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 2023  novembre 14 Martedì calendario

Biografia di Vincenzo Galatolo

Vincenzo Galatolo (1942-2023). Boss mafioso. Morto a 81 anni in carcere. «Il suo nome è legato ad uno dei più spietati (e dimenticati) crimini di Cosa nostra: l’attentato al giudice Carlo Palermo. La mafia voleva ucciderlo a Pizzolungo (Erice) utilizzando un’autobomba. Era il 2 luglio del 1985. Quel giorno il magistrato sfuggì miracolosamente all’agguato perché a fare scudo alla sua auto fu un’utilitaria che casualmente transitava lungo la stessa strada. Nell’esplosione furono investite in pieno e dilaniate le persone che erano a bordo: una mamma, Barbara Rizzo, e i suoi due bambini, Giuseppe e Salvatore Asta. Due gemelli di appena 6 anni. Per quel terribile attentato Vincenzo Galatolo, boss del quartiere Arenella a Palermo, pochi mesi fa si era visto confermare anche in Cassazione la condanna a trenta anni di carcere. Per la strage di Pizzolungo furono condannati, come mandanti, anche i boss Totò Riina e Vincenzo Virga. E il processo per quell’attentato svela una singolare storia di riscatto, tutta interna alla stessa famiglia Galatolo. Oltre alle prove raccolte dagli inquirenti ad accusarlo di essere stato il responsabile di quella strage fu anche la figlia, Giovanna, diventata collaboratrice di giustizia. “Avevo vent’anni – raccontò tra l’altro la ragazza – a casa sentivo mio padre che diceva: “Quel giudice è un cornuto”. Poi, si verificò l’attentato”. Galatolo, storico componente della commissione di Cosa Nostra, aveva poi altre condanne all’ergastolo, tra le quali quelle per le stragi di Capaci e di Via D’Amelio. Il nome dei Galatolo è legato anche alla lunga scia di morte che insanguinò Palermo dalla metà degli anni ottanta ai primi anni novanta. Dal regno della famiglia Galatolo, vicolo Pipitone, partivano infatti gli “squadroni della morte” incaricati di regolare i conti con le cosche rivali, ma anche di compiere delitti eccellenti. Da vicolo Pipitone partirono anche i sicari incaricati di uccidere il giudice istruttore Rocco Chinnici, il segretario del Pci Pio La Torre, il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa. E sempre vicolo Pipitone, ribattezzato lo “scannatoio dei Corleonesi”, era il luogo di tortura degli esponenti dei clan i rivali» [Sciacca, CdS].