Domenicale, 3 dicembre 2023
Come mai qualcuno crede a ciò che non si può credere?
Matteo MotterliniCome fa la gente a credere a certe cose? Che cosa spinge individui solitamente ragionevoli ad abbracciare credenze irrazionali? Un amico sostiene che il mondo è segretamente governato da alieni rettiliani con sembianze umane, tra cui leader politici, celebrità e persino virologi, il cui obiettivo finale è il dominio totale del pianeta. Un altro è convinto che il vaccino contro il Covid-19 contenga un microchip 5G utilizzato per il controllo mentale della popolazione (notate l’ingegno: due teorie cospirazioniste al prezzo di una!). Se, come è molto probabile, non siete stati in grado di smuovere queste persone dalle loro convinzioni, il nuovo libro dello scienziato sociale Dan Ariely potrebbe fornire spunti interessanti, sia per voi che per loro. Misbelief esplora i meccanismi mentali che portano le persone a credere in ciò che non è vero. La credenza in cose false, o «miscredere», è un processo che Ariely descrive come un percorso attraverso un imbuto. Una volta intrapreso questo percorso, il miscredente inizia la sua discesa nell’irrazionale. L’imbuto è costituito da diverse componenti: la componente emotiva scatena la falsa credenza, la componente cognitiva la giustifica e consolida, la componente della personalità la nutre e coltiva, la componente sociale la amplifica dandole risonanza e diffusione.
In questo libro troverete meno evidenze sperimentali rispetto ai libri precedenti dello stesso autore. L’analisi di Ariely si basa piuttosto su casi aneddotici ed esperienze personali. Ariely osserva che all’origine del credere in cose false c’è spesso un forte stato di stress emotivo (la paura del Covid-19, l’ansia un potenziale attacco terroristico, la depressione per la perdita del lavoro.) La necessità psicologica di alleviare tale stress emotivo si manifesta in un tentativo di riappropriazione del controllo in cui l’individuo ricerca e propone una “spiegazione” dei fatti attraverso la ricerca di un senso, una causa, un colpevole all’origine del suo malessere. Una volta che le emozioni hanno predisposto il terreno per accogliere la falsa credenze, la “ragione” subentra per consolidarla. È noto che molte persone preferiscono avere ragione piuttosto che ammettere di avere torto. Questa tendenza rafforza le credenze: una volta che sono nostre, ci vuole moltissimo impegno per metterle in discussione. Dubitare delle proprie credenze implica mettere in discussione se stessi; un processo a cui preferiamo non sottoporci. Tra i meccanismi di difesa che “proteggono” l’individuo da questo processo, il più noto è il bias della conferma: la tendenza per cui, quando andiamo alla ricerca di informazioni, vediamo benissimo i fatti che confermano le nostre credenze, ma siamo ciechi all’evidenza contraria. Questo spiega perché sia così difficile fare cambiare idea alle persone: è difficile far capire qualcosa a qualcuno quando la sua identità dipende dal non capirla! Il miscredente, inoltre, crede di sapere molto più di quanto sa realmente. Ignora cioè anche la sua ignoranza. Per esempio, chi decide in buona fede di non vaccinarsi né di vaccinare i propri figli spesso ritiene di comprendere e conoscere il funzionamento dei virus e del sistema immunitario, quando in realtà non ne ha gli strumenti.
Ariely mostra che esistono differenze individuali nella vulnerabilità alle false credenze. Le persone con determinate caratteristiche di personalità sembrano essere maggiormente inclini ad abbracciare credenze irrazionali. Queste caratteristiche includono la sovrastima delle proprie intuizioni, la scarsa capacità di riflettere sul proprio ragionamento, la tendenza a ricordare male le informazioni, la propensione a individuare schemi e relazioni causali in situazioni dove non ci sono, e la convinzione di sapere sempre tutto con il senno di poi. Infine, vi è la componente sociale, in cui le false credenze trovano la loro piena e vigorosa espressione. Qui ci troviamo alla fine dell’imbuto dove la spinta irrazionale è così potente che risalire la corrente diventa quasi impossibile. In questa fase, il miscredente stabilisce connessioni reali o virtuali con coloro che condividono le sue stesse false credenze. La sua identità viene ora rafforzata dal fatto di non essere solo, bensì supportato dalla nuova rete di relazioni sociali che lo circonda. In una spirale verso il basso, il gruppo rafforza la falsa credenza, e la falsa credenza rafforza la fedeltà al gruppo. Le false credenze possono così trasformarsi in azioni come atti di protesta o nella diffusione di informazioni false attraverso i canali che le favoriscono, come i social media.
Grazie ai social media, diffondere informazioni false o fuorvianti è diventato più semplice ed economico che mai. Inoltre, l’intelligenza artificiale ha reso più accessibile la produzione di informazioni false, che appaiono autentiche e credibili, tagliate su misura per esercitare il loro effetto sui differenti tipi di personalità. A questo punto avrete compreso che il viaggio nell’imbuto della miscredenza (misbelief) rispecchia il viaggio della società verso la sfiducia (mistrust). Il livello di fiducia nelle istituzioni sta scadendo a livelli allarmanti e mai sperimentati prima. E senza fiducia non può reggersi la società così come la conosciamo. Che fare? Ariely non fornisce una soluzione, ma indica dove iniziare a cercarla: nella psicologia delle false credenze.
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Dan Ariely
Misbelief. What makes irrational people believe irrational things
Harper/HarperCollins,