Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  dicembre 03 Domenica calendario

I principi non mollano il “tesoro del re”


Non sarà la Corte Costituzionale a esprimersi sulla causa civile messa in piedi dagli eredi di Casa Savoia, nel tentativo di riprendere possesso dei “gioielli della Corona”, il tesoro da 300 milioni di euro depositato nei caveau della Banca d’Italia dal 1946. Il 21 ottobre, il Tribunale civile di Roma ha dichiarato inammissibile l’eccezione di costituzionalità sollevata dai quattro figli dell’ultimo re d’Italia, Umberto II, rappresentati dall’avvocato Sergio Orlandi.
La vicenda è nota. Vittorio Emanuele, Maria Beatrice, Maria Pia e Maria Gabriella di Savoia ritengono che i gioielli – che vedono come pezzo forte la preziosissima tiara della Regina Elena – siano di proprietà della loro famiglia “in quanto acquisti e regali dei membri di Casa Savoia”, e non della “Corona” italiana, ovvero dello Stato. Il tesoro fu affidato a Bankitalia il 5 giugno 1946 da un emissario di Umberto II. Il deposito avvenne tre giorni dopo l’apertura delle urne referendarie, il 2 giugno 1946, ma il giorno precedente alla comunicazione dei risultati, giunti mentre il sovrano era già in fuga verso il Portogallo. Il problema, per i ricorrenti, è che la XIII Disposizione della Costituzione italiana – oltre ai primi due commi sull’esilio cancellati nel 2002 – dispone l’avocazione allo Stato dei beni appartenenti al patrimonio personale di Umberto II e sancisce che “i trasferimenti e le costituzioni di diritti reali sui beni stessi, che siano avvenuti dopo il 2 giugno 1946, sono nulli”, come fa notare la memoria depositata dai legali di Banca d’Italia. Linea che, se accolta, supererebbe anche la tesi di ultima istanza della casata piemontese, ovvero che i gioielli siano di proprietà degli eredi “per usucapione”.
Cosa c’entra dunque la Consulta? L’istanza dei Savoia, si basava sulla presunta incostituzionalità della XIII Disposizione della Carta, in conflitto – a loro dire – con l’articolo 42, comma 3 che “vieta che i beni di proprietà privata possano essere espropriati senza un indennizzo” e con gli articoli 24, 25, 27 e 111 in materia di responsabilità penale personale. Il giudice civile Mario Tanferna ha però respinto il ricorso asserendo che “la norma in questione è esclusa dal sindacato di costituzionalità trattandosi di norma della Costituzione”. Tradotto: la Consulta non può pronunciarsi su un pezzo di Costituzione. Resta il processo civile, la cui udienza per le conclusioni è fissata al 2 ottobre 2024. A meno che i Savoia non vogliano insistere ancora, appellandosi alla Corte europea per i Diritti dell’uomo di Strasburgo.