13 novembre 2023
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Biografia di Carlo De Benedetti (Carlo Debenedetti)
Carlo De Benedetti (Carlo Debenedetti), nato a Torino il 14 novembre 1934 (89 anni). Ingegnere. Finanziere. Imprenditore. Editore.
Titoli di testa «Sono l’ultimo grande vecchio che è rimasto in Italia, […] perché gli altri sono morti. Non per merito ma per decorrenza dei termini, come si dice»
Vita A proposito del cognome, il fratello Franco Debenedetti (classe 1933), celebre dirigente, politico e saggista, ha spiegato a Sergio Rizzo: «Mio padre ha sempre scritto il suo cognome “Debenedetti”, tutto attaccato. Mio fratello Carlo ed io siamo registrati all’anagrafe così. Alcuni fratelli di mio padre scrivevano invece il cognome “De Benedetti”, staccato. Entrambe le versioni convivono all’interno della stessa famiglia. Io mantengo la versione filologicamente corretta. Mio fratello è più pragmatico» • Ascendenze ebraiche sefardite per parte paterna (cattoliche, invece, la madre e la nonna paterna). «Il bisnonno, Salvador Bonifort Debenedetti, sposato con Dolcina Artom (cognomi che contano, nella storia del Risorgimento italiano, ma anche della finanza del Nord) aveva avuto sedici figli. […] Da Israel […] era nato Rodolfo Debenedetti» (Antonio Calabrò e Fabio Tamburini). «Rodolfo Debenedetti padre, […] quinto di otto fratelli, nacque nel 1892 ad Asti. Il padre, Israel, ebreo, aveva sposato una cattolica, Olimpia Boano. […] Nel 1921 fonda insieme ad altri soci un’azienda per la produzione di tubi flessibili in metallo, la “Compagnia italiana tubi metallici flessibili spa”, fabbricando su licenza tedesca, grazie al sostegno finanziario dei cugini banchieri, i De Benedetti del lato Camillo. Sua moglie, Pierina Fumel, è una ragioniera della ditta, e sarà una compagna anche nel lavoro. Dopo l’8 settembre del 1943, la famiglia Debenedetti si rifugia in Svizzera; la fabbrica è distrutta. Durante i due anni trascorsi a Lucerna, alla pensione Ruttmann, Franco e Carlo frequentano la scuola cantonale e imparano il tedesco. Ciascuno teneva un diario, […] in cui annotava i fatti del giorno. […] Finita la guerra, Rodolfo rimette in piedi la fabbrica, e la produzione di tubi riprende l’attività» (Marco Ferrante e Silvia Bernasconi). «Prende la laurea in Ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Torino nel ’58. Giusto il tempo di chiudere i libri, e il padre Rodolfo lo fa entrare nell’azienda di famiglia, la Compagnia italiana tubi metallici flessibili. La svolta arriva però più di un decennio dopo – era il 1972 –, quando acquista assieme al fratello Franco […] la Gilardini, società quotata alla Borsa di Milano che fino ad allora aveva operato nell’immobiliare. L’Ingegnere cambia radicalmente settore di business e la trasforma in una holding, la prima di una lunga serie, impegnata nell’elettromeccanica. Ma proprio attraverso la Gilardini De Benedetti può compiere il primo grande passo nei salotti buoni dell’economia italiana. È il ’76 quando, grazie all’appoggio dell’ex compagno di scuola Umberto Agnelli, viene nominato amministratore delegato della Fiat, portando in dote il 60% delle azioni Gilardini che cede ai suoi nuovi “padroni” (si fa per dire), in cambio di un 5% del Lingotto. Ma l’idillio dura poco: tre mesi, e la luna di miele con la dinasty piemontese dell’auto finisce. De Benedetti si dimette. Sulla vicenda si fece in quei mesi una varietà sconfinata di ipotesi. La più suggestiva riferiva di una scalata tentata dai due fratelli (Carlo aveva portato alla corte degli Agnelli anche Franco) alla Fiat […] Chiusa la parentesi nelle quattro ruote, nel dicembre di quello stesso anno, il 1976, rileva dai conti Bocca le Concerie industriali riunite, che trasforma in breve in una holding industriale ribattezzandola Cir» (Attilio Barbieri). «Gli investimenti della compagnia si diversificano rapidamente: nel 1977, tra l’altro, la Cir acquista la Sasib. Holding finanziaria è la Cofide. Altra creatura di De Benedetti in quegli anni è l’Euromobiliare, una delle grandi finanziarie italiane. È sempre negli anni Settanta che De Benedetti realizza l’operazione che lega il suo destino a quello dell’Olivetti, una delle imprese italiane più conosciute nel mondo: nel ’78 ne diventa vicepresidente e amministratore delegato, nel 1983 presidente e ad» (Maurizio Ricci). «Nel 1978 […] la Olivetti è un’azienda dal nome, sì, glorioso, ma molto indebitata e dal futuro incerto. De Benedetti pone le basi per un nuovo periodo di sviluppo, basato sulla produzione di personal computer e sull’ampliamento ulteriore dei prodotti, che vede aggiungersi stampanti, telefax, fotocopiatrici e registratori di cassa. Soprattutto quello dei registratori di cassa sarà un affare d’oro, quando nel 1985 Bruno Visentini, ministro delle Finanze del governo Craxi, obbliga per legge tutti i commercianti al dettaglio al loro utilizzo con emissione dello scontrino fiscale. Indubbiamente, era una misura indispensabile per combattere l’evasione. Il fatto che lo stesso Visentini fosse stato presidente della Olivetti diede però luogo a fiere polemiche, anche se oggi di quel conflitto di interessi e di quel favore del governo Craxi a De Benedetti si è persa memoria quasi del tutto» (Maurizio Stefanini). «Certo, l’indebitamento era alto e la storia imponeva il difficile passaggio dal mondo della macchina per scrivere a quello dei computer. L’appuntamento fu perso, malgrado gli splendidi inizi (il grande calcolatore Elea, il piccolo Programma 101, primo computer da tavolo al mondo). De Benedetti gestì il lungo declino, non senza adesione allo stile dell’epoca: le mazzette per vendere computer e telescriventi alla pubblica amministrazione. Nel 1993, presentò al pool Mani pulite di Milano un memoriale in cui ammetteva di aver pagato tangenti per 10 miliardi di lire ai partiti per ottenere una commessa dalle Poste italiane. Roma gli fece lo sgambetto: un mandato d’arresto firmato da Augusta Iannini, giudice (e moglie di Bruno Vespa). Manette e liberazione, tutto in un giorno. Iannini, vent’anni dopo, in una lettera al Foglio ha detto di avere un solo pentimento: di averlo scarcerato troppo in fretta. Dieci anni prima, si era imbarcato sul galeone pirata del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Nel 1981 aveva comprato il 2 per cento del già traballante Banco e ne era diventato vicepresidente. Dopo due mesi, era sbarcato di corsa dal veliero che stava per andare contro gli scogli del crac. Porta a casa una plusvalenza di 40 miliardi di lire: gli costa un processo per concorso in bancarotta fraudolenta con condanna in primo grado (8 anni e 6 mesi), confermata in appello, ma evaporata in Cassazione» (Gianni Barbacetto) • «Entra in Buitoni-Perugina e contratta nel 1985 con Romano Prodi un’operazione che può essere considerata l’apripista della stagione delle privatizzazioni: l’acquisto dall’Iri del gruppo alimentare Sme. L’affare viene bloccato dalle forze politiche e sfuma. Sul versante estero, De Benedetti negli anni Ottanta deve invece digerire anche la sconfitta nella battaglia cominciata nel 1988 e terminata nel ’91 per acquisire il controllo della Sgb, Société générale de Belgique, azienda di cui si volle alla fine impedire il passaggio in mani straniere» (Ricci). «Il colpo decisivo gli fu inferto proprio dagli alleati francesi del suo avversario italiano, Agnelli. Da quel momento la storia di De Benedetti sarebbe cambiata. Si attrezzò su un orizzonte più italiano, e lentamente alla lunga storia della competizione con il padrone della Fiat se ne sostituì un’altra, altrettanto intensa: quella con Silvio Berlusconi, che si dispiegò nel gioco delle simpatie e delle appartenenze prima e poi in quel terreno complesso – sospeso tra editoria, politica e potere – in cui entrambi, con funzioni diverse, si concentrarono negli anni Novanta e nei Duemila» (Ferrante e Bernasconi) • «È nel 1987 che De Benedetti diventa editore. Compra una partecipazione nella Mondadori e dunque anche nel gruppo Espresso-Repubblica. Tre anni dopo, la Mondadori di Mario Formenton, sfiancata dal tentativo di entrare nel mercato televisivo, riceve le promesse d’aiuto di due cavalieri bianchi, Silvio Berlusconi e, appunto, Carlo De Benedetti. Entrambi vantano un accordo con la famiglia Formenton per comprarne le azioni. Scoppia la “guerra di Segrate”. La contesa viene sciolta da un lodo arbitrale che dà ragione all’Ingegnere, ma il Cavaliere impugna il lodo Mondadori davanti alla corte d’appello di Roma che, nel gennaio 1991, con sentenza firmata dal giudice Vittorio Metta, annulla il lodo e spiana la strada a Berlusconi, il quale, con una trattativa propiziata da Giuseppe Ciarrapico, taglia con la spada il gruppo e conquista la Mondadori, lasciando all’Ingegnere il gruppo Espresso-Repubblica. Peccato che la Procura di Milano, indagando a partire dal 1996 sulle “toghe sporche” di Roma, scopra che la sentenza Metta era stata comprata con 400 milioni Fininvest, distribuiti dall’avvocato Cesare Previti. Segue risarcimento danni a De Benedetti: 540 milioni. Ormai l’Ingegnere è l’editore di Repubblica e del gruppo l’Espresso. Ed è diventato il grande antagonista di Previti e Berlusconi. Così riesce a ottenere ottimi sconti dall’opinione pubblica antiberlusconiana, per i suoi tanti affari. Nel settore sanitario con il gruppo Kos. Nell’energia con Sorgenia, che, piena di debiti, passa alle banche che lo avevano finanziato. […] Deve consolarsi con operazioni minori, come il blitz finanziario della società M&C, in cui era stato annunciato l’ingresso del Grande Nemico (Berlusconi): nel 2005 gli frutta belle plusvalenze, ma anche un’accusa di insider trading per cui ha pagato una sanzione di 30 mila euro. L’anno scorso [cioè nel 2015 – ndr] trascina in tribunale Marco Tronchetti Provera, che l’aveva sintetizzato così: “È stato molto discusso per certi bilanci Olivetti, per lo scandalo legato alla vicenda di apparecchiature alle Poste italiane, fu allontanato dalla Fiat, coinvolto nella bancarotta del Banco Ambrosiano, finì dentro per le vicende di Tangentopoli”. Per questo fulminante “bigino” della De Benedetti story, chiede un risarcimento di 500 mila euro, ma il tribunale glielo nega» (Barbacetto). Nel gennaio 2009 De Benedetti cedette al primogenito Rodolfo tutte le cariche operative all’interno di Cir tranne la presidenza del Gruppo editoriale L’Espresso, che trattenne per sé fino a portare a compimento, nel marzo 2017, l’incorporazione dell’Itedi (la società editrice dei quotidiani La Stampa e Il Secolo XIX, controllata dagli Agnelli), assicurando alla Cir il controllo della società risultante dalla fusione, rinominata Gruppo Editoriale (Gedi) • Nel gennaio 2015, «dopo aver compiuto 80 anni e aver lasciato ogni attività esecutiva da ormai sei anni, ho deciso di andare a vivere in Svizzera, un Paese al quale sono molto legato fin dall’infanzia, trasferendovi la mia residenza civile e fiscale. In passato sono già stato per qualche tempo residente civilmente in Svizzera, mentre fino alla fine del 2014 ho sempre mantenuto la residenza fiscale in Italia» • Nel giugno 2017 De Benedetti assegnò al secondogenito, Marco, la presidenza di Gedi, assumendone la presidenza onoraria, senza però rinunciare a far sentire la propria voce, con prese di posizione pubbliche talvolta controverse e imbarazzanti per lo stesso gruppo. Particolarmente fragoroso, tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018, lo scontro con il fondatore di Repubblica, dopo che Scalfari ebbe detto, durante una trasmissione televisiva, che, alle successive elezioni politiche, qualora costretto a scegliere tra Luigi Di Maio e Silvio Berlusconi, avrebbe votato per il secondo: dichiarazione immediatamente stigmatizzata da De Benedetti («Penso l’abbia fatto per vanità, per riconquistare la scena. Ma è stato un pugno nello stomaco per gran parte dei lettori di Repubblica, me compreso»), che qualche settimana dopo, di fronte all’ostentato disinteresse di Scalfari («Me ne fotto»), giunse a dire che «Eugenio è molto anziano non più in condizione di rispondere […] Con me è stato assolutamente ingrato». Nel frattempo si erano andati sempre più logorando i rapporti col quotidiano, dalle cui colonne, dopo alcune critiche di De Benedetti alla nuova gestione, il nuovo editore, suo figlio Marco, prese le distanze dal padre, precisando che tali opinioni «non rappresentano né il pensiero degli azionisti, né quello del vertice della Società, che sono tutti determinati a proseguire sulla strada tracciata». «Nella sua prima vita Carlo De Benedetti ha fatto il finanziere. Nella età di mezzo ha puntato tutto sul suo ruolo di editore. Nella sua terza età l’Ingegnere più famoso d’Italia ha scoperto una vera e propria passione per il mattone. Fa il mestiere che ancora gli mancava: il palazzinaro» (Franco Bechis) • Grande clamore, nel gennaio 2018, quando fu divulgata un’intercettazione, risalente al gennaio 2015, in cui De Benedetti rivelava al suo intermediario finanziario di sapere per certo («Passa, ho parlato con Renzi ieri, passa») che entro breve il governo avrebbe approvato il decreto sulle banche popolari (come infatti avvenne pochi giorni dopo), per poi fargli investire per suo conto in tale settore 5 milioni di euro, ricavandone in poco tempo plusvalenze per 600 mila euro. Interrogato in merito dalla Consob, De Benedetti rivelò la propria consuetudine con numerosi membri dell’esecutivo, a cominciare da Renzi, con cui a suo dire era solito intrattenersi a colazione per fornirgli in via amichevole consulenze di carattere economico e finanziario • Nell’aprile 2018 è stato assolto insieme al fratello Franco presso la Corte d’appello di Torino dalle accuse di omicidio colposo e lesioni mossegli dalla Procura di Ivrea «per le morti e i tumori provocati dall’amianto negli stabilimenti Olivetti. […] Per i giudici della terza sezione penale “il fatto non sussiste”. Per questi fatti i fratelli De Benedetti, che furono rispettivamente presidente e vicepresidente del gruppo con le funzioni di amministratori delegati, furono condannati a 5 anni e 2 mesi di carcere il 18 luglio 2016. Con loro fu condannato anche l’ex ministro del governo Monti con un passato da ad alla Olivetti, Corrado Passera: in primo grado era stato condannato a un anno e 11 mesi. […] Ora, invece, possono tirare un respiro di sollievo» (Andrea Giambartolomei) • A metà ottobre 2019 De Benedetti propone di rilevare il 29,9% di Gedi per circa quaranta milioni, a 25 centesimi per azione, valutando l’azienda 129 milioni. La proposta, non concordata, viene rifiutata con uno strascico di polemiche tra il padre, che lascia la presidenza onoraria, e i figli Rodolfo e Marco. Il 23 aprile 2020 il fondo Exor (di proprietà di Elkann) acquista la totalità delle azioni della Cir tramite la Giano Holding, divenendo azionista di maggioranza del gruppo e concordando inoltre l’acquisto anche delle azioni di proprietà di Giacaranda Caracciolo (figlia del principe Carlo Caracciolo) e di Carlo Perrone. La vendita viene duramente criticata da Carlo De Benedetti. Accusa Elkann di voler «snaturare» Repubblica • Il 4 maggio 2020, a 85 anni. De Benedetti costituisce a Torino la società Editoriale Domani Spa con un capitale di 10 milioni • «Un Foglio per principianti, quando per l’intellighenzia cambiare Ezio Mauro con Stefano Feltri sarebbe stato più umiliante che passare da Draghi alla Meloni». Oggi alla direzione c’è Emiliano Fittipaldi • Ma perché lanciare un quotidiano come Domani, in una fase difficile per l’economia e per l’editoria? «Perché a me piace il giornalismo. Ho passato quarant’anni con Repubblica. Per Repubblica ho combattuto battaglie, ai tempi della guerra di Segrate. Mi sono attirato l’odio di Craxi, che non aveva altro motivo di odiarmi al di fuori dell’identificazione con Repubblica. Ho avuto un ottimo rapporto personale con Ezio Mauro ed Eugenio Scalfari…». Con Scalfari c’è stata una frattura. «…Ora abbiamo recuperato, ci telefoniamo tutte le domeniche» [a Cazzullo nel 2020] • Nel 2023 pubblica Radicalità • «Cose che Carlo De Benedetti detesta: la Meloni; i sindacati; la Consob; Mps; il ricordo di Cuccia, ma anche quello di Craxi; l’amianto (ma oggi adora il green); Prodi; il ragionier Colaninno; Marco Tronchetti Provera; le diseguaglianze sociali (no, dài: questa è una cazzata). Di sicuro, i tre figli. Cose che Carlo De Benedetti adora: le privatizzazioni; le plusvalenze; giocare a Risiko, ma con le aziende invece che con i carri armatini; la pasta al dente Buitoni; i Baci Perugina («Buoniiii!»); la patrimoniale (stiamo scherzando, dài...); battere bandiera delle Cayman; la Sardegna, la fig*; raccontare barzellette sugli ebrei (“Te l’ho detto che è un Berlusconi di sinistra”); la serie tv Succession; il Corviglia Ski Club di Sankt Moritz; la frase “Le élite hanno fallito”; i vigneti, da cui lo slogan “falce&Brunello”; farsi intervistare da Lilli. Marinaio (sullo yacht con cui ha fatto il giro del mondo due volte con la moglie, i Lerner, i Rampini, le Gruber, i lecchini e le madame milanesi), ex alpino (soldato semplice), scalatore (finanziario)... le auto, l’informatica, l’energia, i telefonini, il business immobiliare... quante cose, e come passa il tempo...» [Mascheroni, Giornale] • Dalla prima moglie, Mita Crosetti, ha avuto i tre figli, Rodolfo sposato con Emmanuelle de Villepin, Marco sposato con Paola Ferrari ed Edoardo, cardiologo, sposato con Ilgi Suna Erel. Nel 1997 ha sposato l’attrice Silvia Monti. «A sessant’anni mi è successa una cosa che non credevo possibile: mi sono innamorato, e mi sono risposato. Grazie a mia moglie Silvia ho scoperto un’altra vita. Abbiamo girato il mondo in barca, ho coltivato interessi in campi che già prediligevo: arte, collezioni, musei…» • Colleziona orologi di lusso, soprattutto vecchi Rolex e Patek Philippe • Ha un tatuaggio sul polso: «“Una domenica, a Hong Kong, non sapevo che fare, mi annoiavo, e allora mi sono fatto tatuare una farfalla. […] Avrò avuto quarantacinque anni… Però, vede, è discreto, nascosto… torinese”. Nel ventunesimo secolo il tatuaggio è diventato una banalità conformista, ma nel 1979, e per un membro dell’establishment, era evidentemente un dettaglio libertino» (Salvatore Merlo) • Quando era alla guida dell’Olivetti, conobbe e snobbò Steve Jobs: «Ero a Cupertino con Elserino Piol. Erano le 7 di sera. Ero esausto per le riunioni e per il fuso. Piol mi dice di passare in un garage dove ci sono due capelloni con i jeans stracciati che lavorano a un mini-computer: erano Wozniak e Jobs. Steve mi propose di rilevare il 20% della sua società per 30 milioni di dollari. Me ne andai. Oggi quella quota varrebbe 100 miliardi. Ma quella partita non la persi solo io: l’ha persa l’industria europea, che sulle nuove tecnologie ha rinunciato a un pezzo di futuro» • Inizialmente repubblicano, si schierò poi saldamente a sinistra. «Ha fatto più governi lui di qualsiasi presidente della Repubblica […] Un potere talvolta reale, altre volte forse millantato nella leggenda di sé stesso che ha sempre cercato di creare» (Bechis). «Ho stimato La Malfa, Berlinguer, Ciampi e Visentini: sono state tutte persone importanti per me. L’Avvocato mi affascinò: gli invidiavo l’impalpabile» • «Il Cavaliere è il nemico della sua vita? “Ma no. Era gentilissimo, un vulcano avvolgente. Ovviamente voleva soltanto vendermi degli spazi pubblicitari”. E qui la solida facciata del suo volto si sgretola in un sorriso» (Merlo). «Dopo che Scalfari ha fatto la sua stupidaggine in trasmissione [la dichiarazione sul suo eventuale voto per Berlusconi piuttosto che per Di Maio – ndr], Berlusconi mi ha telefonato e mi ha detto: è finita la guerra, “non ci sono più i comunisti: tu sei di sinistra e io di destra, ma qui ci sono altri problemi per il Paese”. Ma io non faccio politica: ho risposto che non avevamo niente da dirci» • Inedito il tributo a B. che gli porge il nemico di sempre Carlo De Benedetti con un necrologio sul Corriere della Sera. Porta con sé il significato di un cerchio ormai chiuso. «Indomito combattente», lo chiama l’uomo con il quale si erano tanto odiati [Imarisio, CdS] • «Uno degli investitori europei più brillanti degli ultimi decenni» (Danilo Taino).
Titoli di coda «Nel bene e nel male resta il maestro. Il più bravo a tuffarsi nella finanza speculativa, ma anche il più bravo nello spogliare i risparmiatori attraverso le scatole cinesi, le azioni di risparmio, i sovrapprezzi azionari, tutti i trucchi possibili e immaginabili per ottenere il massimo dal mercato dando in cambio il minimo» (Marco Borsa).