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 2023  dicembre 03 Domenica calendario

Perché noi siamo tutti i libri che abbiamo letto


Si legge per restare umani, per non diventare insensibili. Si legge per difendersi dalla logica ossessiva e dalla presunzione di realtà. Si legge per uscire dalla tirannia dei “come” e per ricordare meglio i “perché”. Si legge come cura omeopatica al male di vivere. Si legge per ribellione, per compagnia, per curiosità. Si legge per osservare da vicino e mettersi in gioco. Si legge per combattere l’illusione della verità. Si legge per vivere di più, perché la lettura è vita presa in prestito. Conosciamo Giovanni Floris come conduttore televisivo, e prima come giornalista e inviato speciale. Ma di speciale, adesso, c’è soprattutto il suo libro sui libri, L’essenziale (Solferino), che in realtà è un libro sui lettori, una specie di autobiografia mai saccente. L’amico che ci racconta cosa legge, cosa ha letto, cosa non ha letto e perché.
Non un manuale, non un elenco di titoli imperdibili e neppure un vanto intellettuale, vezzo così comune. Floris, anzi, dichiara subito di non essere un lettore naturale, e non si vergogna di elencare i molti autori che ancora mancano al suo repertorio, da Anna Maria Ortese ad Alice Munro, da John Irving a Francis Scott Fitzgerald. Forse, i libri fondamentali sono quelli che non abbiamo ancora letto, e sarebbe bello immaginare una biblioteca del genere, con tutti i volumi in attesa che noi si arrivi a sfogliarli. Contengono, quelle pagine, quanto desideriamo, forse quello che temiamo, certamente ciò che neppure immaginiamo. Perché lettura è avventura.
Tra i molti saggi di questo genere, il testo di Floris ha il pregio di guardare negli occhi il lettore alla sua stessa altezza. L’autore racconta ciò che gli sembra di aver capito, e cioè che un buon libro ci sposta, non ci lascia comodi, perché modifica il nostro punto di vista sulla realtà e su noi stessi. Il senso delle cose non è nei libri, però i libri aiutano a trovarlo. Ed è un percorso che muove i passi decisivi quando siamo ragazzi: «Gli occhiali per vedere il mondo li acquisti prima dei vent’anni, da lì in poi cambi solo la montatura».
Viviamo di corsa, in orizzontale, facendo il saltapicchio, e invece i libri e l’arte ci portano in una direzione più verticale, verso qualcosa che assomiglia alla profondità. Giovanni Floris rivela di aver letto tanto durante un periodo di disoccupazione, seduto su una panchina di un giardinetto romano: si prese il tempo che lo avevano costretto ad occupare, e scelse i libri. Così, gli appunti del lettore incrociano i momenti della sua vita, il viaggio di un ragazzo che veniva dalla periferia sulla 128 bianca di papà e cadde nell’attrazione delle parole, i poeti crepuscolari conosciuti nel tempo della scuola (tempo da rivalutare sempre), i ribelli, i decadenti, gli scrittori della Mitteleuropa che narrarono il crollo di un mondo e di tante sicurezze, le sfumature nel fumo di Zeno: «Vuol guarire? E allora smetti di razionalizzare,abbandònati, lasciati andare». Verrebbe quasi da dire: leggi. Che magnifici compagni, questi oggetti di carta (e digitali, adesso) che nascono dall’immaginario per comprendere il reale, ben sapendo di non poterlo sempre gestire: la letteratura come luogo di modestia e dubbio, la sua forza, il suo sfolgorante potere. E se l’accoppiata perfetta dovrebbe essere scienza più immaginazione (come non pensare a Primo Levi e Calvino?), il lettore sa che i libri possiedono la libertà di arrivare là dove la logica fallisce, nel tentativo di risolvere il dilemma tra la logica stessa e l’empatia. Causa ed effetto non sono un meccanismo automatico, e chi legge lo impara presto: non per scoraggiarsi, ma per smontare meglio il giocattolo.
L’essenziale, allora, è quello che rimane quando non ricordiamo quasi più niente dei libri che abbiamo letto, perché quei libri ormai siamo noi. Quasi tutto il resto è noia, e qui bisogna ringraziare il cronista Floris per lo scoop: non sapevamo, infatti, che il celebre verso del Califfo fosse in realtà di un altro cantautore piuttosto ispirato («…unico divertimento in Recanati è lo studio: unico divertimento è quello che mi ammazza: tutto il resto è noia»), tal Giacomo Leopardi.