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 2023  dicembre 03 Domenica calendario

Intervista a Emma Marcegaglia

«Non solo l’Italia: tutta l’Europa vive una crisi del suo modello di crescita che ne mette a rischio la competitività. E la risposta non può essere ognuno per sé, anche la Germania lo sta capendo». Emma Marcegaglia, alla guida insieme al fratello dell’azienda siderurgica di famiglia, guarda con preoccupazione ai prossimi mesi. Quelli dell’Italia, che deve accelerare su Pnrr e riforme.
Quelli dell’Europa, e anche quelli di un mondo che minaccia di spaccarsi in blocchi. Da gennaio, nell’ambito del semestre di presidenza italiana del G7, l’imprenditrice guiderà il B7, il forum degli imprenditori dei sette grandi: «La globalizzazione va ripensata, non buttata nel cestino».
L’Italia cresce di nuovo dello “zero virgola”. La stagnazione è strutturale o vede una ripartenza?
«Il rallentamento è forte, siamo allineati al resto d’Europa ma questo non consola, anzi complica.
Anche il 2024 partirà lento, ma se nel frattempo le Banche centrali inizieranno a tagliare i tassi e arriverà la spinta degli investimenti del Pnrr, tra cui quelli di industria 5.0, nel 2025 potremmo ripartire».
Le spese del Pnrr sono in ritardo e le riforme lontane dagli obiettivi.
La revisione appena chiusa basterà a dare una scossa?
«Era opportuna, ha tolto dal Piano investimenti troppo piccoli o che non potevano essere finiti in tempo. Come è opportuno intervenire per accelerare la burocrazia e limitare i ricorsi. Gli obiettivi restano difficili, ma abbiamo più chance. Ora è il momento di non parlare più e passare all’azione, perché perdere le risorse avrebbe un costo altissimo. Anche sulle riforme bisogna procedere più spediti: l’Europa ci ha chiesto di fare di più su concorrenza e giustizia. Mi pare però che nel Pnrr manchi un tema centrale».
Quale?
«Formazione e competenze, su cui l’Italia è molto indietro. Nonostante l’economia rallenti le imprese non trovano il 40% delle figure che cercano. È un problema che stiamo dimenticando, va rimesso al centro anche delle relazioni industriali, perché visto il nostro trend demografico peggiorerà. E bisogna ragionare su una revisione delle politiche migratorie, anche modificando il meccanismo dei flussi in chiave di competenze, perché nei prossimi vent’anni avremo un buco di forza lavoro».
Intanto è riesplosa la crisi dell’Ilva, che senza nuove risorse rischia la chiusura. Soluzioni?
«La mia azienda è il principale cliente di Ilva e dico che chiuderla sarebbe una follia. Sono ancora convinta che un accordo tra governo e Mittal si possa trovare.
L’azienda può stare sul mercato, ma servono risorse pubbliche e un socio privato che investa, perché oggi Ilva produce metà di quanto può fare».
In Italia l’energia costa più che negli altri Paesi europei, e molto più che negli Stati Uniti. Rischiamo una deindustrializzazione?
«No, ma una riduzione della competitività sì. Ed è un rischio europeo, non solo italiano, perché paghiamo l’energia il triplo degli americani. Il problema è che la politica indust riale europea resta parziale e troppo regolatoria.
Parziale perché, per esempio, per le imprese energivore non si lavora ad un prezzo dell’energia comune, e non si fa debito comune per finanziare gli enormi investimentinecessari alla transizione, ma si lascia fare ai singoli Paesi con le loro risorse senza capire che nessuno ce la farà da solo. Regolatoria perché anziché fissare gli obiettivi di decarbonizzazione e lasciare neutralità tecnologica per raggiungerli, come negli Stati Uniti, l’Europa sceglie anche le tecnologieammissibili».
La Germania, che ha le risorse, ha ridotto il prezzo dell’energia per le imprese. Alla fine prevale l’interesse nazionale?
«Negli incontri con gli imprenditori tedeschi mi pare che l’attitudine sia cambiata. La Germania non è morta, ma il suo modello è in crisi e li vedo molto più preoccupati, sanno che senza la manifattura italiana si indeboliscono anche loro, così ragioniamo molto più di prima su cosa fare insieme. Lo stesso governo tedesco ora chiede di completare l’unione dei capitali e quella bancaria, dopo averle bloccate per anni».
E il nostro governo, che blocca il Mes, ha l’attitudine giusta verso l’Europa?
«Il Mes va approvato subito. Ma a parte questo non mi pare che il governo abbia una politica antieuropeista nella sostanza».
Quali saranno i temi sul tavolo del B7 che guiderà?
«Uno sarà l’intelligenza artificiale, su cui è necessario bilanciare i toni.
Pone una serie di rischi, e va normata, ma noi vogliamo anche dire che è una grande opportunità di incremento della produttività e del benessere».
Gli Stati Uniti, presi dalla sfida con la Cina, stanno riscrivendo le regole della globalizzazione. Le imprese che ne pensano?
«Non siamo naif, sappiamo che la globalizzazione degli anni 2000. quella in cui si delocalizzava dove costava meno senza fare ragionamenti sulle dipendenze o sulle regole, è finita. Ma diremo ai leader che la globalizzazione non va buttata nel cestino, che dividere il mondo in blocchi riduce la crescita e genera diseguaglianze».
Confindustria va al rinnovo del vertice. Molti imprenditori denunciano un declino e chiedono un rilancio. Circolano più nomi: l’ex presidente Marcegaglia ne ha uno?
«Tutta la rappresentanza sociale si è indebolita, anche i sindacati, oggi la politica si è ripresa il primato. Ma se ci sono idee serie anche oggi si può essere ascoltati. Io credo che Confindustria debba essere forte in Italia ma ancora di più in Europa.
Non faccio nomi, mi pare condivisa la necessità di avere alla guida un’imprenditrice o un imprenditore autorevole».