Corriere della Sera, 4 dicembre 2023
Una puntata rischiosa
Non è facile giocare a dadi con il vecchio Continente. È molto probabile che ti esca un sette, e che tu possa guadagnare uno zero virgola alle elezioni europee, ma, come insegnano i croupier, l’importante è farti continuare a puntare, ché più giochi, più perdi. È difficile alzarsi dal tavolo verde, soprattutto se hai scialacquato tutto all’all-in del Papeete e se cerchi la rivincita contro Giorgia Meloni.
Lei, che si è presa Palazzo Chigi, che credevi tuo di diritto dopo aver lavorato ai fianchi Silvio Berlusconi. L’accusa di Matteo Salvini all’Europa, un «Golia governato da abusivi», nella kermesse sovranista di Firenze, è soprattutto una sfida agli alleati di governo, ai Fratelli d’Italia della premier e ad Antonio Tajani, impegnati a cercare il consenso dei moderati e assai restii a salire sul treno dell’estrema destra sul quale vorrebbe spingerli la Lega. Perché il punto dirimente è appunto uno solo: credere nell’Europa, magari per modernizzarla e cambiarla? Oppure considerarla una cricca di burocrati e massoni da buttare al macero? Salvini pare convinto dell’opzione numero due. E infatti non si occupa più di tanto del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha bisogno di convincere Bruxelles per diventare operativo. Né tratta, come pure fa il suo governo, per il rinvio dell’abolizione di maggior tutela dell’energia, in un Paese in cui tanti sono gli anziani in difficoltà a inserire le proprie bollette nella varietà vertiginosa del mercato libero. Pare non preoccuparsi nemmeno del rinnovo del patto di stabilità, dove un esercito di Paesi sovranisti è pronto a mettere l’Italia sulla graticola. Né tantomeno si interessa della ratifica del Mes, il meccanismo europeo di stabilità, un imbuto che si stringe sempre di più e che obbligherà a una scelta. Da una parte Giorgia Meloni e Forza Italia che serrano la trattativa, alla ricerca di condizioni più favorevoli, dall’altra la Lega che sembra aver abbandonato l’Italexit solo per scambiarla con l’Europa dell’ognuno per sé. Percorso difficile, ma soprattutto frammentato. Salvini ha portato a Firenze tredici delegazioni dell’estremismo sovranista. Il bulgaro Kostadinov, che rispolvera la sostituzione etnica: «Noi vogliamo essere padroni e non ospiti nei nostri Paesi». Il romeno Simion, che scomoda Dante per dire che l’Europa è un inferno: «Von der Leyen e Timmermans sono pazzi, malati». E l’esponente dei filo nazi e filo Putin di AfD: «L’Ucraina non può vincere, va fermata». Ce n’è abbastanza perché anche la francese Marine Le Pen e Geert Wilders, vincitore delle elezioni in Olanda, guarda un po’, abbiano preferito rimanere a casa e limitarsi a mandare un messaggio. Perché è quando si passa dalle parole ai fatti che i sovranisti, ai quali hai regalato più fiches di quanto meritassero quando ti sembrava di vincere, ti lasciano solo, mentre tu sei costretto ad abbandonare il tavolo e a consolarti con un mojito.