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 2023  novembre 17 Venerdì calendario

Biografia di Aldo Montano

Aldo Montano, nato a Livorno il 18 novembre 1978 (45 anni). Ex schermidore, specializzato nella sciabola. Tra i numerosi premi conseguiti, una medaglia d’oro olimpica (individuale: Atene 2004), due mondiali (individuale: Catania 2011; a squadre: Mosca 2015) e cinque europee (individuale: Zalaegerszeg 2005; a squadre: Plovdiv 2009, Lipsia 2010, Sheffield 2011, Zagabria 2013). «La mia vita è stata sempre un saliscendi, e mi piace così: detesto quelli che sono numeri uno per vent’anni. È la sofferenza che dà un senso alle vittorie» (a Francesco Saverio Intorcia) • «Quando l’ingegnere suo nonno tornò da Berlino con la medaglia d’argento, i telefoni erano bianchi e le camicie nere. Livorno 1936. Lui, giovane, ricco, buon amico dei Ciano imparentati con il Duce, ci viveva bene. Gli inverni miti, le estati ai bagni dove il meglio della città si ritrovava tra una partita a tennis e un tuffo in mare. Di tanto in tanto, un incrociare di sciabole. Livorno era ombelico della scherma e al centro dell’ombelico c’era la Fides, forse il club più forte del mondo, la società di Nedo Nadi, una medaglia d’oro a Stoccolma nel 1912, altre cinque otto anni dopo ad Anversa, spada, fioretto e sciabola uguale appendice di un braccio straordinario. Pantaloni bianchi o beige, golfini scollati a V per le serate fresche. L’ingegnere sarebbe diventato il capostipite di una grande saga familiare» (Marco Ansaldo). «Il nonno Aldo aveva vinto due argenti ai Giochi olimpici del 1936 e del 1948, con una carriera interrotta dalla guerra. Da nonno Aldo è nato Mario Aldo (detto “Mauzzino”: una medaglia d’oro e due d’argento nella sciabola ai Giochi di Monaco di Baviera del 1972), dal fratello sono nati Carlo (l’unico fiorettista, argento a Montréal 1976), Mario Tullio (oro a Monaco 1972, argento a Montréal 1976) e Tommaso (argento a Montréal 1976)» (Flavio Vanetti). «“Mio padre, Mario Aldo, in realtà si chiama Mario e basta, ma gareggiava negli stessi anni con suo cugino, che si chiamava Mario pure lui. Nelle eliminazioni dirette non si capiva mai chi fosse uno e quale l’altro: gli chiedevano quanti assalti avessero vinto per distinguerli. Solo per la scherma presero i nomi dei due genitori: nacquero così Mario Aldo e Mario Tullio Montano”. […] Suo padre Mario Aldo detto “Mauzzino”. “Perché con i suoi lineamenti nel dopoguerra faceva pensare a un volto preciso: Mao Zedong. Da lì ‘Mauzzino’”» (Mattia Chiusano). La scherma non è però l’unica attività di famiglia: a Livorno dal 1908 esistono i cantieri navali Montano, tuttora operanti nella manutenzione e riparazione delle navi. «Il mio futuro è nel cantiere: spero di non tradire le aspettative di nessuno, di dirigerlo come chi mi ha preceduto. I miei avi Tommaso, che lo aprì quando c’erano le navi a vapore, Mario, morto nei bombardamenti di Livorno, mio nonno Aldo, che ha avviato la tradizione dei Montano schermidori, fino a mio padre». «Lei da giovane è stato un monello? “Ero un bravo bimbo, ma nel curriculum ho delle cavolate. Formavamo un gruppetto – anzi c’è sempre, anche se ora siamo vecchi, spelacchiati o imbiancati – alla Amici miei. Andavamo in Sardegna con 20 mila lire e ci restavamo per un mese, dormendo in spiaggia”» (Vanetti). «C’è una cosa che non rifarebbe? “No, le stupidaggini le ho fatte tutte e fanno parte della vita. Una volta siamo venuti via da una discoteca in cinque su una Smart, e poi vedi tante tragedie e pensi: poteva succedere anche a me. Un’altra cosa che non faccio più è il ‘rigatino’”. Cioè? “Si andava al ristorante, si mangiava come maiali e poi nell’unico attimo di distrazione dei camerieri si scappava senza pagare. A Livorno incontro ancora qualche ristoratore che mi chiede di saldare conti arretrati”. […] “Il film Amici miei era il nostro mito. Facevamo la ‘supercazzola’, andavamo in stazione per schiaffeggiare quelli affacciati, ma dopo poco hanno messo il blocco ai finestrini. Ci siamo divertiti”» (Fabrizio Paladini). «Ricorda di aver tirato i primi colpi – “con le sciabole finte, lui seduto sul divano, io con un cuscino legato alla pancia: certe sciamarrate!” – con il nonno Aldo Montano» (Chiusano). «Mio nonno è stato bravo, raccontandomi da piccolo il fascino delle Olimpiadi, vissute a Berlino e Londra. Mio padre invece non mi ha messo pressione». «“La prima domanda, quando gareggiavo da bambino, era di quale Montano fossi figlio. Pareva che fosse l’unica cosa importante: poi per fortuna hanno cominciato a occuparsi di quello che facevo io, e il peso si è attenuato. La crisi, l’ho vissuta attorno ai 13 anni: i miei amici si divertivano con il pallone, io molto meno con la scherma, che è uno sport dove ti trovi solo. Pensavo: mi butto anch’io nel calcio, tanto c’è la sponda familiare pure lì. Siamo parenti dei Picchi. Sa l’Armando che era il capitano della grande Inter? Era cugino del nonno. Poi venne una stagione discreta, e con i primi risultati decisi di restare dov’ero”. Il nonno lo allenava nei corridoi della villa, il padre lo sosteneva nei tornei. […] “Assomiglio di più al nonno. Mio padre attaccava, aggrediva, era una tigre con la voglia del sangue come vorrei essere anch’io, ma non ne ho la natura. Io difendo, sto sulle mie, colpisco. Io sono un serpente”. Un cobra svogliato, lo descrivevano. […] A svegliare il cobra che dorme, ci ha pensato Christian Bauer, l’alsaziano, quello che ha portato nella scherma italiana i metodi da caserma, anzi ha portato proprio la caserma in cui nessun atleta era abituato a vivere, benché siano quasi tutti militari. Sciabolatori e sciabolatrici vivono tutto l’anno in ritiro, base all’Acqua Acetosa, raduni qua e là, due allenamenti al giorno. Per il giovane Gatsby poteva essere la fine. È stato l’inizio. “Finalmente ho trovato con chi allenarmi. La vita è più dura, ma ne sono soddisfatto e sono venuti i risultati”» (Ansaldo). «A farmi campione è stato Stanislav Pozdnjakov, allora dio della sciabola, oggi presidente del Comitato olimpico russo. A New York nel 2003 non ero nessuno, e vinsi con lui un match rubandogli il punto per un errore dell’arbitro. Si infuriò. La sua dichiarazione di guerra mi fece crescere, mi diede il giusto peso: un anno dopo vinsi le Olimpiadi». «Ad Atene successe una cosa incredibile. Nell’appartamento affittato dalla federazione, una casa privata, trovai tra i libri un dvd di Montréal 1976 della finale a squadre che mio padre perse contro i russi. Assurdo: una coincidenza pazzesca, in una casa greca. Me lo metto su e vedo il mi’ babbo che fa un colpo incredibile, una stoccata paragonabile a un gol di tacco nel calcio. Io non l’avevo mai visto: nel ’76 non ero nato. Vado a letto, dormo tre o quattro ore ma mi sveglio come un leone pensando a quel filmato. Poi sono in pedana, contro un ungherese. Eravamo 14 a 13 per lui e io faccio la stessa stoccata che fece mio padre. I compagni mi dissero: “Ma tu sei matto a tirare quel colpo”. Ecco, quella è concentrazione: volere a tutti i costi una gara. Se vuoi più del tuo avversario, vinci». «La finale è tiratissima, sul 14 a 13 per l’ungherese Nemcsik […] l’azzurro si accascia con un crampo al polpaccio. […] I crampi passano, l’ungherese appare deconcentrato, […] i livornesi impazzano, Montano piazza il 15 a 14, Ciampi chiama. Non è vero quel che dice la vulgata trionfalista, che lo sciabolatore gli avrebbe detto “Presidente, vinco per lei”. “È il presidente che mi ha detto: ‘Vinci’. Mi ha messo un po’ di agitazione, però mi ha fatto bene”. […] Sul podio con la maglietta “Sono io, siamo noi”, la bandiera amaranto con prefisso di Livorno (0586) e il tricolore» (Aldo Cazzullo). «Montano ha abbracciato suo padre, Mario Aldo, con una consapevolezza inedita. “Il mio successo era il suo, la sua gioia la mia. Papà non è mai riuscito a vincere l’oro individuale. Quel gesto ha racchiuso tutto”» (Claudia Casiraghi). «Quella notte, ad Atene, […] la dinastia familiare si ritrovò fuori dal palasport Helliniko per celebrare l’apparizione dell’ultimo dei Montano. Appena consacrato campione olimpico, tre mesi dopo essersi rovinato una gamba giocando di nascosto a calcetto, e un attimo prima di diventare pop star» (Chiusano). «Già in Grecia le ragazze se lo mangiavano con gli occhi. L’Italia del gossip l’ha subito aggredito. E lui si è lasciato conquistare. Forse sin troppo. In ogni rimbrotto che gli si faceva c’era una componente d’invidia. Passi per la collezione di bellezze: ma finire a uno squallido reality non è da campione olimpico. Quando glielo ricordammo, rispose: “Volete sapere quanti soldi m’hanno dato?”» (Candido Cannavò). «Dopo avere vinto da fenomeno ad Atene 2004 la medaglia d’oro nella sciabola, […] Montano ha partecipato al reality La fattoria. Poi è venuto il 2006 disastroso con il flop ai mondiali di Torino, l’infortunio al bicipite femorale. Tutti a distruggere il fenomeno, tutti a dire che Montano pensava solo a divertirsi, alle donne, alle zingarate tipiche di Livorno. Tutti a giudicare il “figlio di papà”, i suoi valori etici e sportivi, la conta dei suoi flirt. Lui, che non è proprio il massimo della riservatezza, ci metteva del suo, e i giornali di gossip andavano a nozze» (Paladini). «Mi davano per finito, temevo di esserlo». «È scomparso dopo il disastroso mondiale di Torino. S’è curato, a lungo. Ha deciso di non ritirarsi nonostante avessero allontanato il suo tecnico di fiducia» (Chiusano). «Mi sono trasferito in Cina per seguire il mio maestro Bauer, per poi scoprire che potevo vincere due mondiali col romano Sirovich. Per preparare Pechino ho chiesto aiuto a un rivale di mio padre, Viktor Sidjak, ex militare sovietico, che mi disse di andare a Mosca: “Penso a tutto io”. Ma quale Mosca? Un paesino nel nulla, in pieno inverno. Viktor mi svegliava all’alba, uscivo a correre con tre maglioni a trenta sotto zero. Ma sentivo che stavo facendo qualcosa di giusto. Misi a segno io la stoccata della medaglia di bronzo, così come ho fatto perdere io il mondiale a squadre del 2009, e volevo essere seppellito in una buca per un anno». «Qual è la delusione più cocente? “Al mondiale 2010 ero visto come l’uomo da battere. Ore 8.30, a Parigi era ancora buio e pioveva: io uscivo dal palasport dopo aver perso al primo turno; per tornare in hotel vagavo come uno zombie. Altre volte, invece, ho vinto in condizioni precarie: come nel 2011 a Catania, dopo un infortunio. Lì hanno contato testa e voglia di riscatto”» (Vanetti). «Il mio oro olimpico arrivò da solo, quello mondiale sono andato a prendermelo, nella diffidenza generale. Sul podio a Catania, perciò, piangevo». «La perla della sua lunghissima carriera – cinque le partecipazioni ai Giochi – resta l’oro di Atene. “È il trionfo che ha battuto, per importanza, l’oro a squadre di papà e che mi ha permesso di dirimere la questione su chi, in famiglia, fosse il numero uno”. A quel successo ha abbinato altre quattro medaglie olimpiche, tutte a squadre: argento ad Atene 2004 e a Tokyo 2020 (in realtà i Giochi, causa rinvio per la pandemia, si sono disputati nel 2021), bronzo a Pechino 2008 e a Londra 2012. È stato poi campione del mondo individuale nel 2011 a Catania e nel 2015 a squadre a Mosca. Sulle pedane iridate ci sono pure un argento (2007) e un bronzo (2003) individuali, oltre a cinque argenti (2002, 2005, 2009, 2010, 2018) e tre bronzi (2007, 2011, 2019) a squadre. È stato poi anche campione d’Europa, varie volte d’Italia, e nella Coppa del mondo vanta 30 podi, con 14 vittorie, 4 secondi posti e 12 terzi. Un palmarès regale» (Vanetti). «Il 28 luglio 2021 Aldo Montano tirava a Tokyo nella sua ultima finale olimpica, perdendo contro la Corea del Sud, ma dopo essere risultato decisivo a 42 anni abbondanti nella semifinale contro l’Ungheria. Una medaglia d’argento che chiudeva una carriera fantastica» (Chiusano). Nel marzo 2023 «Aldo è tornato in Nazionale, come consulente del ct della sciabola Nicola Zanotti. Nel ruolo, ha debuttato nel classico trofeo Luxardo di Padova. […] “Essere ancora in gara, seppur in altra veste, è stato bellissimo. Ho risentito l’adrenalina delle pedane stando accanto ai ragazzi e ne sono felice. Sono tornato a casa, nella mia famiglia. Ho avuto tanto dalla scherma ed è arrivato il momento di restituire qualcosa”» (Vanetti). «Aldo Montano, com’è il suo nuovo lavoro? “Non sono lo psicologo, il tecnico, il medico. Porto la mia esperienza, i miei fallimenti, i miei infortuni, per far capire a tutti, anche ai ragazzi, che cosa significa la nostra vita, gli alti e bassi in pedana”. […] Dopo il ritiro come sta? “Non si pensa mai che insieme alle gare spariscono anche le terapie continue che ci seguono quando siamo atleti attivi. Sono spesso dolorante, […] ma va bene così”» (Chiusano) • «La fine dell’estate di Tokyo è sembrata veramente il passaggio epocale verso una nuova vita, aprendo la porta ai reality che lo corteggiavano dai tempi della Fattoria. I mesi nella casa del Grande Fratello Vip lo hanno visto quasi sempre ai margini dei battibecchi tra i protagonisti, stimolando piuttosto l’amicizia con Manuel Bortuzzo, il nuotatore disabile che sogna le Paralimpiadi di Parigi 2024 e si è affidato agli allenamenti dell’ex sciabolatore per passare le lunghe settimane nella comunità» (Chiusano) • Dopo varie relazioni sentimentali abbondantemente documentate dai rotocalchi (soprattutto quelle con Manuela Arcuri e con Antonella Mosetti), nel 2016 ha sposato (segretamente, in Siberia) la modella e atleta russa Olga Plachina (classe 1997), da cui ha avuto due figli, Olympia e Mario. «È fondamentale che dopo una femmina, Olympia, sia arrivato un maschio. Miravamo alla conservazione del cognome Montano: tutti i cugini hanno avuto femmine! Avevo il fucile puntato contro, e ora che il bambino è qui non potevo non chiamarlo Mario: un pezzo di Mario Aldo, il nome di papà». «La saga dei Montano forse non è finita, come quella di Rocky e Creed» • «Religione? “Sì, senza esagerare”. Peccatore? “Sì, ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni”» (Paladini). «Prego solo di stare bene. Lo faccio tutte le sere: cerco di ricordare le preghiere imparate da bimbo, ma crollo dal sonno. Sono credente, a modo mio» • «Le piace essere italiano? “Mi vengono i brividi quando sento l’inno. Ma mi dispiace che tanti non sentano il senso della nazione. Non c’entra la politica”. E Livorno? “È una nazione in piccolo. Io sono amaranto dentro l’anima”» (Paladini) • «“Come persona sono stato Dr Jekyll e Mr Hyde: ovvero, tranquillizzante da un lato e particolare dall’altro. Ho portato orecchini, anelli, catene e catenazze, ho avuto vari tagli e colori di capelli…”. C’è una spiegazione per tanta esuberanza? “Non so se l’ho fatto più per una spensieratezza giovanile o per mascherare una normalità che amo. La base è una famiglia tradizionale: babbo, mamma, sorella; si mangia alla stessa ora, le vacanze si fanno assieme. Sto riproponendo lo schema a mia moglie e ai miei figli”» (Vanetti) • «Sul braccio ha tatuato “Memento Audere Semper”, il motto dannunziano. “Risale al 2007: al rientro da un infortunio arrivai secondo al mondiale. Il senso non è politico: è piuttosto uno stimolo a insistere in quello in cui credi”» (Vanetti) • «Se devo leggere un libro, preferisco le biografie dei grandi personaggi, da Giulio Cesare a Che Guevara passando per George Best e Vasco Rossi. Mi piacciono quelli un po’ matti, che hanno fatto magari anche sbagli ma che sono stati i numero uno. Prendi Best, uno che ha detto “I miei soldi, li ho spesi in macchine veloci, whisky e donne. Il resto, l’ho sperperato”. Ecco, ammiro quelli che hanno vissuto, che hanno pagine piene di inchiostro e di storie. Detesto invece quelli tutti precisi, che al posto della biografia hanno solo successi o, peggio, pagine bianche» • «Cibo? “Mi piace esagerare e poi faccio sacrifici enormi quando devo dimagrire”. Alcol? “Si beve, c’è il buon vino”. Una “canna”? “Conosce uno della mia età che non se l’è mai fatta?”. La donna? “La donna è in pole position. Ora ho imparato a resistere alle tentazioni, ma prima era dura dire di no”. Ha più tradito o è stato più tradito? “Secondo me hanno tutti le corna. Alcune le sai, alcune no, ma poi alla fine l’importante è saperle portare con disinvoltura”» (Paladini) • «Da quando ero piccolo so che posso morire per una distrazione, una superficialità. Per un grissino al pecorino, lasciato nel cestino del pane di un ristorante che magari era al corrente del mio problema: l’allergia al formaggio fermentato. Se qualcosa va storto, ho solo mezz’ora a disposizione per arrivare in ospedale. Una lotta contro il tempo, a shock anafilattico in corso. Adrenalina, cortisone, ossigeno e sono salvo. Viaggio con un kit di sopravvivenza, con le siringhe contro la Kriptonite di Superman» • «Montano è ricco? “Benestante sì, ricco no”» (Vanetti) • «Per i rotocalchi sono “lo spadaccino” e l’idea che io usi la sciabola, che è un’altra cosa, manco li sfiora. Un po’ come chi per strada mi chiede se faccio ancora “quella cosa lì”, e agita la manina come D’Artagnan» • «La scherma è più arte o più guerra? “È arte, ma è anche una battaglia che regala adrenalina”» (Vanetti) • «Avrebbe potuto vincere di più? “Sì, tanto di più. Ho avuto colpi di sfortuna, non ho avuto la carriera della Vezzali, che per 20 anni è stata un killer e un martello pneumatico. Ma non cambierei il mio percorso: alla fine l’onda di risultati, di emozioni, di incazzature, di disastri e di riprese ha fatto sì che sia ancora qui. […] La mia benzina è stata spesso la rabbia: se avessi avuto una carriera da fenomeno, forse mi sarei annoiato”. […] Si sarebbe visto in altri sport? “Sono appassionato di motori, da piccolo sciavo e mi piaceva. In camera avevo il poster di Alberto Tomba: l’ho poi conosciuto e siamo diventati amici”» (Vanetti) • «Bisogna essere sempre pazzi di gioia. Nella vita ti devi buttare, perché passa in fretta».