7 novembre 2023
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Biografia di Kazuo Ishiguro
Kazuo Ishiguro, nato a Nagasaki (Giappone) l’8 novembre 1954 (69 anni). Scrittore (giapponese naturalizzato britannico). Premio Nobel per la letteratura nel 2017.
Titoli di testa «Non ho nessuna grande teoria su ciò che l’arte dovrebbe essere. Ma posso dirle cosa sono i libri per me. Sono consolazioni» (a Livia Manera)
Vita A cinque anni si trasferì con la famiglia a Guildford, in Inghilterra, al seguito del padre oceanografo, invitato a svolgere ricerche presso il National Institute of Oceonography di Southampton. Il soggiorno si protrasse oltre le aspettative iniziali, e Ishiguro ebbe in Inghilterra la sua formazione scolastica e universitaria, fino alla laurea in Inglese e Filosofia, conseguita all’Università del Kent nel 1978. La sua prima passione fu la musica. «Fin da bambino suono il pianoforte e fin da adolescente la chitarra, e quand’ero giovane sognavo di essere un cantautore come Bob Dylan o Leonard Cohen o il vostro Fabrizio De André. Tra i quindici e i ventitré anni ho composto un centinaio di pezzi passando per tanti stili, dall’autocontemplativo allo sperimentale e al poetico-visionario» (a Leonetta Bentivoglio). «Da ragazzo componevo canzoni e volevo fare il musicista. Be’, siccome non riuscivo a piazzarle, e fare l’assistente sociale, che è stato il mio lavoro fino al 1982, mi dava molto stress, per uscire da questa situazione ho fatto domanda di una borsa di studio, un po’ a caso, per studiare teatro o scrittura creativa. E l’ho vinta, all’Università dell’East Anglia, appunto per creative writing. Scrivere, dunque, all’inizio è stato per me come un matrimonio combinato. Poi, con il tempo, l’amore è venuto». «Angela Carter consigliò al giovanissimo Kazuo Ishiguro, suo allievo al corso di creative writing presso la East Anglia University di Norwich (siamo nel 1980), di attenersi alla sua Japaneseness per i primi cimenti letterari. […] Diligentemente, Ishiguro diede alle stampe un paio di racconti e il breve romanzo A Pale View of Hills [tradotto in italiano Un pallido orizzonte di colline – ndr] (1982), dove una vedova giapponese di mezz’età, […] immigrata in Inghilterra alla fine della Seconda guerra mondiale, ricostruiva un passato recente ma nebuloso e incerto nei suoi contorni, che tale appariva per la reticenza della narratrice e per il suo occasionale (e però testardo) indulgere alla pratica, così familiare agli inconsolabili e agli sconfitti, dell’autoinganno» (Stefano Manferlotti). Rimozione di ricordi dolorosi, autoinganno, bisogno di consolazione: nel primo romanzo di Ishiguro sono già presenti in nuce i temi fondamentali che ricorreranno poi, variamente sviluppati e trasfigurati, in tutta la sua produzione letteraria. Nel 1986 uscì il secondo romanzo, Un artista del mondo fluttuante, il cui protagonista è un anziano pittore giapponese che, «parlando a metà degli anni Cinquanta, rievocava fatti di prima della guerra, e ascoltando la propria voce veniva a scoprire il proprio sostanziale fallimento, dovuto all’emarginazione per i compromessi con lo sconfitto regime nazionalista. Anche Quel che resta del giorno avrebbe preso la strada della reminiscenza e dei conti da fare col passato. Ma questa volta Ishiguro si rifece in superficie a precedenti ben noti, ovvero alle storie di Wodehouse o di Nancy Mitford […] nelle grandi case di campagna inglesi di una volta. Un anziano maggiordomo ormai in pensione ripercorre le tappe di un’esistenza servile della quale era stato fiero finché si svolgeva, ma che adesso gli si rivela in tutto il suo vuoto, così come gli splendidi ricevimenti dati dal suo padrone avevano a loro tempo solo fatto il gioco di Ribbentrop, ambasciatore di Hitler. Il romanzo è scritto con una padronanza stilistica degna dei modelli (peraltro ribaltati: questo Jeeves è un pomposo fantoccio, un pallone gonfiato), doti confermate nei romanzi successivi, che peraltro spostarono il realismo dei particolari sempre più verso la dimensione dell’incubo» (Masolino D’Amico). «C’è, nella storia di scrittore di Kazuo Ishiguro, una cesura. Diciamo che si produce nel 1995, sei anni dopo il romanzo che lo ha portato al successo mondiale (Quel che resta del giorno) e dopo un trio di romanzi (due di ambiente giapponese, Un pallido orizzonte di colline e Un artista del mondo effimero [titolo della prima edizione italiana – ndr], e uno, appunto Quel che resta del giorno, massimamente britannico) che convenzionalmente potremmo descrivere come realistici, o quanto meno come riferiti a un mondo preciso e reale. Convenzionalmente realistici. Perché Ishiguro, anche nella precisione maniacale con cui descrive i riti di due società profondamente formali come quella giapponese e quella britannica, resta soprattutto un poeta, che estrae dalla realtà una forma unica di linguaggio, di invenzione e di metafora. La cesura si colloca dopo il successo – certo travolgente, in tutti i sensi – di Quel che resta del giorno. E con Gli inconsolabili si apre una nuova stagione della narrativa di Ishiguro. In cui la realtà […] viene spostata di qualche grado rispetto al suo vero asse, quasi vera e assolutamente non vera, nella stessa misura in cui la realtà, nel dormiveglia o al risveglio dal sonno, sembra strana e diversa, ma spesso rivelatrice, o il mondo dei sogni assomiglia, deformato, a quello di ogni giorno» (Irene Bignardi). «Il protagonista di The Unconsoled [Gli inconsolabili, appunto – ndr] è inglese, si chiama Ryder, ed è un grande pianista, invitato per un recital in una città appassionata di arte e di musica (Salisburgo? Vienna?) di un imprecisato Paese centroeuropeo dove si parla tedesco, il tempo scorre e si dilata secondo il ritmo misterioso dei sogni, e c’è nell’aria una crisi tanto drammatica quanto senza nome. […] “Finora ho sempre usato il flashback e la memoria, e le biografie dei miei personaggi venivano ricostruite attraverso il ricordo. Per The Unconsoled ho tentato in una certa misura il metodo che usano i sogni, e ho fatto uscire il passato del mio protagonista dal confronto con gli altri personaggi. Succede anche nella vita di tutti i giorni: ci appropriamo delle storie degli altri per illustrare le nostre storie”. […] “I miei primi romanzi sono stati visti come il racconto di un determinato momento storico, e in certa misura lo sono. Ma il Giappone di Una pallida linea di colline o di Un artista e la West Country di Quel che resta del giorno erano solo strumenti di comodo per i miei temi: prima di tutti la repressione delle emozioni, la rimozione della coscienza. Per The Unconsoled ho tentato di sgombrare il campo dagli equivoci, collocando la storia fuori dal tempo e dallo spazio, in modo che nessuno potesse pensare di leggerla come una metafora storica. E invece qualcuno mi ha chiesto se la crisi mai detta della città non sia per caso una allegoria della caduta del comunismo…”» (Bignardi). «Quando eravamo orfani, il quinto libro di Ishiguro, […] è la storia di un’infanzia spezzata, "delle missioni e dei compiti che pensiamo di non aver portato a compimento da piccoli e che per il resto della vita ci prefiggiamo di concludere". Capita nel libro che Christopher Banks, bambino felice nel tranquillo quartiere internazionale della turbolenta Shanghai dell’inizio del secolo, si veda sparire davanti agli occhi il padre e la madre, rapiti e nascosti da qualche parte, che venga spedito in Inghilterra da degli zii, che cresca per diventare un super-detective deciso a risolvere il grande mistero che ha messo fine alla sua infanzia e ha segnato la sua personalità, che decida di tornare a Shanghai, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, nel pieno di un imprecisato e sanguinoso attacco giapponese, per scoprire la verità. […] Si potrebbe anche vedere Quando eravamo orfani, con quel bordeggiare tra realtà e sogno, come una versione più facile di Gli inconsolabili? "Sono libri diversi, e certo questo è più facile, per via del pastiche poliziesco, della costruzione a suspense. Ma, è vero, la storia a grandi linee è la stessa. Anche lì c’è un personaggio che al di là di ogni convinzione razionale crede che si possa tornare a casa, per sistemare qualcosa che si è spezzato nel passato, qualcosa di cui si sente colpevole per impotenza. Anche a lui si è congelato qualcosa nella testa, anche per lui si è fermato il tempo. Banks pensa che se fosse un detective veramente bravo sarebbe capace di ritrovare i suoi genitori scomparsi. Ryder pensa che se lui fosse stato un bravo pianista tutta l’infelicità domestica si sarebbe risolta. […] È vero, questo […] libro è nato in buona parte dalla voglia di percorrere la stessa strada in maniera più semplice. Ma non è la prima volta. Anche Quel che resta del giorno era in un certo senso la riscrittura di Un artista del mondo effimero. Sento il bisogno di percorrere e ripercorrere lo stesso territorio, di fare la stessa cosa in modi e stili diversi, di riesaminarlo. Non sono il tipo di scrittore che scrive un libro e poi ha chiuso con quel soggetto"» (Bignardi). Il 2005 vide l’uscita del suo sesto romanzo, l’acclamato Non lasciarmi, «quasi una storia di fantascienza, al solito raccontata da una persona che sembra non rendersi veramente conto di cosa c’è dietro. Seguendo tre ragazzi dalla fanciullezza alla prima maturità scopriamo poco alla volta che essi sono in realtà le ignare cavie di un esperimento mostruoso, con un’atmosfera sempre più sinistra. […] Tra questo e l’ultimo romanzo ci furono i racconti di Notturni (2009), tutti con musica o musicisti, e tutt’altro che rassicuranti. Quanto al Gigante sepolto (2015), […] è […] una escursione nel mondo leggendario dell’alto Medioevo britannico, con conflitti parastorici tra Britanni e Sassoni, e interventi del soprannaturale. […] Questo mondo, evocato con la consueta maestria e indisponibilità a ripetersi, fa però stavolta da sfondo a una vicenda accattivante, addirittura a una storia di amore tra vecchi coniugi impegnati in un lungo viaggio alla ricerca del figlio, con una sorta di accettazione anche del male come parte dell’esistenza, che in ogni caso va vissuta» (D’Amico). Il 5 ottobre 2017, la notizia, inaspettata, del conferimento a Ishiguro del premio Nobel per la letteratura, in quanto, «in romanzi di grande forza emotiva, ha svelato l’abisso sottostante al nostro illusorio senso di connessione con il mondo». «"Ero solo in casa, stavo scrivendo un’e-mail al tavolo della cucina. Telefonano dalla Faber, la mia casa editrice inglese, dove stavano seguendo la cerimonia da Stoccolma, e mi fanno sentire l’audio in diretta con l’annuncio che mi riguarda". Cosa ha provato? "Ho pensato a un errore o una beffa. Viviamo nell’epoca delle fake news, no? Per cui ho detto ai miei editori di informarsi meglio e controllare. Ma nel frattempo mi ha chiamato la Bbc, e io sono uno all’antica, mi fido della Bbc: quando lo hanno detto loro, ci ho creduto. Sebbene fossi convinto che il comitato del Nobel telefonasse per primo al vincitore e solo in seguito comunicasse la cosa al resto del pianeta. Evidentemente non funziona così". Ma poi da Stoccolma l’hanno chiamata? "Sì, dopo un po’ hanno chiamato anche loro: una voce molto gentile mi ha chiesto se volevo accettare il Nobel. Lo ha detto in modo così pacato che sembrava un invito a un party, qualcosa che uno potrebbe anche rifiutare, ‘mi spiace, non posso’. Naturalmente ho detto di sì, che accettavo eccome”. […] “È una decisione stupefacente e totalmente inaspettata, presa in un momento in cui il mondo è incerto sui propri valori, sulla propria leadership e sulla propria sicurezza. Spero che il fatto che sia io a ricevere questo enorme onore possa, anche in lieve misura, incoraggiare le forze per il bene e per la pace”. […] “Quasi mi vergogno ad averlo vinto io quest’anno, al pensiero dei tanti grandi scrittori contemporanei che non l’hanno ancora vinto. Mi piacerebbe che lo vincesse Salman Rushdie. Mi piacerebbe che lo vincesse Haruki Murakami. Spero che tocchi a loro negli anni a venire”» (Enrico Franceschini). «Dopo i reportage narrativi di Svetlana Alexievich e i versi di Bob Dylan, finalmente ha vinto un romanziere. Uno che inventa personaggi e trame, senza cercare ogni minuto di togliere il terreno sotto i piedi del lettore. Come ormai amano fare gli estenuati europei, decretando la morte del genere ogni volta che capita l’occasione (e anche quando l’occasione non capita). […] Non ha pregiudizi verso i generi popolari, per esempio la fantascienza. Può piacere o non piacere – dipende da quanta fantascienza avete letto prima: in tal caso potreste trovarlo un po’ lento –, ma per una volta il Nobel per la letteratura lo ha vinto il romanzo, non la geopolitica né le minoranze» (Mariarosa Mancuso) • «Dalle sue opere sono stati tratti due film variamente fortunati, e che non si potrebbero immaginare più diversi. Il più noto è ovviamente Quel che resta del giorno (1993) di James Ivory, con un memorabile Anthony Hopkins. […] Non lasciarmi (2010) di Mark Romanek, invece, mélo con uno sfondo da fantascienza distopica, ha acquisito notorietà negli anni, grazie al passaparola degli appassionati» (Emiliano Morreale). Ishiguro è inoltre autore di alcune sceneggiature televisive e cinematografiche (La musica più triste del mondo di Guy Maddin, 2003; La contessa bianca di James Ivory, 2005). «Non mi piace fare gli adattamenti dei miei libri per il cinema. Sono uno scrittore amatoriale di sceneggiature e scrittore professionista di romanzi» • «Fin dall’inizio del mio lavoro di romanziere ho avuto uno speciale interesse per il modo in cui la gente ricorda e per come dimentica: ho sempre concepito questo motivo come una chiave attraverso cui arrivare ad altro. Sia in Un artista del mondo effimero che in Quel che resta del giorno analizzavo il modo in cui anche la persona più idealista, anche chi è dotato delle migliori intenzioni, può a volte contribuire, senza rendersene conto, ad azioni nefaste; e da qui sono passato a tentare di capire quanto sia difficile distinguere una buona causa da una che non lo è. Quando si è coinvolti in prima persona è difficile mantenere una prospettiva corretta su quanto sta accadendo, e questo si rifletterà poi sulla memoria che di questi fatti si avrà: una memoria che io adopero come una lente in grado di farci vedere quanto è accaduto in modo deformato» (a Francesca Borrelli). «Come mai i suoi romanzi sono tutti scritti in prima persona [tranne l’ultimo, Il gigante sepolto – ndr]? “È un’apparente contraddizione, perché non sono uno scrittore autobiografico. I miei personaggi sono lontanissimi da me. […] Forse è perché ho iniziato come scrittore di testi per canzoni: ne ho scritte centinaia, volevo essere uno scrittore di canzoni. Quando ho incominciato a scrivere romanzi mi sembrava naturale scrivere in prima persona, come se fossi un cantante: le mie storie sono come canzoni scritte. […] Mi è più facile sentire la storia se sento la voce del personaggio”» (Maria Emilia Piccone). «Le storie possono intrattenere, in qualche caso insegnare o mettere in discussione un punto. Per me, tuttavia, la cosa essenziale è che comunichino emozioni. Che si rivolgano a ciò che noi esseri umani abbiamo in comune al di là dei confini e delle differenze. Dietro alle storie ci sono enormi industrie affascinanti: l’industria del libro, l’industria del cinema, l’industria della televisione, l’industria del teatro. Ma, in definitiva, le storie si riducono a una persona che dice a un’altra: “Questo è ciò che provo. Riesci a capire quello che dico? È lo stesso anche per te?”» • Vive tuttora a Londra con la moglie, un’assistente sociale scozzese, e la figlia • «Se nei suoi romanzi ama dipingere figure dolenti e melanconiche, nella vita è persona non solo garbata e modesta, ma anche allegramente piena di vita e di interessi, come il cinema e la musica, che lo accompagnano sin dall’infanzia» (Benedetta Gentile) • «Se c’è al mondo un artista capace di illuminare il lato sinistro della normalità, questo artista, anzi nel caso specifico questo scrittore, è senz’altro Kazuo Ishiguro. […] “Io cerco metafore semplici per descrivere la vita che conosco. Metafore che mi servono per creare una prospettiva”, dice» (Manera). «Ishiguro non è solo uno dei maggiori scrittori britannici della seconda metà del Novecento, ma è un giapponese nato nella città della bomba atomica che ha assimilato e filtrato, in uno stile nitido e trasparente – attento al dettaglio e sempre "in sottrazione", incline al levare più che al battere –, il patrimonio dei classici nipponici. Benché il retaggio della cultura d’origine sia diventato in lui sempre più distante, […] l’ottimo "Ish" resta una parte essenziale di quel fertile gruppo di autori di provenienze varie (vedi, tra gli altri, Rushdie e Kureishi) che ha dato alla letteratura contemporanea inglese un apporto decisivo» (Bentivoglio) • «I miei genitori hanno sempre avuto una sorprendente mancanza di risentimento riguardo alla bomba: la loro è stata una generazione molto a favore dell’America e molto critica, invece, verso i leader che li hanno portati alla guerra. Per mia madre non c’era niente di straordinario nelle bombe su Hiroshima e Nagasaki: era solo una delle tante cose orribili fra gli orrori della guerra. La bomba atomica ha avuto più importanza per la mia generazione, che è cresciuta durante la Guerra fredda: per noi la bomba aveva il significato simbolico di una minaccia per il futuro» • «Quando ho iniziato a scrivere, […] avevo bisogno di sistemare i miei ricordi del Giappone, perché pensavo di ritornarvi. […] Dopo il secondo romanzo diventò più facile scrivere come la persona che ero, educata in Gran Bretagna: non mi sembrava più naturale scrivere di un Giappone di cui non sapevo molto». «La verità è che io non ho mai veramente detto addio al Giappone: solo un addio temporaneo. Forse lo avrei salutato diversamente se avessi saputo che era per sempre. Non era neanche questione di reinventarci il Giappone a Guildford. Allora non erano anni di sushi nei supermercati: così persi improvvisamente anche i sapori della mia infanzia. Quando, con l’avvento dei primi ristoranti giapponesi, li ho ritrovati, è stata una sconvolgente esperienza degna di Proust, con il sushi al posto delle madeleine. Il Giappone restava il luogo del sogno e della memoria. Poi nel 1989 ci sono tornato con mia moglie Lorna per presentare Quel che resta del giorno. Ho preso l’aereo. Sono atterrato in un aeroporto. Mi hanno messo in un bellissimo albergo moderno. E il mio Giappone è diventato una qualsiasi mèta sulla mappa del mondo». «Non so cosa significa essere uno scrittore giapponese o britannico: gli scrittori scrivono in quanto individui. […] Ho sempre pensato a me stesso soltanto come a uno scrittore, pur con le influenze del mio background giapponese, britannico e internazionale. […] Quando dico di avere influenze giapponesi, è perché sono stato cresciuto da genitori giapponesi in una casa in Inghilterra in cui si parlava giapponese, sono stato preparato per essere un adulto in Giappone, sono rimasto in Gran Bretagna per caso. E mi è stato insegnato a guardare alle cose in una maniera giapponese» • Nel 2021 è stato pubblicato presso Faber and Faber il suo ottavo romanzo, intitolato Klara and the Sun, tradotto in italiano per Einaudi, con il titolo Klara e il Sole.
Titoli di coda «Sono curioso di scoprire perché la Sicilia ha prodotto così tanti scrittori di livello mondiale, quando il continente d’Italia ne produce a stento».