il Fatto Quotidiano, 3 dicembre 2023
Jacqueline, la regina delle “Folies Bergère” dal nudo incomparabile
Da un racconto apocrifo di Frederic Boutet. Jacqueline era la più bella delle sedici ragazze che danzavano nude alle Folies Bergère, annunciate sui manifesti come les plus beaux nus de Montmartre. Era una creola: con eleganza portava da una quinta all’altra le sue perle nere nere sotto certi proiettori viola che al settimo quadro (Songe d’une nuit d’Orient) avevano la pretesa di creare una sorta di atmosfera esotica. Il suo nudo incomparabile era vegetato in quel mondo da 40 cambiamenti di scena come una pianta rarissima nella serra di un giardiniere eccelso: Léon, ebreo di Tunisi, che allestiva le revues à gran spectacle, aveva ottenuto, a forza di cure, una fioritura perfetta. Si trattava di un capolavoro. Jacqueline non cantava, non ballava, non sgambettava; e poiché veniva dalla categoria delle modelle per pittori non le pareva complicato farsi vedere nuda da mille persone. Va detto che non ci si accorgeva che fosse nuda. Sarebbe stato insolito, piuttosto, se fosse comparsa in scena vestita. Si può dire che un nudo simile era sempre stato in fondo alla mente di chi finiva per vederla nuda davvero. Era il nudo numero uno, quello di cui gli uomini sopportano le cattive imitazioni. All’improvviso ci si trovava di fronte al primo nudo della serie, quello che si crede impossibile da trovare, al quale anche gli intenditori finiscono di solito per non pensare più. Veniva avanti dal centro della scena bevendosi la luce dei proiettori con la sicurezza e il sorriso di una invincibile. Qualcuno si ostinava a guardarle le linee dell’inguine, che andavano a incrociarsi cariche di sottintesi sotto la conchiglia di perle e strass del cache-sexe. I più restavano bloccati di primo colpo dal culo, che Jacqueline esibiva orgogliosa sotto un ciuffo di piume bianche, aperto come una coda di pavone, quando, dopo una piroetta maliziosa, irrigidiva le gambe sulla punta dei piedi e inarcava di scatto la schiena. Quel culo, dai glutei prodigiosamente appaiati e sostenuti, pareva come staccato dal resto del mondo, e relegava gli altri nudi, sparsi a ventaglio sui lati della scena, al rango di carnevalata, con le loro rotondità senza vita, e le coiffures di struzzo lilla e rosa.
Lei era la padrona; le altre, invece, mere proletarie del nudo, allineate nella loro miseria di donne spogliate. Al suo apparire, il pubblico si buttava alle ringhiere dei posti in piedi come la folla del prato quando i cavalli filano verso la dirittura d’arrivo. La bella Jacqueline camminava sui tacchi vertiginosi lungo l’orlo della ribalta, mentre la musichetta dell’orchestra la portava qua e là, incalzandola dal golfo mistico. La più inutile marcetta da pulci diventava sotto il suo passo una marcia trionfale. Poi, sicura, s’incamminava per la passerella che traversava tutta la platea, a dieci centimetri dagli invidiatissimi delle poltrone di canale, che si scambiavano occhiate da ghiottoni. I riflettori dipingevano mezzelune azzurre sotto quei glutei sodi ed elastici che eccitavano morbidamente i desideri di centomila uomini a stagione. Quel culo faceva male. Era di una bellezza insostenibile, quasi da chiudere gli occhi per cercare di non pensarci; ma non lo si poteva evitare, perché Jacqueline lo metteva da tutte le parti, raddoppiandolo negli specchi. Forse fui il suo amore. Mi diede il suo corpo come si passa all’amante la borsetta sotto il tavolo quando si pensa che non abbia da pagare il pranzo. C’erano soltanto biglietti da un milione. Mi lasciò fare, con la bella gola arrovesciata all’indietro, e io trovai il suo culo sotto i miei polpastrelli trepidi come i ciechi trovano le parole delle preghiere nei caratteri a rilievo. Il culo del più bel nudo di Montmartre. So di cosa si tratta. Non avvicinatevi. C’è da diventarne pazzi.