il Giornale, 3 dicembre 2023
Le strategie opposte di Sun Tzu e Clausewitz
Sun Tzu e Clausewitz rappresentano due direzioni divergenti dell’interpretazione della dottrina militare: Clausewitz (1780-1831) è l’uomo della battaglia d’annientamento, dell’attacco del forte al forte, della distruzione delle forze armate del nemico, mentre Sun Tzu (544-496 a.C.) afferma che il culmine dell’arte militare consiste nel vincere senza versare sangue. Per il generale-filosofo cinese sarebbe meglio vincere senza nemmeno ingaggiare battaglia e solo un capo militare maldestro la ingaggia. Ma qual è stata la loro esperienza storica? Quella di Clausewitz è stata la duplice esperienza della «guerra in merletti» del XVIII secolo e delle guerre a oltranza di Napoleone I. Per quel che concerne Sun Tzu, di cui non sappiamo se sia davvero esistito, il testo a lui attribuito risale agli anni tra il 400 e il 320 a.C. Si tratta di un periodo più o meno simile a quello che, nell’antichità occidentale, va dalla Guerra del Peloponneso, o forse, a rigore, dalla prima guerra punica, all’unificazione del bacino mediterraneo sotto l’impero di Roma.
Sun Tzu è d’accordo con Clausewitz su un certo numero di tesi. Impiegano entrambi la stessa espressione: la guerra è un affare serio. Entrambi hanno in comune di essere dei teorici dell’azione. Sono inoltre convinti che la guerra e la politica comportano il minimo di regole morali, anche implicite. Il libro di Clausewitz è una cattedrale concettuale. Il testo di Sun Tzu è invece composto da una serie di considerazioni, consigli, aneddoti. È dunque una raccolta di massime. Clausewitz non pretende di offrire ricette di successo valide in tutte le circostanze. All’opposto Sun Tzu, che non elabora con lo stesso rigore una teoria dell’azione guerriera, moltiplica i consigli. A dispetto di quest’opposizione fondamentale tra il carattere dei due libri, essi si incontrano su alcuni punti. In primo luogo, la questione dei rapporti tra il sovrano e il generale. Essa ha un’importanza decisiva nel pensiero clausewitziano: il capo militare è agli ordini del capo politico. Anche Sun Tzu distingue molto nettamente il sovrano e il generale. Egli scrive che quando si fa uso della forza armata, la pratica vuole che il comandante in capo riceva il suo mandato dal sovrano per mobilitare e riunire l’esercito. Il secondo punto di incontro riguarda la dialettica della decisione. Per entrambi, prima di decidere bisogna considerare i vantaggi e gli svantaggi per sé di una decisione, così come i vantaggi e gli svantaggi per l’altro della decisione che si intende prendere. Un terzo punto concerne le qualità necessarie per il comandante in capo di una guerra. Quali sono? Sun Tzu scrive che cinque difetti sono pericolosi in un generale: se è temerario, può essere ucciso; se è vile, sarà catturato; se è irascibile, lo si può imbrogliare; se possiede un senso dell’onore troppo suscettibile, lo si può calunniare; se ha un’anima compassionevole, lo si può tormentare. Il generale deve avere una forza morale sufficiente a sopportare lo spettacolo spesso intollerabile delle sofferenze degli uomini e della crudeltà della battaglia. Sun Tzu elenca poi cinque qualità che un comandante dovrebbe avere: la saggezza, l’equità, l’umanità, il coraggio e la severità. Anche per Clausewitz la prima qualità del generale è il coraggio. Ma vi sarebbero due tipi di coraggio: uno derivante dall’abitudine, dall’indifferenza al pericolo, l’altro dalla sensibilità, dall’aspirazione alla gloria o dal senso dell’onore. Quest’ultimo è un coraggio superiore su cui si può fare maggiore affidamento. Quarto punto di incontro tra Sun Tzu e Clausewitz: entrambi parlano continuamente dello spazio. Una delle qualità del capo militare è il «senso dello spazio» legato all’immaginazione che permette al condottiero di vedere gli eventi militari con anticipo.
C’è però una differenza fondamentale tra il pensiero clausewitziano e quello dell’autore cinese. Per Clausewitz né la sorpresa, né l’inganno, né l’astuzia possono giocare un ruolo decisivo nei successi militari; egli ragionava così in funzione dell’esperienza militare che lo riguardava alla fine del XVIII secolo e all’inizio del XIX. Sun Tzu ha invece pensato e scritto in un periodo in cui gli Stati erano incerti sul loro essere e sulla loro durata. In lui è ossessivamente presente l’idea che il metodo militare è contemporaneamente psicologico e guerriero. In altri termini, un capo militare nell’arte cinese della guerra ha l’obiettivo fondamentale di dar battaglia solo nelle circostanze in cui la vittoria è certa, per cui prevale in lui la determinazione permanente di ingannare il nemico.
Clausewitz pensa sempre alla vittoria per annientamento e questa si ottiene tramite uno scontro diretto con l’esercito nemico, sbaragliandolo e inseguendolo fino alla sua completa distruzione; è la battaglia spinta fino al suo termine. Al contrario, Sun Tzu ritiene che non si debba incalzare il nemico fino in fondo. Per evitare le battaglie sanguinose e ottenere la vittoria con il minor spargimento di sangue, bisogna lasciare al nemico la possibilità di ritirarsi, aprirgli un passaggio. Non si può immaginare una formula più contraria alla strategia di Clausewitz. Per Sun Tzu, l’arte di guidare le truppe nel combattimento consiste in questo: quando si è in dieci contro uno, bisogna accerchiare il nemico, in cinque contro uno attaccarlo, in due contro uno dividerlo, mentre se si hanno forze uguali, si può ingaggiare battaglia; quando invece si è numericamente inferiori bisogna essere capaci di battere in ritirata e, se si è ovunque inferiori, arretrare.