Robinson, 3 dicembre 2023
Biografia della maga Circe
La nave di Ulisse, scampata alla furia dei Lestrigoni, approda a Eea. Là abita – ci informa lui stesso, narratore della storia – «Circe dai bei riccioli, dea tremenda dalla voce sonora». Né Ulisse né Omero la descriveranno mai in altro modo: l’epiteto (eüplókamos)relativo alla chioma basta a evocare la bellezza femminile ( servirà anche per Calipso). Il terzo giorno, Ulisse sale su un’altura e scopre che quella terra è un’isola, col mare infinito a farle corona: tra gli arbusti e il fitto bosco, si leva un filo di fumo. Inizia così, con l’eroe di vedetta a contemplare una terra incognita, uno degli episodi più affascinanti dell’Odissea. Il più familiare, anche – poiché la tradizione in seguito ha identificato nell’isola di Eea il Monte Circeo.Non ha la minima idea di dove siano né dove debbano dirigersi: devono chiedere aiuto. Ulisse divide gli afflitti e stremati superstiti in due gruppi: uno comandato da lui, l’altro da Euriloco. La sorte affida l’esplorazione al secondo, composto da 22 compagni. Si addentrano nella selva, raggiungono la casa: una reggia, in realtà. Vengono accolti da un branco di lupi e leoni, che tuttavia non li aggrediscono, e anzi scodinzolano ( la selva, il palazzo incantato, le false fiere: il folclore universale e la letteratura successiva non potranno prescinderne). La padrona è una voce limpida, che canta, poi un’ombra che tesse una tela. «Forse è una dea, forse una donna, entriamo», dice Polite. Solo quando la chiamano, essa appare. Cortese, ospitale, li accoglie, li rifocilla. Ma mescola a vino e miele un impasto malefico. Appena lo bevono, lei li tocca in testa con una verga e gli uomini si trasformano in maiali: Circe li rinchiude grufolanti nella porcilaia. Lì resterebbero per sempre, se il diffidente Euriloco non si fosse tenuto sulla soglia. Tornato alla nave informa Ulisse dell’accaduto e gli consiglia di fuggire, ma Ulisse, mosso da «dura necessità», decide direcarsi a sua volta nella casa stregata. Strada facendo, il dio Hermes lo avvisa che nemmeno lui potrebbe mai tornare indietro, ma gli fornisce l’antidoto alla pozione di Circe, un’erba magica chiamata moly, e gli consiglia di non sottrarsi all’amplesso che lei gli proporrà, ma di farle prima pronunciare il giuramento «che, spogliato, non ti renda inetto e impotente». Tutto infatti si ripete: l’accoglienza generosa, la bevanda nella coppa d’oro – perché Circe, chiunque venga a trovarla, replica lo stesso schema. Ma Ulisse non si trasforma e anzi, quando Circe lo tocca con la verga, la aggredisce con la spada, «come intendesse ucciderla». La figlia del Sole non dovrebbe temere un mortale. Invece il suo arrivo le era stato profetizzato. E piangendo gli si arrende. Ulisse le strappa il «gran giuramento» ( vincolante anche per una dea) di non escogitare più altre trame a suo danno e di non svirilizzarlo se giacerà con lei, e solo dopo «io salii sul bellissimo letto di Circe» (meraviglioso il verbo ascensionale). Poi la costringe a ri- trasformare in umani i compagni-porci.Una volta congiunta a lui ed eliminato ogni sospetto dal loro rapporto, Circe diventa, come già Atena, la sua aiutante. Convince i viaggiatori demoralizzati a tirare in secco la nave e riposarsi, fino a riprendere coraggio; ospita sontuosamente il gruppo per un anno intero, e quando Ulisse, riscosso dai compagni, le manifesta il desiderio di partire, poiché Circe non vuole trattenere nessuno controvoglia, gli facilita il viaggio. Lo istruisce affinché possa compiere la discesa nell’oltretomba, e poi, al suo ritorno, scampare alle insidie che ancora lo attendono: le Sirene, Scilla e Cariddi, l’isola del Sole. I compagni, istigati proprio da Euriloco, infrangeranno le promesse, mangiando le vacche sacre del Sole, e annegheranno in fondo al mare; Ulisse seguirà con fiducia le istruzioni di Circe e – dopo l’ulteriore indugio da Calipso, gemella disarmata della dea – gli sarà concesso il ritorno a Itaca.Circe entra dunque nella letteratura occidentalecome la solitaria sovrana di un piccolo regno femminile ( nella reggia vivono solo ancelle), maestra d’erbe e riti magici, funesta agli uomini, che trasforma in bestie. Poiché invita subito Ulisse a unirsi con lei in «amplesso d’amore», Omero ci lascia intuire che i lupi e i leoni siano quanti le abbiano ceduto. I passaggi topici della fiaba non le impediscono insomma di emanare una sensualità pericolosa, in quanto la castratrice è anche l’amica e la migliore alleata dell’eroe. Così la Circe omerica, singolare nel quadruplice ruolo di dea, strega, maga e amante dominatrice, conobbe perpetua fortuna. È Ovidio – nelle Metamorfosi – ad accrescerne l’aura fatale, descrivendo la sala del trono, dove le nereidi e le ninfe selezionano le foglie e i fiori, sotto la supervisione della maestra, e moltiplicando le sue imprese. Ricercata da Glauco perché, potente con le erbe, i veleni e le formule, accenda la passione di Scilla, che lo rifiuta, gli si offre, recitandogli una sorta di teorema d’amore: disprezza chi ti disprezza e ricambia chi ti segue; al suo diniego avvelena il mare in cui si bagna Scilla, trasfor-mandola in un mostro: nella metà inferiore del corpo avrà una muta latrante di cani. Tra le infinite metamorfosi del poema, forse la più spaventosa, perché colpisce gli organi sessuali. E poi – dando voce a Macareo, uno dei compagni di Odisseo mutato in porco e rimutato in uomo – narra il lungo soggiorno nel palazzo incantato, liquidato in un emistichio da Omero, e un’anteriore prova di potenza della «dea dira», a lui spiegata da un’ancella: la crudele punizione inflitta a Pico, il giovane bellissimo che, fedele all’amata Canente, rifiuta di corrispondere al desiderio di Circe, e viene mutato in picchio. È la Circe passionale e vendicativa di Ovidio, umanizzazione dell’indecifrabile strega-maga di Omero, a imporsi nell’immaginario. Circe finisce per incarnare il potere distruttivo della passione femminile: Fuge, litora Circes!In Dante, che non conosceva Omero, Circe è colei che, incantandolo col falso piacere, sottrae più di un anno Ulisse a se stesso, spegnendo in lui la brama diconoscenza (e così “imbestiandolo”, sebbene metaforicamente). E come maliarda incantatrice che fa smarrire la via, Circe si reincarna nel Rinascimento – prototipo delle maghe Alcina e Armida dei poemi di Boiardo, Ariosto e Tasso. Una tradizione minoritaria la sposta sulla via del comico e dell’umorismo paradossale, come nel dialogo filosofico La Circe del Gelli, che fa rifiutare ai compagni di Ulisse di riprendere sembianze umane, preferendo restare animali. Poiché nessuno crede più alla magia, Circe perde l’aura fosca per diventare sinonimo convenzionale di tentatrice. Sicché, al più scortata dalle sue docili fiere, nella pittura del Cinque- Seicento diventa una donna nuda respinta, come la moglie di un Putifarre qualunque. A questa Circe desacralizzata si addice più la musica della parola. Ispira cantate, opere tragiche (Thomas Corneille, 1675) e farse giocose (Pasquale Anfossi, 1788). Il mito non resuscita. Terribilmente umane, in pittura, l’allettatrice di Burne- Jones e la conturbante femmina dai capelli rossi di von Stuck; fantasma sfuggente per il vecchio Ulisse di Pascoli ( 1904), tornato invano a cercarla. Circe è pronta insomma per l’ipostasi degradata della cronaca nera. Il nome Circe si trasforma in epiteto giornalistico, nel XX secolo affibbiato ( col corredo di un toponimo di provincia) a svariate assassine. Ma la prima era stata la contessa Tarnowska, che nel 1907, a Venezia, istigò l’amante a ucciderne un altro: questa vamp ninfomane, tossica, amorale, divenne per gli italiani il modello della femme fatale. Tutti – da D’Annunzio a Luchino Visconti – volevano scriverne o farci un film, ma vi riuscì solo Annie Vivanti, che intitolò appuntoCirceil suo romanzo di maggior successo (1912). Poco dopo Joyce completava la decostruzione del mito, trasformandola nella sudaticcia ed esuberante tenutaria di un bordello dublinese, Bella Cohen, cui Leopold Bloom brama di sottomettersi. Ad Atwood e alle scrittrici del XXI secolo tocca l’impresa di restituire alla dea il suo punto di vista e il suo potere.