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 2023  dicembre 04 Lunedì calendario

L’hotspot in Albania costerà 11mila euro a migrante

Undicimila euro a migrante. Tanto (per difetto) potrebbe costare la trovata del governo Meloni di realizzare in Albania quel centro di trattenimento per i richiedenti asilo, provenienti da paesi sicuri. Assieme a quel Cpr che in Italia non si riuscirebbe a fare visto che, a un anno dallo stanziamento di 42 milioni per ampliare la rete, dei nuovi centri per il rimpatrio non c’è neanche l’idea di dove farli.
E allora l’Albania, costi quel che costi: nella fattispecie quasi 100 milioni solo per il 2024 e 50 milioni per ognuno dei quattro anni successivi previsti dal protocollo firmato da Giorgia Meloni e il premier albanese Edi Rama. Dunque, almeno 300 milioni di euro in cinque anni per la realizzazione delle strutture,costi e trasferimenti delle forze di polizia, strumentazione logistica e procedura d’asilo. Il tutto per un numero di persone che, alla fine, bene che vada, si aggirerà sulle 10 mila l’anno: meno di un terzo delle 36 mila annunciate. Perché si scopre che, almeno nella fase iniziale, i posti che saranno attivati saranno 720 e non 3 mila e che il turnover non sarà affatto mensile, ma potrà arrivare a 18 mesi.
Cifre sconsiderate quelle stimate dagli uffici tecnici dei ministeri (Esteri e Interno). Ci stanno lavorando per riempire di norme (e relativi oneri finanziari) la cornice vuota dell’accordo presentato alle Camere dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. E che dovrà essere ratificato da un disegno di legge che approdaoggi in preconsiglio dei ministri.
Cifre sconsiderate se paragonate con quelle relative al costo di tutti e dieci i Cpr italiani negli ultimi quattro anni (52 milioni) e soprattutto se rapportate con il numero di persone che verranno effettivamente portate dalle navi militari italiane direttamente in Albania, assai di meno delle 36 mila sbandierate dalla Meloni subito dopo l’accordo. Se anche i 720 posti disponibili vedessero un turnover mensile non si arriverebbe a 9 mila migranti in un anno, ma i richiedenti asilo che verranno portati in Albania difficilmente avranno risposta alla richiesta di asilo entro i 28 giorni previsti dalle procedure accelerate di frontiera. Tanto che – a differenza di quanto ipotizzato in un primo momento – il governo non prevede più di tenere in Albania i richiedenti asilo provenienti da Paesi sicuri, ma anche quelli già espulsi e in attesa di rimpatrio che possono essere trattenuti fino a 18 mesi. Tenendo occupati posti che non potranno ospitare altri migranti.
Per tenere lontano dall’Italia qualche migliaio di migranti, dunque, il governo si accinge a mettere in piedi una macchina mangiasoldi: 36 milioni di euro serviranno a realizzare i due centri, l’hotspot da 300 posti per le procedure di identificazione nel porto di Schengen e quello per il trattenimento a Gjader (300 posti per i richiedenti asilo e 120 come Cpr). E ancora 40 milioni almeno costeranno i viaggi, il mantenimento e le indennità di trasferta delle forze di polizia italiane, 7,5 milioni la strumentazione tecnologica, 2 milioni le spese della commissione territoriale per l’asilo che dovrebbe essere insediata ad hoc, più i costi di gestione del centro (almeno 8 milioni annui) che il governo vorrebbe affidare alla Croce Rossa come a Lampedusa. Incalcolabili, al momento, i costi dei trasferimenti dei migranti sulle navi militari dal luogo del salvataggio in Albania, poi in Italia per sbarcare minori, donne incinte e persone fragili. E ancora i viaggi avanti e indietro per l’Adriatico di chi poi dovrà comunque essere portato in Italia, in caso di accoglimento della domanda di asilo o di scadenza dei termini del trattenimento, visto che l’accordo con Edi Rama prevede che nessun migrante dovrà mettere piede in territorio albanese ma solo nelle due aree messe a disposizione dell’Italia. E proprio le norme che dovranno regolare questa sorta di extraterritorialità (e soprattutto la giurisdizione) sono il punto più delicato del disegno di legge che stamattina, subito prima del preconsiglio dei ministri, vedrà un ultimo confronto tecnico per provare ad evitare una prevedibile valanga di ricorsi dei migranti che verranno trattenuti in Albania con le relative sentenze. Il timore del governo è che, come avvenuto per il decreto Cutro, i giudici (quali è ancora tutto da definire) potrebbero smontare pezzo per pezzo anche il protocollo Albania.