergastolano, che da un anno è stato “declassificato” da regime di alta sicurezza a “detenuto comune” che gli lascia ampi margini di manovra per i benefici penali, poche settimane fa ha fatto il suo ingresso nel carcere di Massa, una struttura ben gestita e organizzata, dove vi sono in prevalenza persone che devono scontare condanne definitive. È stato Cesare Battisti a chiedere e ottenere direttamente dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziario) di essere trasferito dal carcere di Parma a quello di Massa.
Il Dap, «vista l’istanza presentata» l’ha accolta. Alla base della richiesta del terrorista c’è il fatto che il carcere in cui si trova adesso è vicino a Grosseto dove vivono la sua compagna brasiliana e il figlio di dieci anni. In questo modo la breve distanza facilita i loro colloqui e gli incontri. I responsabili del Dap si sono dati da fare per facilitare questa situazione familiare. Da quanto si apprende da ambienti giudiziari che si occupano di terrorismo, il trasferimento sarebbe stato disposto senza alcun nulla osta della magistratura.
Nel carcere di Parma Cesare Battisti aveva iniziato a lavorare al progetto per la richiesta di “mediazione”, ma il trasferimento lo ha interrotto e adesso si prepara a ripresentarlo alla direttrice del carcere di Massa.
Nel frattempo, è stato sistemato in una “camera di detenzione” che divide con un’altra persona, e questa nuova situazione in cui si trova non lo avrebbe soddisfatto, perché Battisti era abituato ad avere una cella tutta sua, con i suoi libri e pure un computer e una stampante a portata di mano e solo per lui. Adesso nel carce re toscano il computer gli è stato messo a disposizione ma si deve spostare in biblioteca.
Nel frattempo rivede alcuni testi scritti, su cui sta lavorando per una casa editrice, e la sera si rilassa leggendo Kafka. Cesare Battisti ha 68 anni, è stato un membro del gruppo terrorista Proletari armati per il comunismo (Pac). Dopo il suo arresto, avvenuto a gennaio del 2019 con 37 anni di latitanza, davanti ai pm di Milano ha ricostruito la scia di sangue che risale alla fine degli anni Settanta, partendo dai quattro delitti, di cui due materialmente commessi da Battisti: quello del maresciallo di polizia penitenziaria Antonio Santoro, da lui ucciso a Udine il 6 giugno 1978 in quanto «perseguitava i detenuti politici»; quelli del gioielliere Pierluigi Torregiani e del commerciante Lino Sabbadin, che militava nel Movimento sociale, uccisi entrambi il 16 febbraio 1979 il primo a Milano e il secondo a Mestre. Infine, quello dell’agente della Digos Andrea Campagna, al quale ha sparato a Milano il 19 aprile 1978.
Al terrorista dei Pac devono essere ricondotte pure alcune rapine effettuate all’epoca per finanziare il gruppo eversivo, durante le quali sono stati gambizzati Giorgio Rossanigo, un medico del carcere di Novara, Diego Fava, medico dell’Alfa Romeo, e Antonio Nigro, agente nel carcere di Verona. Oggi in carcere continua a sostenere che lui per 37 anni non è stato latitante ma “rifugiato politico” e tuttavia, pur riconoscendo la sua precedente militanza nella lotta armata, fatto da cui non si è mai dissociato o pentito, nel 2009 dichiarò la sua estraneità agli attentati e affermò di non avere mai sparato a nessuno. Adesso, con un ergastolo definitivo sulle spalle, punta ai benefici premiali per uscire dal carcere. In effetti è già nei termini per ottenere i permessi, e la mediazione penale potrebbe accelerarli. E rivederlo fuori dal carcere per i familiari delle vittimesarebbe l’ennesima beffa.