Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  novembre 18 Sabato calendario

Biografia di Massimo Fini

Massimo Fini , Giornalista. Scrittore. Intellettuale. Nato a Cremeno (Como) il 19 novembre 1944 (80 anni).
Titoli di testa «Volgare non è chi dice parolacce, ma chi non sta al proprio posto»
Vita Padre pisano, madre russa. «Credo di poter dire, a maggior ragione di Bernard-Henri Lévy, di essere “il figlio naturale di una coppia diabolica: il fascismo e lo stalinismo”» [Massimo Fini, Una vita, Marsilio] • Benso Fini e Zinaide Tubiasz «si erano conosciuti a Parigi. Lei fuggiva dai bolscevichi. Lui dai fascisti che l’avevano manganellato. Paolo Monelli, corrispondente del Corriere della Sera, lo assunse sotto falso nome. Alla fine della guerra gli americani affidarono a un gruppo di giornalisti del Corriere la redazione del Giornale Lombardo: mio padre, Afeltra, Buzzati, Fallaci lo zio di Oriana. Mio padre divenne il direttore e restò al Lombardo 16 anni» [ibid.] • «Di Cremeno o, per essere più precisi, di Maggio, un paesino ancor più minuscolo dove sono nato, ho solo ricordi vaghi: le mucche, un corvo che cerca di strapparmi a beccate un panino che sto sbocconcellando e io che mi difendo come posso («pio, pio, pic, pic» spiegherò a mia madre che mi troverà in lacrime. Ma il panino, quello no, non l’avevo mollato)» [ibid.] • Bimbo si trasferisce a Milano: «Per me, bambino di campagna, i cavi dei tram e dei filobus, allora molto fitti e che nelle piazze si intrecciavano (in quel primissimo dopoguerra tram e autobus erano quasi i soli mezzi di trasporto, le automobili, le ‘pot pot’ come le chiamavo io per il rumore dei clacson, rare) erano una novità. Alzavo gli occhi e dicevo “Milano ha il cielo con la rete”. La seconda immagine è quella della città sventrata» [ibid.] • Ha dieci anni il padre scopre che Massimo non ci vede. Ma lui, di essere un quattrocchi non ne vuol sapere • Pessimo studente: «Alle medie fui rimandato in quattro materie in prima, in cinque in seconda (credo sia un record)» [ibid.] • Una passione per il calcio. Gioca ovunque, in strada, all’oratorio con Claudio Martelli, coi dilettanti • Alle superiori le sue pagelle sono piene di 3, di 4 e di 5. In Quinta «mio padre mi disse: “Se quest’anno vieni promosso ti porto a Roma in Settebello (il massimo del lusso, allora) e buttiamo i libri dal finestrino”. Aggiunse anche: e io inseguo il treno a piedi. Fui promosso. Per il solito motivo: c’erano gli esami. Pretesi da mio padre che onorasse la scommessa. Gli abbonai solo, per pietà, l’inseguimento del treno, ma il mio austero genitore, appena fummo in un tratto di campagna, dovette gettare con me gli odiati libri nei prati» [Massimo Fini Cieco Marsilio] • Prima di partire però lo costrinse a mettere gli occhiali: «È inutile che ti porti a Roma se non vedi niente […]. Io, poi, mi vedevo mostruoso con gli occhiali. Odiavo quelle lenti spesse che facevano lo sguardo puntuto e gli occhi piccoli.» [ibid.]. I licei classici li ho girati quasi tutti: il Parini, il Berchet, il Carducci» [Una vita] • «Fino a sedici anni non ho letto un libro» • Gioca a scacchi col padre. Vince una sola volta: «Mio padre esclamò: “Figliol d’un Sette!”» • Quando Benso muore, ha solo 17 anni: «Scoprii però che un padre morto pesava assai di più di un padre vivo. Se prima pensavo che nulla di male avrebbe potuto mai capitarmi, adesso pensavo che solo tutto di male poteva accadermi. Entrai in un periodo di depressione» • Scopre le lenti a contatto: «Per la prima volta, a vent’anni, potei guardare il mio viso allo specchio senza il velo della miopia o l’ingombro degli occhiali. Ero un bel ragazzo, anche se non lo sapevo» [Cieco] • All’università, fa Giurisprudenza, ma studia a modo suo. Per sei mesi cazzeggia, gioca a poker e beve poi due mesi prima dell’appello si tumula in casa e studia. Quando non prende 30, prende 30 e lode • Ama le auto, guidare e giocare a poker. Quando aveva 22-23 spennò Raul Gardini: «Lo accompagnai alla macchina e aveva una Bentley. Uomo simpatico, ma disastroso» [Moreno Pisto, MowMag.] • «D’improvviso scoprii i russi. Fu un coup de foudre. Mi chiudevo in camera e, inginocchiato davanti al letto, su cui mettevo il volume, divoravo Delitto e castigo, I fratelli Karamazov, I demoni, Memorie dal sottosuolo. Mi piaceva anche Guerra e pace di Tolstoj. Ma Anna Karenina non lo lessi perché mia madre, con la solita perentorietà, affermava che era “il miglior libro di tutti i tempi”. L’avrei letto solo dopo la sua morte ed è un libro straordinario ma io sono rimasto sempre dostoevskiano. Lessi Čechov, Gogol’ e Puškin […]. Quando raggiunsi “l’età della ragione”, per dirla col titolo del più importante romanzo di Sartre, si era in pieno clima esistenzialista». Ha letto Sartre, Camus, de Beauvoir, Nizan, Vian [Una vita] • «Lo conobbi a vent’anni. È un bastian contrario alla Malaparte, imprevedibile e dunque rimasto un outsider: dice sempre l’opposto di quel che prevede il senso comune e spesso ci azzecca. Ti aiuta a capire perché gli altri hanno torto» [Cesare De Michelis a Paolo Di Stefano, CdS] • «Sono figlio di un giornalista ma per ribellismo non ho voluto fare il lavoro di mio padre, almeno all’inizio» [Andrea Coccia, Linkiesta 15/6/2014] • Laurea a pieni voti in Giurisprudenza. Impiegato alla Pirelli fino all’autunno caldo: «Io e un altro collega, Maurizio Calzolari, eravamo gli unici impiegati che facevano sciopero. Un giorno ci chiamarono: “Visto che partecipate agli scioperi, potreste farci delle relazioni...”. Rispondemmo che non eravamo stati assunti per fare la spia. Mi proposero la filiale di Catania. Mi dimisi» [Catalogo] • «Feci il concorso per entrare in magistratura. Era truccato. Un centinaio di candidati sapevano i temi in anticipo. Quando cercai di denunciare l’episodio solo l’Avanti! mi dette ascolto. Ugo Intini mi disse: “La notizia ci interessa. Scrivila tu”. La scrissi, piacque. Intini disse: “Vuoi rimanere qui a lavorare gratis?”. Accettai» [Catalogo] • «La prima volta che scesi nella tipografia della Same, i tipografi, straordinari artigiani che mi hanno insegnato i rudimenti del mestiere, si meravigliarono nel vedermi così giovane. Per ciò che scrivevo e da come lo scrivevo pensavano che fossi un uomo maturo. Avevo ventisette anni» [Una vita] • «Così capii che questo mestiere, che avevo rifiutato per ribellismo verso mio padre, in realtà mi piaceva» [Coccia, cit.] • «Nel 1971 fui assunto come cronista all’Avanti! diretto da Ugo Intini, uno dei pochissimi socialisti a non rubare. Prendevo 120mila lire al mese». Passava le sue giornate a Palazzo di Giustizia e «se non c’erano udienze allora andavo in giro per la città in cerca di notizie. Un punto di riferimento era la Statale di Milano ancora in subbuglio post Sessantotto. Alla Statale conobbi Mario Capanna, Spada e Banfi che erano stati espulsi dalla Cattolica. Mi misi sotto le ali protettive di Capanna quando i ‘katanga’ dell’MS mi volevano sprangare» • «In genere dovevo scrivere due pezzi entro le otto inseguito dalle urla di Intini che gridava “I treni!” (a quell’epoca i giornali erano trasportati ancora materialmente) o “il piombo non è elastico” perché il mio vizio è di andare lungo» [Fini, Fatto] • Perché te ne sei andato? Accadde che mi fecero due proposte. Fu grazie all’interessamento di Camilla Cederna: una mi arrivò dall’Europeo e l’altra dall’Espresso. Scelsi l’Europeo e, come tutte le scelte che ho fatto in vita mia, scelsi in modo completamente irrazionale» [Coccia, cit.] • Come cambiò la tua vita all’Europeo? «Per la mia vita lavorativa quella all’Europeo è stata un’esperienza importantissima: era un grande giornale. Si lavorava ancora seguendo regole molto severe e c’era la possibilità di viaggiare, anche se io per la verità mi occupavo soprattutto di Italia. Però da un punto di vista personale fu un periodo abbastanza difficile. L’ambiente in redazione era cupo, il direttore – che all’epoca era Tommaso Giglio – era una sorta di sadico padre padrone. Sono rimasto fino al 1976, quando Giglio se ne andò e cominciarono ad arrivare una serie di direttori abbastanza scandalosi, fino ai socialisti di Martelli, e da un rigore che era alla base della storia del giornale la faccenda si tramutò in una roba comica e dilettantesca» [ibid.] • È uno degli artefici di Repubblica. Per tre mesi prepara i numeri zero ma quando il giornale esce se ne va: «Scrissi sui primi due numeri, un articolo sulla Statale, l’altro era un’intervista a Guido Crepax, per cui ricevetti altrettanti telegrammi di congratulazione di Scalfari che conservo gelosamente. Poi decisi di filarmela […] Scalfari non fu severo, disse solo: “E ora cosa pensi di fare, vivere di rendita?”. “Non lo so” risposi. Ma poiché è un calabrese rancoroso quella cosa non me l’ha mai perdonata e se fosse stato per la Repubblica e l’Espresso io in questo Paese, culturalmente, non sarei mai esistito anche quando divenni un giornalista noto e uno scrittore. Ma a Repubblica non ho nulla da rimproverare. Non erano loro a essere sbagliati – come la storia dimostrerà – ero io a essere sbagliato per loro» [Fini, Fatto] • «Nel 1979 me ne sono andato a spasso, a fare il freelance. Una scelta rischiosissima, insomma. Certo, la fortuna era che queste redazioni, seppur pletoriche, mi affidavano dei pezzi. Senza contare che all’epoca mia moglie faceva l’insegnante e portava lo stipendio a casa. In quel periodo mi misi insieme ad Aldo Canale fondammo un settimanale che si chiamava Pagina, un’operazione interessante, anche se abbiamo molte colpe, lo ammetto. Abbiamo fatto scrivere gente come Giuliano Ferrara, Ernesto Galli Della Loggia, c’era anche Pigi Battista che era un nostro giovane di bottega, e molti altri. In realtà è stato un gran bel giornale, soprattutto per merito di Canale. Solo che a un certo punto, visto che eravamo un settimanale liberale con venature anarchiche – che erano quelle che portavo io – i socialisti fecero di tutto per toglierci la poca pubblicità che avevamo. A quel punto abbiamo dovuto chiudere. Poi passai al Giorno, proprio in virtù di Pagina, perché il direttore Magnaschi – forse il miglior direttore che ho avuto – leggeva Pagina e gli piacevano molto i miei pezzi, soprattutto le stroncature, un po’ alla Papini. Con il Giorno che proseguì fino a che ci furono Zucconi e Magnaschi» [Coccia, cit.] • Mi racconti della tua esperienza all’Indipendente? «Quella per me è stata l’ultima grande stagione, all’Indipendente di Feltri, quando non gli era ancora passato sopra il Berlusconismo. Il momento era molto favorevole. Si era rotto il consociativismo dei partiti, c’era Mani pulite, un fenomeno che Feltri ha cavalcato alla grande, indulgendo anche su posizioni molto forcaiole […]. Vivevamo in una specie di sogno, quello di un giornale […]. Solo che un giorno d’agosto, Feltri mi invita a cena e mi fa la terrorizzante domanda: “ma se vado al Giornale vieni con me?” E allora io li a spiegargli che era un errore. Finiamo la cena un po’ brilli tutti e due e lui alza il calice e dice “ma sì, in culo a Berlusconi, restiamo all’Indi!”. Il giorno dopo aveva firmato» [Coccia, cit.] • Nel 1985 pubblica il suo primo saggio La Ragione aveva Torto?. Durante una visita oculistica scopre di aver un glaucoma. Una malattia dell’occhio che lo renderà prima ipovedente poi cieco • «Mi sentivo un cieco in libera uscita. Guardavo ogni dettaglio, si trattasse delle tegole di coccio rosse di una casa toscana […] o della forma di un paio di scarpe, insomma di qualsiasi cosa, con un’avidità golosa, imprimendomeli bene nella mente, perché sapevo che di lì a poco non li avrei visti più» [Cieco] • Nel 1985 rientra all’Europeo come inviato ed editorialista e vi tiene per 10 anni la principale rubrica del giornale, Il Conformista • Nel 1989 il glaucoma gli spegne l’occhio sinistro. Nel 1992, lui che ha la passione per le auto, smette di guidare. Più tardi si opererà • «Nel 1996 avevano chiuso sia L’Europeo che L’Indipendente, i giornali per cui lavoravo. Mi trovavo quindi col culo per terra. Mi rivolsi a Guglielmo Zucconi […]. Zucconi però non era più direttore del Giorno ma direttore editoriale del QN, una posizione più debole. Capii che, pur stimandomi, non aveva poi tanta voglia di spendersi per me. Uscimmo dalla trattoria. All’incrocio tra via Senato e piazza Cavour una splendida ragazza in bicicletta con gambe altrettanto belle frenò di colpo e, ignorando Zucconi, disse “Ma tu sei Fini!”. Capivo che la cosa colpiva il vecchio Zuc […]. E fui assunto dal QN. Poi ebbi molte altre avventure. Credo di aver scritto nella mia vita per un centinaio di testate» [Fini, Fatto] • Nel 1998 pubblica Il denaro, “sterco del demonio” • Se dovessi indicare i tuoi maestri, che nomi faresti? Prima di tutto Curzio Malaparte, poi, come personaggio più abbordabile e più vicino direi Giorgio Bocca. Poi ce ne sono altri, sotto traccia, come Buzzati, Flaiano, Prezzolini, se dovessi far vedere a un ragazzo come si scrive su un giornale farei leggere loro, e poi Montanelli, se non altro per l’eleganza e la chiarezza dell’esposizione [Coccia, cit.] • «È il polemista più polemista d’Italia. Talmente polemista che quasi nessuno lo fa scrivere. È un vero socialista, di cuore, di testa. Ma i suoi fan devono inseguirlo sui giornali di destra. Era una delle grandi firme dell’Europeo. Il mitico Tommaso Giglio lo paragonava a Giorgio Bocca e Oriana Fallaci. Ma quando scrive un libro lo recensiscono in pochi» [Claudio Sabelli Fioretti] • «Che spiazzante lo sia davvero, non vi è dubbio: Fini è uno che difende i diritti di Priebke o di Milosevic e simpatizza per il mullah Omar; che un giorno viene applaudito dai missini rautiani e il giorno dopo sul palco del Palavobis milanese. Spazia dal Borghese all’Unità e sulle testate di Riffeser può permettersi di fare a fettine la sua ex collega dell’Europeo Oriana Fallaci, liquidandola come “imbarazzante, prepotente, faziosa”. In un decennio dalle picconate al sistema con l’Indipendente leghista al “resistere, resistere, resistere” con Micromega» [Paolo Martini] • «Privatamente tutti a difenderlo ’sto Fini, ma poi gli stessi si ritirano nella stanza del Re e di quel bravo signore rimangono solo citazioni e mozziconi spenti. Cosa ha da invidiare Massimo a quell’editorialista presenzialista e modernista? San Francesco? Forse solo l’amore per il potere. E qualche rispetto di troppo da parte di quelli là, i cattivi, le capre, i pipistrelli neri. Sapete che vi dico? Viva Massimo e abbasso Michele Serra!» [Pierlugi Diaco] • Tre casi di censura, più clamorosi degli altri: il Corriere della Sera, pur di non pubblicare due suoi pezzi su Agnelli e De Benedetti (che gli erano stati commissionati) interruppe di colpo la sua collaborazione. Pertini, ai cui elogi universali Fini non partecipava, fece in modo di buttarlo fuori anche dalla Domenica del Corriere. Infine, nel 2002, messo sotto contratto dalla Rai per un programma in 15 puntate di Edoardo Fiorillo intitolato Cyrano, e che avrebbe dovuto andare in onda su Raidue all’una e mezza di notte, è stato all’ultimo momento chiamato dal direttore di rete che gli ha comunicato che c’è un veto su di lui» [Una vita]. Fini e Fiorillo hanno poi portato Cyrano in tournée nei teatri italiani e Fini ha potuto mettersi alla prova anche come attore [Catalogo] • «A Fini bisogna comunque riconoscere coerenza e ostinazione perché il suo antioccidentalismo non viene mai meno: articolo dopo articolo, anno dopo anno...» [Camillo Langone, Libero] • «Vorrei essere un talebano, avere valori fortissimi che santificano il sacrificio della vita, propria e altrui. Vorrei essere, per lo stesso motivo, un kamikaze islamico. Vorrei essere un afghano, un iracheno, un ceceno, che si batte per la libertà del proprio paese dall’occupante, arrogante e stupido. Avrei voluto essere un bolscevico, un fascista, un nazista che credeva in quello che faceva. O un ebreo che, nel lager, lottava con tutte le sue forze interiori per rimanere un uomo» [Libero] • «Io ho scritto sempre e solo ciò che pensavo e per questo ho pagato prezzi durissimi, sul piano professionale, sociale e, alla fine, anche esistenziale» [Lib 12/4/2011]. Chi ti conosce solo dai tuoi scritti ti immagina diverso. E invece di persona sei a modo, educato, persino timido... «È tipico un po’ di tutti i polemisti, penso per esempio a Giorgio Bocca, che scaricano sulla pagina quell’aggressività di solito controllata per ragioni di educazione ricevuta e di pietas. Una cosa è la polemica, specie politica, e un’altra i rapporti umani. Questa differenza Claudio Martelli non riusciva proprio a capirla, pretendeva che in quanto suo amico fossi al suo servizio» [Ruggeri, Libero] • Il salotto di Massimo Fini è stracolmo di libri, impilati sul tavolo, appoggiati disordinatamente su sedie e tavolini, pigiati nella libreria-muraglia. [Cocca, cit.] • «Ho scritto 17 libri, ma tutte le mie amiche, se me ne chiedono uno in dono, è solo è sempre il Di[zion]ario erotico (2000) che ha un’origine e anche un seguito […]. Scrivere di eros è difficilissimo. Non volevo negarmi nulla, nemmeno gli aspetti più osé del sesso, cercando però di non cadere nella volgarità. Una faticaccia [Massimo Fini, Confesso che ho vissuto] • Ti manca di più non vedere un bel culo o non vedere il mare? «Il mare lo vedo perché è grande. I bei culi pure continuo a vederli, ho una cecità selettiva» [Pisto, cit.] • «Nella fase terminale della mia esistenza, quella che sto vivendo adesso, sono diventato misantropo. Anni fa mi colpì una frase di Gianfranco Funari: “Io sono un uomo solo. E se penso a un altro uomo solo penso a Massimo Fini”. Mi conosceva appena [Fini, Confesso che ho vissuto] • Tra i suoi libri Il vizio oscuro dell’Occidente (Marsilio 2003), Sudditi (Marsilio 2004), Il Ribelle dalla A alla Z (Marsilio 2006), Ragazzo. Storia di una vecchiaia (Marsilio 2007), Il dio Thot (Marsilio 2009), Senz’anima (Chiarelettere 2010); Il Mullah Omar (Marsilio, aprile 2011). Nel 2015, dopo aver pubblicato Una vita, la sua vista subisce un tracollo. In quel periodo scrive sul Fatto e sul Gazzettino e pubblica un articolo dal titolo: «Sono cieco, non scrivo più». Poi Travaglio «ha messo in moto una catena di amici (da Manoni a Arbore), per convincermi a continuare» [Pierobon, Gazzettino] • Ogni giorno si fa leggere i giornali dal suo assistente. Dice che si sveglia presto «alle 9», che va a dormire alle tre e che tutti i suoi libri sono stati scritti di notte • Tifoso del Torino: «Dopo settant’anni di onorata carriera di tifoso del Torino, dico basta ma poiché non potrò tenere per un’altra squadra che non sia il Toro, lascio anche il calcio, che non mi piace più» • Nel 2021 pubblica Giornalismo fatto in pezzi (Marsilio) e due anni dopo, sempre per Marsilio, Cieco che finisce così: «Verrà il tempo, e non è lontano, in cui anche il quartiere mi diverrà proibito. Sarò recluso nella mia casa. E, alla fine, nel mio corpo. “Speravo de morì prima”».
Amori Divorziato, un figlio, Matteo. Primo amore nell’estate del 1960, Anna, la più carina dei Bagni Umberto di Savona [Cieco] • Nella vita ha avuto parecchie donne: «Diciamo un centinaio» • «Su di me circolano tre leggende metropolitane. Una che sia misogino, uno che sia omosessuale e uno che sia un tombeur de femmes. Nessuna corrisponde alla realtà, ma in ognuna c’è un pizzico di verità. Anche se il grande amante della mia vita è stato l’alcol. Un amante che chiede molto». Per dieci anni non ha toccato un goccio [Pisto, cit.].
Titoli di coda A che età vorresti morire? «A 16 anni. È stato il mio anno favoloso, ma ho perso tempo. Vorrei morire di morte violenta, questo sì. È che ci sono poche occasioni adesso, non voglio ritrovarmi a trascinarmi come un ammalato terminale» [Pisto, cit.].