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 2023  dicembre 03 Domenica calendario

I disegni di Bobi Bazlen

Cosa accade quando una leggenda incontra un’altra leggenda? La prima leggenda si chiama Bobi Bazlen ed è nato all’inizio del Novecento: «triestino di lingua madre tedesca, senza fissa dimora anche nei periodi in cui ebbe un indirizzo stabile, deambulatore e conversatore infaticabile per le vie di tutte le nostre città», come lo racconta Italo Calvino in un suo articolo, La psiche e la pancia (1983), apparso su queste pagine. È l’uomo che ha corretto le poesie di Montale, gli ha fatto conoscere Kafka e l’ha introdotto all’opera di Italo Svevo decretandone così la fama; poi ha scoperto Musil e l’ha fatto tradurre; ha consigliato case editrici come Einaudi e Astrolabio e posto le basi per la fondazione della casa editrice Adelphi.La seconda leggenda ha nome Ernst Bernhard ed è uno psicoanalista nato a Berlino nel 1896; di famiglia ebraica, dopo essere stato in cura da un allievo di Freud, ha collaborato con Jung a Zurigo; interessato alle dottrine teosofiche e astrologiche è stato l’analista di Federico Fellini, Giorgio Manganelli, Giacomo Debenedetti, Natalia Ginzburg, Cristina Campo, Amelia Rosselli. Nel 1939 Bazlen si trasferisce a Roma; nel 1940 Bernhard, che vive nella capitale da qualche anno, è arrestato e portato in un campo di prigionia fascista in Calabria da cui riesce a uscire con l’aiuto di Giuseppe Tucci, il grande studioso orientale, per cui resta nascosto fino alla liberazione della città. Nel 1944 il triestino entra in analisi da Bernhard. In comune hanno molte cose, tra cui che nessuno dei due si è dedicato alla scrittura. Di Bazlen, protagonista di un romanzo di Daniele Del Giudice, Lo stadio di Wimbledon,Calvino scrive di non averne mai visto stampato il nome mentre era in vita, per cui è diventato celebre come “non scrittore”. In realtà Bobi Bazlen ha scritto un romanzo di 400 pagine, Il capitano di lungo corso,ridotto da lui stesso a 49 facciate, inoltre ha disegnato molto. Sono i disegni a matita e a china che ha realizzato dal 1944 al 1950 nel periodo in cui era in cura presso Bernhard. Un vero e proprio diario visivo che ora va in mostra al Palazzo delle Esposizioni a Roma,Bobi Bazlen, i disegni dell’analisi (a cura di Anna Foà e Marco Sodano, fino all’11 gennaio, Acquario Editore). Questi fogli raccontano i suoi sogni e le fantasie. Vi appaiono misteriosi personaggi come l’Orientale, il Viandante, il Diavolo, la Moglie, il Timoniere; luoghi come il porto e oggetti quali la forbice, la macchina da cucire e la sega, oltre a innumerevoli simbologie religiose come la classica coppia Ying e Yang. Ci sono personaggi che volano per aria, che indossano alte tube, che camminano su fili sospesi, mentre i pesci si immergono oppure compongono forme armoniche; l’Orientale, dotato di lunghi e sottili baffi, stringe un bottiglione con un liquido giallastro e altri omini pescano da riva o su barche.Una studiosa, Adriana Ricca, ipotizza che si tratti solo della parte visiva del diario mentre quella scritta sarebbe andata persa o distrutta. Dietro a ogni disegno c’è la data in cui è stato realizzato sovente in occasione degli incontri con lo psicoanalista cui li mostrava. Che Bazlen, il non scrittore, fosse uno scrittore lo testimoniano anche questi disegni. Sono piccole storie oniriche con personaggiricorrenti, narrazioni in un solo foglio di carta, in cui il colore ha una parte rilevante. Ricordano, ma in chiave più ironica e leggera, i disegni di Kafka emersi dopo decenni dalle cassette di sicurezza in cui erano sigillati. Hanno in comune uno stile rapido, certamente più elaborato in Bazlen, che certo non si sarebbe mai aspettato di suscitare l’interesse d’altri oltre al suo analista. Non sono scarabocchi, ma opere elaborate che alludono a un mondo immaginativo divertente e divertito, che costituisce il complemento della vena colloquiale in cui il triestino era imbattibile, un po’ direttore di coscienza e un po’ provocatore. Bazlen con questi fogli ha probabilmente scritto il suo vero e indecifrabile romanzo attraverso centinaia di rettangoli colorati ricoperti di segni a china dalle forme più imprevedibili e dall’inconfondibile tocco poetico. Queste carte possiedono una vena lirica come ha visto Manuela La Ferla, sua biografa, e inducono a riflessioni su quanto l’arte disegnativa abbia significato per le generazioni di letterati nate tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Di scrittori che disegnano, come ha raccontato Calvino in un suo articolo raccolto in Collezione di sabbia, ce ne sono stati molti in epoca romantica, soprattutto in Francia, per non parlare poi di Dino Buzzati e di Calvino stesso, veri e propri autodidatti, per quanto il piccolo Italo avesse frequentato un corso di disegno a undici anni.Nel Settecento e nell’Ottocento l’arte visiva faceva parte dell’educazione dell’uomo di lettere. Chissà cosa avrebbe scritto nel ritratto di Bobi lo scrittore del Barone rampante se avesse potuto vedere queste opere incorniciate e appese alle pareti del Palazzo delle Esposizioni, lui che aveva debuttato a diciassette anni come vignettista sulle pagine del Bertoldo di Saul Steinberg e Giovanni Guareschi. Proprio recensendo una mostra parigina sul disegno degli autori francesi del XIX secolo, Calvino aveva scritto che l’energia grafica dello scrittore si trova davanti a un bivio: da un lato «evocare i propri fantasmi attraverso l’uniforme stillicidio alfabetico» e dall’altro «inseguirli nell’immediatezza visiva di un rapido schizzo». I fantasmi e i lemuri dei fogli proposti a Bernhard sorridono e ridono, sono figure leggere, un poco pasticcione e insieme comiche; sono personaggi più dissacranti che spaventosi, proprio come quel trickster, mistificatore e imbroglione divino, di nome Bobi Bazlen.