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 2023  novembre 29 Mercoledì calendario

Biografia di Marina Abramović

Marina Abramović, nata a Belgrado (Serbia, allora Repubblica socialista federale di Jugoslavia) il 30 novembre 1946 (77 anni). Artista concettuale. Regina della Body Art, corrente che si propone di indagare, anche con la violenza, sui limiti del proprio corpo e della propria mente. Una delle cento persone più influenti al mondo secondo la rivista Time • «Donna ribelle e sensuale, educata da due partigiani nella Jugoslavia comunista» • «Gran fattucchiera, pasionaria, idolo delle avanguardie» • «Capelli castani, voce avvolgente, occhi scuri come la notte» • «Carisma prorompente» • «Coraggiosa, aperta, sincera, saggia e gentile» • «Anche chi non ha mai messo piede in un museo l’ha sentita nominare: da 35 anni lei stessa “è” la propria opera» (Giovanna Amadasi, Marie Claire 1/2/2019). Nel 1974, rimase a sedere completamente nuda per 72 ore in una galleria a Napoli: il pubblico aveva a disposizione vari strumenti per torturarla – da una piuma a una rivoltella. Nel 1975 si fece incidere sull’addome una stella a cinque punte, l’opera d’arte era il sangue che colava sul suo addome liscio e bianchissimo. Nel 1977, la sua testa avvinghiata con una treccia a quella di Ulay (pseudonimo di Frank Uwe Laysiepen, all’epoca suo compagno), a formare una sorta di Giano bifronte. Nel 1980: Ulay tende un arco, la freccia puntata al cuore di Marina. «Si è fatta frustare a sangue; ha urlato fino a perdere la voce; ha stuzzicato un pitone che poi alla fine ha desistito ed è andato via; si è ferita giocando a colpire velocemente gli spazi tra un dito e l’altro della sua mano spalancata su un foglio bianco […]; è rimasta sei giorni seduta su una montagna di ossa putride, pulendole una per una, come a lavar via le atrocità della guerra nei suoi Balcani (era Balcan Baroque, che le valse il Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 1997)» (Gianluca Veneziani e Nicoletta Orlandi Posti, Libero 12/1/2017) • Da anni si è trasferita a Manhattan, vive in un loft a Soho e ha preso la cittadinanza americana. Non le piacciono il femminismo («L’arte non ha genere, solo qualità»), la censura e il politicamente corretto («Inquina le volontà degli artisti»). Nel tempo ha assunto un’aria sempre più stregonesca. Ha viaggiato moltissimo e ha studiato le culture aborigene, sciamaniche e tibetane. Ogni due anni circa fa dei sogni più vividi del solito, e pensa che le dicano qualcosa sul futuro. Di recente una teoria del complotto l’ha accusata di essere una satanista, coinvolta in riti di magia nera insieme a Hillary Clinton. Lei delle critiche non si cura. Risponde: «Se fossi nata nel Medioevo mi avrebbero mandata al rogo».
Titoli di testa «Ho scoperto il lavoro di Marina Abramovic con grave ritardo, grazie alla performance The Artist is Present, organizzata al MoMA nel 2010. Devo confessarlo, per molto tempo sono stato scettico, e andai a vedere la performance con una buona dose di pregiudizio: a New York non si parlava d’altro, e l’intera attività del MoMA era polarizzata sulla sua performance. Marina era seduta in mezzo alla sala centrale del primo piano e si limitava a fissare negli occhi, per un’intera giornata, tutti coloro che desideravano sedersi di fronte a lei. Una lunghissima fila si formava sin dall’alba, e visitatori da ogni parte del mondo si mescolavano alle celebrità per potersi sedere qualche minuto davanti a lei. C’era chi scoppiava a piangere, chi sorrideva, chi tremava, chi si limitava a concentrarsi su quello sguardo che riusciva a essere inquisitorio e tenerissimo, minaccioso e spaventato, senza tuttavia cambiare mai espressione. Era un rito catartico, che ha avuto il momento di massima intensità quando si sedette davanti a lei Ulay Laysiepien, in passato suo compagno nella vita e nell’arte. Sentii questa sua dichiarazione “La gente ha talmente tanto dolore dentro di sé da non accorgersene”. Rimasi folgorato, e volli a tutti costi conoscerla» (Antonio Monda, Sta 5/4/2020).
Vita «È nata a Belgrado, Marina, in una famiglia che lei definisce di “borghesia rossa”. Sono stati i nonni, ad educarla, e deve a loro, religiosissimi, la prima esperienza del rito e della liturgia. Il prozio era Varnava Rosic, carismatico patriarca della chiesa serba ortodossa, e i genitori Danica e Vojin hanno combattuto come partigiani nella seconda guerra mondiale: alla fine del conflitto vennero celebrati come eroi, ottenendo dei posti di rilievo nella nomenklatura di Tito» (Monda). «Prima eroi di guerra, poi membri di rilievo del Partito, i miei genitori erano fissati con il coraggio, la disciplina marziale, la determinazione. Siccome ero terrorizzata dall’acqua, a sei anni mio padre mi buttò giù dalla barca e si allontanò a remi: a furia di bere e scalciare, imparai a tenermi a galla. Mia madre invece era ossessionata dall’ordine e dalla pulizia: la notte mi svegliava urlando, se dormivo scompigliando le coperte. E al minimo sgarro mi picchiava fino a farmi blu». «Era come stare in prigione». «Quei maltrattamenti mi hanno fatto diventare quel che sono. Devo il mio successo a quelle regole umilianti, alle pene fisiche, allo spauracchio di mia madre». «Mi ricordo bene che da bambina non mi piaceva giocare con le bambole, con l’orsacchiotto, giocavo invece sempre con le ombre. E quindi tendevo già all’immateriale, vedevo in esse un sacco di cose, gli oggetti non m’interessavano. Erano ombre quelle che vedevo nel fuoco, nella polvere, nell’umidità che si formava sulle finestre, c’era una magia che nutriva la mia fantasia, c’erano degli esseri che si rendevano visibili, infinite possibilità d’immaginazione. Nella luce vedevo anche del pulviscolo, e così pensavo ci fossero esseri speciali da altre galassie, astronavi in miniatura che atterrassero come particelle sul pavimento» • Marina è timida, introversa, piena di complessi. «Per il mio aspetto: così alta, piena di brufoli e con un naso enorme. Avevo i piedi piatti. Mia madre mi vestiva con abiti orribili, gonnelline da principessa, camicette di cattivo gusto; quando mi lasciavano fare, mettevo cose diverse, e questo mi faceva diventare la pecora nera. Mi chiamavano giraffa, avevo dei voti terribili... In tutto questo, non ero felice nemmeno a casa, dove i miei litigavano sempre» (Jesús Ruiz Mantilla El Pais 14/6/2014). «Quel che era peggio era il rapporto violento tra i due genitori: ancora oggi racconta con angoscia una lite durante la quale il padre distrusse, uno dopo l’altro, dodici bicchieri da champagne» (Monda). Questa ambiente influisce molto sul carattere di Marina. Un giorno si rende conto che deve morire, e scoppia a piangere all’improvviso. Vorrebbe un naso come Brigitte Bardot, per farselo rifare si scaglia contro uno spigolo del letto dei suoi genitori (ma si ferisce invece la guancia). Quando i suoi comprano la prima lavatrice (erano pur sempre amici di Tito…), lei ci si chiude dentro un dito. L’unica cosa su cui non ha dubbi è su quel che vuole fare da grandi. «Ho sempre voluto fare l’artista» (Amadasi) • Ha cominciato da giovanissima nella sua Jugoslavia... «A 14 anni; però ero gelosa di Mozart, che aveva iniziato a sette» (Fabio Isman, Mess 21/9/2018). Studia all’accademia di Belgrado, poi a Zagabria. «Giovanissima, in accademia, mi dicono “Chi non ha le palle non può fare arte!”. Non avevo capito che fosse una metafora, e ho pianto tantissimo». All’inizio, Marina è pittrice. Dipinge nuvole. «Avevo l’ossessione dei cieli. Dipingevo solo cieli e passavo ore a guardarli. Fino a che, un pomeriggio, vidi sedici aerei militari sfrecciare nell’aria e tracciare con le scie un magnifico disegno. Lì ho intuito l’assurdità dei miei dipinti bidimensionali, e il fascino del processo, del compiersi di un’azione reale. Ho buttato via tele e pennelli» (Cloe Piccoli, Rep 10/10/2010). Il suo primo lavoro: un’installazione sonora. Marina prende un centro culturale di Belgrado e lo trasforma nella sala d’aspetto di un aeroporto internazionale. «Avevo installato un sonoro che annunciava la partenza immediata di voli immaginari per Bangkok, Tokyo, Hong Kong, ovviamente non serviti dal minuscolo aeroporto della città con tre soli imbarchi. Era il 1968, subito dopo la rivoluzione studentesca. E io avevo molta voglia di partire». Marina ormai è adulta, ma è rimasta molto timida. «Non mi piaceva uscire, fare amicizie, ero molto introversa. E il momento in cui ho scoperto la performance e il modo di stare davanti agli altri, è stato liberatorio. Tutto questo imbarazzo è scomparso in un baleno, ho elevato il mio sé, ed è nata un’altra Marina». Fino a quando aveva 29 anni non le era permesso di uscire oltre le dieci di sera, e oggi racconta: «All’epoca facevo già le mie performances, il che significa che mi tagliavo, frustavo e bruciavo, fin quasi a morirne, prima delle 10: non è folle?» (Monda). «Ero criticatissima: mi accusavano di essere esibizionista e masochista. A Belgrado si scagliavano tutti contro di me mentre io infrangevo i muri delle convenzioni». «Un giorno tornai a casa verso le dieci di sera, ed era tutto buio. Mia madre mi aspettava con le luci spente e un vestito molto sobrio. Qualcuno le aveva detto che sua figlia stava in una galleria d’arte, nuda, appesa al muro. Mi guardò e, con un portacenere di vetro molto pesante in mano mi disse una frase del Taras Bulba: “Io ti ho dato la vita e io te la tolgo”. Mi tirò il posacenere in testa ed ebbi il tempo di pensare: “D’accordo. Non mi muovo, mi spaccherà la testa e finirà in carcere per il resto della sua vita”. Alla fine, però, mi scansai. E me ne andai di casa» (Ruiz Mantilla). «Sono scappata: mia madre è andata dalla polizia e ha detto: mia figlia è scappata. Quando hanno scoperto che avevo 29 anni l’hanno rimandata a casa» (Amidasi) • Si trasferisce in Olanda. «All’inizio fu orribile, perché non ero abituata a essere creativa quando tutto intorno a me era facile. Come artista avevo bisogno di sofferenza, di situazioni difficili. È quel senso del dramma che noi slavi ci portiamo dentro e che ci influenza in musica, letteratura, poesia» • «Con Ulay abbiamo comprato una vecchia auto della polizia francese e abbiamo viaggiato per cinque anni. Vivevamo con niente, di performance e per la performance, in macchina, girando, senza dover pagare affitto né luce, fermandoci in mezzo alla natura, facendo la doccia nelle stazioni di servizio» • Ulay è stato il suo compagno per 11 anni? Come lo conobbe? «Il giorno del mio compleanno, in Olanda. Quando lo vidi aveva la metà della testa e del viso rasati, l’altra metà con i capelli e la barba lunghi. Mi attrasse fin dal principio. Fino a quel giorno avevo strappato dalle agende la pagina del mio compleanno, perché che era sempre stato infelice. E lui pure». La vostra storia d’amore è diventata un’icona nell’arte dei nostri giorni. «Sì, è vero. Un amico mi ha detto: “Molte coppie, quando si lasciano, lo fanno per telefono, ma voi... dovevate percorrere la Grande Muraglia, partendo da lati opposti, per separarvi?”». Quante volte, mentre facevate quella performance della vostra separazione in cui ognuno doveva percorrere parti opposte della muraglia, per poi incontrarvi e dirvi addio, avete pensato che sareste riusciti a separarvi? «Era impossibile. Io non sapevo che cosa sarebbe successo. Quel che è certo è che, quando arrivammo al punto stabilito, lui aveva già messo incinta la sua traduttrice» (Ruiz Mantilla) •
Mariti Due. Il primo era Neša Paripović (s. 1971–1976). Il secondo, l’artista Paolo Canevari (s. 2005–2009), classe 1963. «È ora di cambiare qualche regola sociale, alcuni costumi: basta che a essere più giovani siano sempre le donne. Il mio modello è la moglie di Macron».
Madri Non l’ha più vista, sua madre? «Sì, tornai dieci anni dopo, quando cadde il Muro. Feci una conferenza e lei venne. Un giornalista la intervistò durante la pausa e lei rispose che allora non mi aveva capito, ma provava a farlo adesso». Ci riuscì? «Mai. Quando morì e io misi in ordine le sue cose in casa, trovai tutti i miei cataloghi con le pagine strappate. Quelle in cui io apparivo nuda. Non poteva ammettere tra i suoi cari quello che io facevo, era duro per lei» (Ruiz Mantilla).
Aborti Ha abortito tre volte in vita sua. «I figli sarebbero stati un disastro per la mia carriera».
Molestie Mai avuto problemi di stalking? «Mai. Ma se fosse successo, gli avrei tagliato le palle» (Isman).
Religione Buddhista tibetana. Grande ammiratrice del Dalai Lama. «Al mattino accendo le candele e riempio delle bacinelle d’acqua sul mio altare. Poi medito: a volte un’ora a volte pochi minuti».
Dio Crede in Dio? «Non a un dio con la barba, però credo in un’energia non razionale e divina. Essa raggiunge il tuo corpo e per questo occorre prepararlo perché l’accolga».
Curiosità Non dorme mai più di sei ore per notte • Una performance che Marina non è mai riuscita a realizzare: Come and wash with me, dove lei si prefigge di lavare gli abiti del pubblico, farli asciugare e per poi restituirli. Troppo complicato dal punto di vista burocratico • Grande ammiratrice di Maria Callas. «Ho scoperto la sua voce a 14 anni, a casa di mia nonna c’era sempre la radio accesa, ascoltai quella voce e mi misi a piangere, non sapevo nulla di lei» • Ama la moda. Veste Givenchy, disegnato da Riccardo Tisci (suo stilista preferito) • Ha un diario in cui scrive i suoi sogni • Non è brava in cucina • Ricetta preferita: insalata di melograno • Ogni tanto va in India per sottoporsi a cure ayurvediche • Beve il tè almeno due due volte al giorno. Mai il caffè («Il caffè è il male! Perché ti illude di essere meno stanco quando invece lo sei di più») • È rimasta un po’ infastidita dall’imitazione di Virginia Raffaele. «Mi sembra che insista un po’ troppo. Prenda in giro qualcun altro, si rinnovi. Dico solo che la mia ricerca è talmente seria. So divertirmi, e molto, ma con ciò che è buffo davvero» • «Sono simpatica, ironica e divertente. Quando le persone conoscono il mio lavoro hanno timore ad incontrarmi, ma quelli che mi conoscono veramente non riescono a credere che io realizzi opere così serie, perché sono buffa. Mi piace la vita, mi piace scherzare. Adoro il cioccolato, guardo film trash, mi diverto con gli amici e questa è una parte importantissima della mia vita» • Le piace leggere e spostarsi in bicicletta • Non sa farsi i selfie • «Sto al computer il minor tempo possibile, rispondo alle mail solo al mattino presto e poi basta. Perché non voglio che la tecnologia occupi ogni minuto della mia vita» • La cosa che più le dispiace è non essere riuscita a costruire una famiglia • Sua debolezza più grande: la fragilità emotiva • Sua forza più grande: la forza di volontà • Ulay è morto nel 2020, aveva 76 anni • «Quello che faccio io non ha niente a che vedere col femminismo. Non credo che una donna debba sentire il bisogno di proclamarsi femminista quando è comunque più forte dell’uomo» • «Mia madre era un’eroina nazionale, un maggiore dell’esercito: da lei dovevo difendermi, non dagli uomini. La potenza delle donne è insuperabile. Creiamo vita, generiamo figli. Non c’è paragone tra l’immensità della nostra forza e quella maschile. Le donne devono imparare a riconoscere questo» • «Sesso e morte nei Balcani sono sempre pericolosamente vicini l’uno all’altra» • «Ho sempre pensato che la morte dovesse essere una festa. Si entra in una nuova dimensione». Nel 2004 comunicò a un avvocato le disposizioni per il suo funerale che dovranno essere scrupolosamente rispettate. «Si tratterà della mia ultima opera d’arte». L’artista vuole che vengano realizzate tre tombe: una a Belgrado, una ad Amsterdam e una a New York. Il suo corpo dovrà essere seppellito effettivamente in una delle tre, ma senza rendere noto in quale. Altro desiderio è che durante il suo funerale il suo amico Antony Hegarty canti My Way nello stile di Nina Simone • Alla morte, ci pensa ogni giorno. «È l’unico modo per godere della vita. La mortalità è realtà: nel corpo non c’è permanenza. Vorrei morire senza rabbia, senza paura e mentalmente lucida».
Titoli di coda Troppa passione può uccidere l’amore? «Sì». E troppa arte? «Assolutamente, sì» (Amidasi).