La Lettura, 3 dicembre 2023
Natta e l’invenzione della plastica
Sessant’anni fa, nel pomeriggio di martedì 10 dicembre 1963, nella Sala dei concerti di Stoccolma, il re Gustavo VI Adolfo di Svezia premiò con il Nobel per la Chimica l’italiano Giulio Natta. Se c’è un momento che idealmente sintetizza l’idea di modernità scientifica dell’Italia, fu quello. Tra i circa duecento premi Nobel che dal 1901 l’Accademia reale ha individuato nel campo della chimica, Natta è l’unico italiano. Lo scienziato ligure, che studiò e insegnò a Milano, rappresentava in quel momento la sintesi perfetta di un Paese che si era definitivamente lasciato alle spalle l’incubo e le distruzioni della Seconda guerra mondiale e che si poneva come protagonista nel mondo.
L’attività di Natta rappresentò il momento più elevato della collaborazione tra accademia e industria privata, che solo recentemente si sta riscoprendo. La sua creazione, il polipropilene isotattico da cui derivò la plastica del Moplen, fu uno dei simboli dell’Italia ruggente degli anni Sessanta. La creazione di Natta ebbe risvolti sia industriali che popolari. In quegli anni il comico Gino Bramieri entrava nelle case degli italiani all’ora del Carosello televisivo con il celebre slogan «E mo’, e mo’, Moplen!», pubblicizzando una serie di prodotti, dalle ceste alle scatole, ai recipienti, che l’azienda chimica Montecatini produceva sfruttando la creazione di Natta.
La plastica iniziò a sostituire rapidamente il legno e il vetro come materiale base degli oggetti più comuni, facendo leva su alcuni aspetti non secondari: costava meno, era leggera, molto più duttile nella fase di lavorazione, praticamente indistruttibile, ma di questa caratteristica ci si rese conto solo più tardi.
Fu un periodo straordinario, non solo per l’Italia. Il nostro Paese, naturalmente povero di materie prime, divenne, grazie alla spinta di Enrico Mattei e dell’Eni, un partner capace di sedere allo stesso tavolo con le potentissime sette sorelle americane del petrolio. La lira, la moneta italiana dell’epoca, venne premiata per due volte dal londinese «Financial Times», nel 1959 e nel 1964, come miglior valuta al mondo. Nella fisica Enrico Fermi, già negli anni Trenta, fondò una scuola di straordinaria levatura in via Panisperna, a Roma, prima di migrare negli Stati Uniti dove tra New York e Chicago fu tra i più ascoltati scienziati che contribuirono alla creazione della potenza nucleare americana.
L’Italia distrutta dalla guerra apparteneva al passato, nel decennio a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta il Paese cambiò rapidamente il proprio profilo, il cinema raccontava la dolce vita, le cronache si impegnavano a definire i contorni del miracolo economico, che arrivava fino a Taranto, dove in quegli anni si costruiva l’enorme acciaieria dell’Italsider. Un’epoca irripetibile.
Nel 1960 la rivista «Time» indicò come Persona dell’anno, per la prima volta, non un singolo individuo, ma un gruppo di 15 scienziati. Fu la fotografia di una stagione straordinaria, in cui scienza e tecnologia sembravano capaci di dare una risposta a ogni grave problema dell’esistenza. Natta fu interprete dello spirito di quell’epoca. Studiava la chimica tedesca da prima della guerra. Negli anni Trenta andò a Friburgo, dove, sulle macromolecole, lavorava Hermann Staudinger, e da lì iniziò il suo studio sui polimeri. Parallelamente lavorò a Ferrara, sulla gomma sintetica, anche se l’intuizione che lo portò al Nobel risale al 1952, quando ascoltò Karl Ziegler in una conferenza e, tornato nei laboratori di Chimica generale del Politecnico di Milano, applicò i principi dello scienziato tedesco al propilene, ottenendo la nuova sostanza. È l’11 marzo 1954 e sulla sua agenda Natta si appunta: «Fatto il polipropilene». Nulla di più.
Il catalizzatore di Ziegler-Natta valse ad entrambi il Nobel, ma lo scienziato italiano non si fermò a quella scoperta. Registrò il brevetto, ne vide le prospettive industriali. Nel 1957 la Montecatini ne iniziò l’utilizzo commerciale. Giulio Natta non si limitò mai alla teoria. Si aprì alle collaborazioni, la sua abitazione milanese di via Mario Pagano divenne l’ideale estensione dell’aula universitaria. L’aggettivo che venne associato alla creazione del polipropilene, isotattico, fu suggerito dalla moglie, Rosita Beati, laureata in Lettere con la passione per l’etimologia: la caratteristica della creazione di Natta risiedeva infatti negli atomi di carbonio, che avevano tutti la medesima configurazione relativa. Erano insomma ordinati. «Ho trovato solo il modo di mettere in fila le molecole, come soldatini in parata», commentava il professore.
Natta era affascinato dalle contaminazioni: l’università, il Cnr, l’industria privata. Già nel 1947, con l’Italia in ginocchio, viaggiò con Piero Giustiniani, allora direttore della Montecatini e uomo di fiducia del presidente Guido Donegani, negli Stati Uniti. Fu qui che vide i primi impianti petrolchimici: per entrambi fu un momento di svolta, al punto che al rientro in Italia la Montecatini, che solo nel 1966 si sarebbe fusa con la Edison dando vita alla Montedison, finanziò la costruzione di più impianti in Italia, da Porto Marghera a Brindisi.
«Lo spirito visionario del professor Natta – racconta Rinaldo Psaro, già direttore dell’Istituto del Cnr di Scienze e tecnologie molecolari e oggi associato senior al Cnr-Scitec, l’Istituto di Scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” – arrivò a noi come un’onda lunga e si prolungò fino agli anni Novanta. Fu in particolare Renato Ugo, per due volte candidato al Nobel, a stringere il rapporto di collaborazione con quella che era diventata la Montedison. Fu Ugo a riparlare di Natta alla fine degli anni Settanta, quando vennero varati due progetti quinquennali del Cnr, uno dedicato alla chimica fine e l’altro ai materiali. Dopo di questi però il rapporto si è sfilacciato e solo recentemente ci sono tentativi di recuperare il terreno perduto».
È quanto sta accadendo anche a Ferrara, spiega Eleonora Polo, che insegna Chimica metallorganica all’università, dove il petrolchimico ha avviato un percorso di avvicinamento non solo verso gli universitari, ma anche nei confronti degli studenti delle scuole superiori della zona. Qui, ancora oggi, la LyondellBasell produce quella plastica creata a Milano da Natta, dando vita a prodotti insostituibili che troviamo nelle automobili, negli imballaggi, nell’edilizia, nel tessile e nel farmaceutico. Prodotti indistruttibili, ma totalmente riciclabili. Un successo lungo sessant’anni: del polipropilene di Natta si producono nel mondo 60 milioni di tonnellate all’anno. Peccato solo che quei brevetti non siano più di proprietà italiana.