2 novembre 2023
Tags : Heinz Beck
Biografia di Heinz Beck
Heinz Beck, nato a Friedrichshafen (Germania, all’epoca Repubblica Federale Tedesca) il 3 novembre 1963 (60 anni). Cuoco. Dal 1994 a capo del ristorante La Pergola di Roma (tre stelle Michelin), sito all’ultimo piano dell’albergo Rome Cavalieri Waldorf Astoria (già Hilton Cavalieri). «Cucino per coloro che mangiano, non per il mio ego» (a Roberto Perrone) • «Volevo fare il pittore, ma mio padre era contrario. Non ho rimpianti, anche se mi dispiace non sapere come sarebbe andata a finire. […] Ho un fratello gemello che aveva scelto la scuola da chef: l’ho seguito». «Heinz, gioielliere mancato (questa l’attività di famiglia), frequenta l’istituto alberghiero. In più prende un master in cucina e uno gestionale/amministrativo. “Oggi per fare ristorazione devi far tornare i conti”» (Perrone). «La sua formazione, dopo l’alberghiero a Passau e il master presso la scuola di Altötting, si era svolta quasi tutta in patria, a Monaco presso un catering stellato, a Friburgo quale chef de partie del Colombi Hotel e soprattutto presso il leggendario Tantris di Heinz Winkler, nelle vesti di secondo e pasticciere. Era la casa di una cucina francesizzante, moderna secondo gli standard del tempo, teutonica per solidità, tecnica e rigore. Poi il Tristán di Mallorca e il Residenz di Aschau, sempre in qualità di sous-chef» (Alessandra Meldolesi). «“Ero chef in un locale berlinese, l’Harlekin, prima metà degli anni Novanta. Nell’inverno ’93/94 mi chiama l’allora direttore del Cavalieri, il signor Hans Fritz, tedesco pure lui, ma non ci mettiamo d’accordo. Gli ero stato suggerito da Heinz Winkler, dove avevo lavorato prima di Berlino. Avevo in testa la Spagna e una certa cosa, ma non chiudemmo l’accordo. […] Ero anche lì lì per lasciare la cucina e tornare a casa per lavorare nella gioielleria di famiglia”. Poi arrivò un’altra telefonata: “Mi richiamò il signor Fritz, e quella volta fu la volta buona. Buona per me, perché a mio padre, di nome Hermann ovviamente, come suo padre e il padre di suo padre, non dissi nulla se non che sarei andato per due anni in Italia per imparare la lingua e conoscere meglio la cultura italiana. Invece il 1° agosto 1994 entravo alla Pergola”. […] “Dovevamo aprire La Pergola per novembre, dopo tre mesi di preparativi e rodaggi”. Dovevano, ma non fu così: “Arriva ottobre, proprio il giorno 1° mi cerca il direttore Fritz per dirmi che il vicepresidente della catena degli Hilton (oggi Waldorf, ndr) sarebbe passato per Roma di lì a 48 ore e che, naturale, voleva sapere come procedevano i lavori alla Pergola. E allora io il 2 pensai a come presentargli tutto bene e per il 3 ottobre, su un tavolo imperiale, disposi tutti i piatti che avevamo in mente per la carta invernale, ognuno con la sua brava targhetta davanti con il nome”. Heinz ride ancora ora: “Il boss arriva con Fritz, gira, guarda, chiede, soppesa, tocca, fa insomma tutto quello che si fa in questi casi, e tutto sembra piacergli al punto che alla fine chiede se siamo pronti. E noi, Fritz e io, rispondiamo di sì, e così lui replica pronto: ‘Bene, allora domani aprirete’. Non avevamo stoviglie nel numero giusto né i piatti o le posate. Eravamo pronti nel senso che non eravamo in ritardo con i lavori e con i pensieri, ma aprimmo lo stesso”» (Paolo Marchi). «Quello che il giovane chef tedesco […] trovò fu un locale sicuramente lussuoso, sicuramente magico per la vista su tutta la capitale che si gode dalla sua terrazza. Ma anche, come capitava spesso allora, il classico ristorante d’albergo, con una cucina stanca e senza guizzi, pensata per accontentare i clienti dell’hotel, danarosi, sì, ma raramente gourmet. Da parte sua, Beck, di esperienza di alta cucina, ne aveva da vendere. […] Di certo però la cucina italiana era un mondo per lui ancora sconosciuto» (Antonio Scuteri). «A Roma ho cercato di ambientarmi, mangiando nei ristoranti tipici e studiando i libri di cucina. Ma non è così che si sviscera una gastronomia. Per capire cosa fosse l’italianità ho dovuto aspettare di conoscere mia moglie Teresa, che è siciliana. Perché il sapore passa sempre attraverso la famiglia e l’affetto». «La Roma in cui Heinz planava senza conoscere una parola di italiano era gastronomicamente molto arretrata: solo quattro ristoranti avevano una stella Michelin (Relais Le Jardin, Quinzi & Gabrieli, La Rosetta e Checchino dal 1887) e tutti l’hanno persa con il tempo, anche se alcuni di essi continuano a lavorare onorevolmente. […] Beck da vero secchione si mise sotto a studiare la lingua e la cucina italiana, esibendo quel classico rispetto filologico nei confronti delle nostre materie prime, delle nostre tradizioni, delle nostre ricette. Nel 1998 alla Pergola plana la prima stella, che nel 2001 diventano due e nel 2005 addirittura tre, cosa che non era mai accaduta, né mai più avverrà, a Roma» (Andrea Cuomo). «È arrivato nel 1994 “con l’idea di rimanere un paio d’anni”. […] È ancora qui, a osservare l’Italia dalla sua tavola, a cui si sono avvicendati re, presidenti, cardinali (qualcuno diventato papa), star di tutti i tipi. I signori rigorosamente in giacca. “I Rammstein, gruppo industrial metal tedesco, hanno sfasciato il backstage del concerto, poi hanno cenato con il blazer, impeccabili”. […] Da qui se ne vanno tutti estasiati, come Michelle Obama. “Thank you, Heinz, for the fagottelli”» (Perrone). «Heinz Beck è sicuramente il più globale dei cuochi che vivono e lavorano in Italia. […] Beck è l’uomo che ha cambiato la realtà della ristorazione d’albergo, portando le tre stelle Michelin sulla cima del quartiere Trionfale, in un albergo […] sicuramente lussuoso ma lontano dalla magia dei grandi hotel accoccolati nel centro storico della capitale. Uno sforzo straordinario che ha avuto come esito felice la diffusione del verbo “beckiano” da Tokyo all’Algarve, passando per Londra e Dubai» (Licia Granello). «Si può quindi incontestabilmente sostenere, guida rossa alla mano, che […] Heinz Beck lo chef di Friedrichshafen sia il re gastronomico di Roma. Un dominio incontrastato, quasi una tirannia. […] In quasi trent’anni la capitale è passata da 4 a 21 stelle. Potere dei grandi esempi. Possiamo ora dire che si sta per chiudere la prima grande stagione della beckitudine. […] In autunno la Pergola chiuderà, e ripartirà in aprile con un décor tutto nuovo e con molte nuove idee in cucina, “che non ti dico, perché le novità sennò non sono novità”, dice Beck» (Cuomo) • «Gusto, classe e soprattutto leggerezza. A Beck va riconosciuto di essere stato uno dei primissimi cuochi a impegnarsi sul rapporto cibo-medicina. “Ho iniziato nel 2000 con una prima ricerca sull’alta cucina e la salute. In quei tempi non è stato facile convincere i professori universitari a darmi retta, ma io cercavo la digeribilità a tutti costi, pensando alle degustazioni composte da molti piatti. Stagione dopo stagione, ho continuato a lavorare sul tema, che è fondamentale. E nel 2010 ho scritto pure un libro come Ipertensione & alimentazione, di cui vado orgoglioso”, dice lo chef tedesco» (Maurizio Bertera). «Per me il cibo deve essere prima di tutto sano, successivamente gustoso e poi bello» • «Mi sono innamorato del Paese e di questa splendida città che dà tanto in ispirazione, colori. Quando finisci di lavorare, è come stare in vacanza». «Un tedesco che ama l’Italia, pronto a difenderla con un’arringa alta e affettuosa. “Il pregio degli italiani è la creatività. Difetto? Mah, ora non mi viene. Gli italiani non sono cattivi, pigri e corrotti. Certo ci sono anche questi. Come in Germania, come dappertutto. Si dice ‘i tedeschi sono persone precise’: ma quando mai? Non c’entra il Paese, ma la persona. Non esiste il Paese perfetto. Nessuno può scegliere dove nascere, ma uno può scegliere dove vivere. Io ho deciso di vivere qui. Ah, ecco il difetto degli italiani: si buttano troppo giù”. Un tedesco che ama l’Italia e l’ha sposata, in tutti i sensi. Sua moglie si chiama Teresa, siciliana di Palermo. “È la persona che devo ringraziare di più. Non ci sono mai”. Matrimonio il 5 gennaio del 2001. “Dopo un anno di corteggiamento”. Molto italiano. “Ma no, la corte, la fanno anche i tedeschi. Io comunque sono un tedesco del Sud. L’ho vista e mi sono innamorato”. E lei cucina? “Benissimo. Adoro la sua pasta con i tenerumi”. Dove fa le vacanze? “Sempre al caldo, sempre al mare”. Ma di tedesco cosa è rimasto? “Il rigore, ma poi vale il discorso precedente. Mia moglie, ad esempio, sulla precisione è imbattibile”» (Perrone). La moglie, Teresa Maltese, è anche sua socia, «fondamentale nelle scelte imprenditoriali di Beck, a partire dall’apertura nel 2014 – a Dubai – del Social by Heinz Beck sino al Gusto ad Almancil, in Portogallo, che ha una stella Michelin. A proposito di stelle, in Italia oltre alle tre di La Pergola – consecutive dal 2005 – Beck può vantarne due con il St. George all’interno di The Ashbee Hotel a Taormina» (Bertera) • «Non parlo con i miei da circa otto anni e nemmeno li vedo. Loro non vengono a Roma e io non vado in Germania. Volevano un figlio impiegato in negozi che ora non ci sono più. Vennero due volte qui e due volte litigammo di brutto: meglio basta. Tutto iniziò quando scoprirono che non ero in Italia per imparare la vostra lingua. Non me l’hanno mai perdonata» (a Paolo Marchi, nel 2014) • «Vivere in Italia per noi chef è un grande vantaggio: abbiamo a disposizione una materia prima così ricca di sapori e di micronutrienti che rappresentano un grande valore aggiunto per i nostri piatti. È fondamentale, però, capire come e quando utilizzare i diversi prodotti, e soprattutto come lavorarli e cucinarli per non danneggiarli e perdere il loro valore» (a Eleonora Cozzella). «Oggi faccio una cucina d’autore con influenze italiane, qualcosa che fa parte della forma mentis di un popolo come il mio, avvezzo alle contaminazioni per mancanza di frontiere naturali. Ed è in continua evoluzione. […] Non smettiamo mai di ricercare prodotti di qualità, da elaborare con tecniche e cotture nuove, in cerca di equilibri diversi». «La sua cucina è classica contemporanea, lucida e perfetta, un omaggio permanente alla tradizione italiana, che Beck, da secchione tedesco, ha studiato nei minimi dettagli per invitare noi italiani ad amarla in rinnovati modi. “Non bisogna mai dimenticare da dove veniamo. Soprattutto nei primi anni, ho lavorato molto sui piatti della tradizione, cercando di capire il perché di ognuno e il percorso che aveva portato alla forma attuale. Solo così puoi permetterti di migliorare la ricetta, e oggi ha senso farlo in nome di una maggiore digeribilità, se sono ancora piatti non leggeri e salutari. Mai pensato alla tradizione italiana come a qualcosa di monolitico e bloccato”. È così che nascono piatti formidabili, storici e inediti, quali i Fagottelli, che rimescolano il Dna della carbonara e fanno parte della Hall of Fame della nostra cucina, le Animelle di vitello con frutti rossi e basilico, gli Spaghetti con coniglio e cime di rapa, il Piccione con miele, propoli e polline, la Gelatina di mandarino con crema di panna al timo e gelato alla mandorla Pizzuta d’Avola» (Bertera) • Tra le sue passioni, la musica rock, l’arte contemporanea e le auto da corsa • «Bavarese elettrico» (Perrone). «Minuto, sorridente, sempre gentile. Quasi anonimo, per certi aspetti. Ben poco traspare di quello che c’è dietro, di quel vulcano di energia, rigore, meticolosità, capacità organizzativa, forza mentale (e anche fisica) che hanno reso questo chef tedesco innamorato dell’Italia una stella luminosa nel firmamento della grande cucina mondiale» (Scuteri) • «Quando non sono in viaggio, dalle 18 sono sempre ai fornelli con la mia brigata. Mi piace soprattutto cucinare i piatti di pasta, perché mi rilasso». «Il sistema-Heinz Beck è una dittatura democratica. “Fino alle 19 tutti possono parlare con me, di problemi lavorativi o personali, di idee. Alle 19 si spegne la radio – abbiamo un bellissimo impianto stereo – e non c’è più democrazia, ma una dittatura. Non sono un despota, ma durante il servizio uno dirige, gli altri seguono”» (Perrone). «I suoi occhi guizzano ovunque alla ricerca del particolare. Perché se c’è qualcosa che non gli sfugge sono proprio i particolari, dalla disposizione dei fiori di zucca in un piatto alla stiratura delle divise della sua brigata. Con la quale è generoso negli insegnamenti, con l’attitudine del maestro che non lesina i suoi segreti. Ma anche rigidissimo ed esigente come pochi: alla Pergola, come in ogni tristellato, gli errori non sono ammessi, e si pagano (come minimo con una sfuriata)» (Scuteri). «La mia cucina è una bottega nella quale i giovani hanno spazio e una prospettiva di apprendimento. Non basta stare dietro ai fornelli e creare bei piatti. La ristorazione è un mestiere difficile e completo come pochi altri e serve una formazione di alto livello, perché è la sintesi di creatività, produzione, programmazione, marketing e pubbliche relazioni» (a Federico De Cesare Viola) • «Beck sostiene da sempre la necessità del guadagno nell’alta cucina. Un fatto meno ovvio di quanto sembri, in tempi in cui i ristoranti diventano spesso solo uno spazio promozionale per le attività altre degli star chef (leggi catering e televisione) e mancano di solidità. “Un ristorante deve avere la certezza del guadagno quando si ha la responsabilità di tante famiglie, altrimenti non è etico – sottolinea lo chef –. L’alta cucina è un’esperienza completa con standard precisi. Bisogna saper individuare tutti i costi con un business plan serio”» (De Cesare Viola) • «Avere il ristorante pieno tutte le sere fa piacere, è ovvio. E sono felice ogni volta che un critico apprezza il mio lavoro. Ma il mio obiettivo principale è trasmettere un sentimento. Ai clienti, che vorrei si alzassero da tavola felici, certi di aver fatto una nuova esperienza che ha coinvolto tutti i sensi. E alla mia brigata di cucina: io non scelgo mai i ragazzi sulla base del curriculum, ma cerco di capire se hanno il mio stesso sentire. Solo così potremo lavorare tutti insieme» • «Ho vent’anni e posso ancora sognare. Il piatto migliore è sempre il prossimo».