27 novembre 2023
Tags : Alessandro Altobelli
Biografia di Alessandro Altobelli
Alessandro Altobelli, nato a Sonnino (Latina) il 28 novembre 1955 (68 anni). Ex calciatore. Attaccante. Detto “Spillo”. Con la maglia dell’Inter vinse lo scudetto 1979/80, con la nazionale (61 presenze e 25 gol) fu campione del mondo nel 1982, terzo agli Europei del 1988, quarto a quelli del 1980. Decimo nella classifica del Pallone d’Oro 1986, ventisettesimo nel 1980, trentesimo nel 1987. È il miglior marcatore nella storia della Coppa Italia (56 gol) e il miglior cannoniere italiano in Coppa Uefa (25 reti). «Questa Inter è un carro armato con le vele spiegate».
Vita «Ha giocato undici campionati con l’Inter e uno con la Juve. Era un grande centravanti: tecnico, agile, forte di testa. Pietro Vierchowod, difensore centrale con vent’anni di Serie A, ha detto: “Ho incontrato tutti gli attaccanti del mondo: Van Basten e Altobelli sono i migliori”. Ha segnato nella sua carriera (campionati, coppe e nazionali) 298 gol. Solo con l’Inter, 132. Con i nerazzurri ha vinto uno scudetto, stagione 1979/80, in testa da soli dalla prima all’ultima giornata. [...] “Ho finito le medie e mio padre mi ha mandato a lavorare a Latina, in una macelleria. Avevo quattordici anni, il calcio mi piaceva, ma a Sonnino non c’era la squadra e io sono andato a fare il garzone di macelleria. Papà diceva: “Devi imparare un mestiere’. Non ero molto convinto. “Meglio il macellaio che il muratore. Vuoi fare quello che ho fatto io? Ti spacchi la schiena. Se fai il bravo, se impari bene poi possiamo mettere su un nostro negozio. Eh, scusa, un macellaio è un macellaio’. Ero perplesso”. Sonnino-Latina, tutti i giorni. “Per un anno, sveglia all’alba, senza perdere mai la corriera. Il lavoro era il lavoro [...] Voglia di studiare non ne avevo tanta, alternative non ce n’erano. A Sonnino non c’era nemmeno una squadra. Poi un giorno il barbiere Gaspare Ventre ne ha messa insieme una, la Spes. Mi ha chiamato, sono diventato il centravanti. Era faticoso, la macelleria a Latina e gli allenamenti, beh gli allenamenti, le partite a Sonnino. Dicevo a Gaspare: “Io non ce la faccio, dovrei lavorare vicino a casa’. Gaspare allora parlò con mio padre. “Non possiamo trovargli un posto qui? Magari alla macelleria?’. Non era possibile”. Un campionato con il barbiere, gol, tornei, movimento, passione, osservatori. “Ci sono anche quelli del Latina e della Fulgorcavi. Una squadra dilettanti sponsorizzata da una ditta di cavi elettrici. quella che fa per me. C’è un dirigente che si chiamava Nando, mi segue sui campi con la sua 127 verde chiaro e mi promette: ‘Se vieni con noi ti diamo anche il lavoro stabile’. Fantastico! Io quello cercavo. Un lavoro fisso, non potevo mica pensare di vivere con il calcio. Che lavoro è il calcio?”. Parte per un colloquio con quelli della Fulgorcavi, ma fa una deviazione e si ritrova nella sede del Latina, Serie C. “Parlano di programmi e di futuro. ‘Siamo una squadra con dei progetti, puntiamo sui giovani, tu hai sedici anni...’. Un dirigente, Leonardi, mi mette un assegno di cinquantamila lire sotto il naso. ‘Se firmi sono tuoi’. Firmo al volo. Cinquantamila, dico cinquantamila... Erano i primi che vedevo. Il barbiere Gaspare mi pagava in natura: taglio capelli una volta al mese [...] La domenica c’erano meno corriere, Latina era a trenta chilometri. Restava la bicicletta. Ma c’erano le salite, erano aspre e ti toglievano il fiato”. E allora? “Autostop, borsa nella mano e il dito alzato. Ci si arrangiava. Io ce la mettevo tutta, qualcuno si fermava”. Altobelli sale e non si ferma più. Parte da Latina e, ondeggiando, dribblando e sorpassando arriva dove arriva. Diventa il centravanti del Brescia, poi dell’Inter, poi della nazionale, poi campione del mondo. Poi cercheranno di imitarlo in molti, in tanti, in troppi. [...] “Ho fatto molti gol, ho dato, ho ricevuto. Mi battevo in campo e anche fuori, soprattutto quando c’era da rinnovare il contratto. Chiedevo, ero cocciuto. Volevo cinquanta e cinquanta mi davano. [...] Non ho mai tirato indietro la gamba. Anzi. Una volta, un mercoledì, mi sono fatto male contro il Real in una semifinale di coppa... Mi hanno massacrato, sono uscito, sono andato alla Pinetina, ad Appiano, da solo. E lì sono rimasto sino a domenica. Tutti dicevano: ‘Non ce la fa a recuperare’. E invece ho giocato e segnato anche due gol”. Gol, gol, gol. Spillo fa il terzo al Bernabeu, nel 1982, alla Germania e diventa campione del mondo. Segna, ma esulta quasi con sobrietà: corsetta, pugno alzato. “Ero così, dappertutto. All’Inter, alla Juve, in nazionale. Segnavo per le mie squadre ed ero contento. Certo, mi è piaciuto quel titolo della Gazzetta dopo, credo, tre gol alla Juve: Altobellissimo. Ero contento, non egoista. Non ho rimpianti, forse qualche delusione, come quando Trapattoni mi mandò in panchina. Non riuscì a gestire quel passaggio: poteva dirmelo, avrei capito. Meritavo, penso, un altro trattamento. Poi sono andato alla Juve e non mi sono pentito. Ho sempre fatto tutto con professionalità e chiarezza”» (Germano Bovolenta) • «Non sono mai stato fotogenico. Ero magro e longilineo, uno spillo appunto. E poi mi fregavano le sopracciglia cadenti...» (a Gaia Piccardi) • «Il suo gol memorabile è probabilmente quello che infila nella porta di Schumacher, dopo aver ricevuto un assist di Bruno Conti: è il 3-0 (poi 3-1) sulla Germania Federale nella finale del Mundial spagnolo 1982. Subentrato a Graziani, mette il suo sigillo sul trionfo dell’Italia. Sarà poi titolare ai mondiali del 1986 con un ottimo bilancio personale (quattro partite, quattro reti)» (Dizionario del calcio italiano, a cura di Marco Sappino, Baldini&Castoldi 2000) • «Contropiede di Bruno Conti e rasoterra perfetto. Io mi faccio trovare in mezzo all’area di rigore. Schumacher, il portiere della Germania, esce alla disperata. Se tiro subito, lo colpisco. Allora penso al dribbling: mi sposto il pallone sul sinistro e calcio sicuro. Vedo Stielike, sullo sfondo, che si dispera. Comincio a correre. Bellissimo» (a Gaia Piccardi) • «Non ho mai vinto in carriera il titolo di capocannoniere, forse perché ho sempre privilegiato gli interessi della squadra, quell’anno dello scudetto, la stagione 1979-80, ero convinto di avercela fatta perlomeno alla pari con la doppietta realizzata nell’ultima giornata. Torno negli spogliatoi e mi dicono che quel diavolo di Roberto Bettega aveva fatto gol su rigore: sedici lui e quindici io, per la miseria...» • Nel 2009 ha preso il patentino da allenatore ma non ha mai allenato. «Non fa per me: ho preso tutti i patentini per ogni serie, potrei guidare persino la Nazionale. Ho studiato per essere sempre aggiornato ma non ho mai pensato di allenare: è un mestiere troppo precario» • Nel 2010 è stato tra i primi nel mondo del calcio europeo, ad andare in Qatar, come commentatore televisivo. «Presenza fissa in uno dei contenitori della domenica italiana? Macché. Se ci fate caso, in tv non lo vedete mai. Spillo si è conficcato altrove, dritto e allampanato come quando a 14 anni tirava i primi calci nella formazione del barbiere di Sonnino, pur essendo destinato dal padre muratore a una macelleria di Latina. Spillo, dove sei? “Vivo a Doha, in Qatar, sul Golfo Persico”. Ad agosto, inshallah, fanno sette anni. Da Sonnino a Al Jazeera. «A Doha, chiusa la carriera di calciatore, andavo spesso in vacanza. Venni contattato da Al Jazeera Sport: trasmettiamo tutto il calcio italiano, ti interessa? E io: Al Jazeera? La tv di Bin Laden...? No, no, mi rispondono: quello è il canale delle news, noi trasmettiamo la Serie A. Mi rilasso e accetto. All’inizio, nel 2006, si trasmetteva dagli uffici di Milano: perfetto per me che tengo moglie, due figli (uno calciatore) e nipoti a Brescia. Poi Al Jazeera è diventata Bein Sport e tutta la produzione è stata trasferita a Doha. Da allora faccio il pendolare tra Italia e Qatar”. La vita agra è un’altra cosa. “Lavoro tre-quattro giorni alla settimana, concentrati nel weekend. Commento i match del nostro campionato, per cui nel Golfo vanno pazzi. E, durante la settimana, Europa League e Champions. Abito in albergo, non ho voluto casa: non mi va, alla mia età, di pulire, rifarmi il letto, cucinare. Mi trovo benissimo, dico la verità”. Il cespo di capelli ricci, ingrigiti dal tempo, oggi è pettinato all’indietro: l’aiuto che in campo riceveva dal suo alter ego Evaristo Beccalossi (“Avere lui alle spalle significava ricevere sempre la palla giusta. Eravamo affiatati anche lontano dal calcio: abbiamo fatto pure il militare insieme”), dopo la doccia del mattino glielo dà una buona dose di gel. Persino con il pizzetto, laggiù come a Milano, per strada lo riconoscono ancora. I campioni del mondo godono di uno status speciale, figuriamoci l’hombre del partido contro la Germania di Briegel, Littbarski, Müller e Rummenigge. L’ampia comunità italiana di Doha gravita intorno al ristorante “Lo spaghetto” di Gigi, dove Spillo è accolto e trattato come un pascià. “È il punto di ritrovo, siamo una grande famiglia”. Ma il marchio alessandroaltobelli è in grado di aprire le porte del palazzo reale dell’Emiro Tamim bin Hamad al Thani, tra le altre cariche presidente del Comitato olimpico nazionale e fondatore del Qatar Sports Investments, che possiede la squadra di calcio del Paris Saint Germain. Investendo ad ampio raggio, il fondo sovrano si è guadagnato un ruolo di primo piano sul playground dello sport mondiale, fino a ottenere dalla Federcalcio internazionale (Fifa) l’assegnazione del Mondiale 2022 in uno scenario di accuse di corruzione e compravendita di voti costate la poltrona, alla fine dell’inchiesta che l’anno scorso ne ha terremotato i vertici, ai più alti papaveri della Fifa» (Gaia Piccardi) • Nel 2020/2021 è stato opinionista di A tutta rete, programma domenicale di Rai 2 condotto da Marco Lollobrigida. Dal 2022 è opinionista di Pressing - Lunedì e Champions League Live sulle reti Mediaset. Sposato con Stefania Leotta, due figli Andrea e Mattia, che ha provato a seguire le orme del padre nel mondo del calcio, senza troppo successo.
Politica È stato assessore per la Democrazia Cristiana al comune di Brescia. «Sono stati cinque anni di buone esperienze» • Nel 2008, ha votato Pdl, dopo aver votato sempre Dc: «Veltroni dovrebbe sentirsi come la prima Italia, quella dei tre pareggi con Polonia, Perù e Camerun: eravamo pronti a fare le valigie».