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 2023  novembre 30 Giovedì calendario

Biografia di Woody Allen (Allen Stewart Koenigsberg)

Woody Allen (Allen Stewart Koenigsberg), nato a Brooklyn (Stati Uniti) il 1 dicembre 1935 (88 anni). Regista. Attore. Ha vinto quattro premi Oscar: alla regia e alla sceneggiatura originale per Io e Annie (1977) e alla sceneggiatura originale per Hannah e le sue sorelle (1986). In tutto ha ottenuto 24 nomination. Ha vinto l’Orso d’Argento a Berlino nel 1975, il Leone d’oro alla carriera a Venezia nel 1995, non ha mai vinto il Golden Globe (quattro nomination come regista, due come attore). «Il mio primo film era così brutto che in sette stati ha sostituito la pena di morte».
Vita Figlio di un cameriere poi tassista e di una contabile. Ebreo ateo, sostenitore di Israele, ma assai critico verso la politica repressiva messa in atto dagli israeliani verso i palestinesi. Sedotto a tre anni da Biancaneve e i sette nani («da allora il cinema diventa la mia seconda casa»), assai indisciplinato a scuola • «Ha trascorso l’infanzia tra i caseggiati popolari. I genitori non lo hanno mai portato a un concerto, a teatro, a visitare un museo. Avevano altro da fare. Lui era felice quando, un po’ malato, poteva stare a letto ad ascoltare la radio: trasmetteva le avventure di Superman. Frequentava anche la sinagoga e rubava qualche dollaro dai soldi raccolti per fondare una patria in Palestina: gli servivano per acquistare gli albi dei fumetti e per entrare nel cinema del quartiere. A sedici anni il mediocre studente Allen Stewart Koenigsberg decide di cambiare cognome e di diventare Woody Allen. Scopre di avere qualche vocazione per il comico, qualcosa, dice, che “è un regalo, un dono, non si può analizzare”. E manda qualche battuta in giro, ai giornali, che gliela compensano: comincia così la carriera di gagman, uno che inventa trovate; poi di sceneggiatore televisivo, poi di “intrattenitore” nei night club, per arrivare allo schermo, agli Oscar, alla copertina di Newsweek che, semplicemente, lo definisce “The genius”. “Mi domandano – confessa – se aspiro a raggiungere l’immortalità attraverso le mie opere. Non è proprio così: la mia aspirazione è ottenerla semplicemente, non morendo”» (Enzo Biagi, Dizionario del Novecento) • «“I miei film descrivono la New York dei miei sogni, dei miei desideri, a volte dei miei ricordi. Vivo in una zona circoscritta. Una mia isola. Lì mi sento sicuro” […] Il regista più “metropolitano” che ci sia […] sceneggia nel 1965 un film di Clive Donner (Ciao, Pussycat), scrive commedie: una di queste – Provaci ancora Sam – diventerà nel 1972 un film con la regia di Herbert Ross e la interpretazione (smarrita e sorniona, come tutte le altre) dello stesso Allen, impegnato in una patetica sfida con il fantasma di Humphrey Bogart. Nella regia esordisce nel 1969 con una farsa spassosa (Prendi i soldi e scappa) che lo vede anche interprete, come quasi tutti i film successivi. E con le farse, sgangherate e passabilmente pungenti, continuerà fino al 1977, quando, per Io e Annie, imbastirà una commedia autobiografica zeppa di nevrosi e di tenera autoindulgenza (gli è al fianco Diane Keaton, che per alcuni anni sarà la sua compagna): quattro Oscar lo premieranno. Qui si apre quella vena riflessiva e autoriflessiva che accompagnerà l’autore lungo tutta la carriera: […] Interiors (1978) si ispira alle atmosfere Bergmaniane […] Il più articolato Stardust memories (1980) strizza l’occhio, spiritosamente, a Fellini, ma è solo con la splendida elegia newyorkese Manhattan (1979), percorsa trionfalmente dalla musica di Gershwin, che riesce a conciliare cultura, autobiografia e commedia» (Fernaldo Di Giammatteo, Dizionario del Cinema) • «Un’intera carriera in bilico fra Marx (Groucho) e Ingmar (Bergman), fra feroce critica politica alla società di massa modello Marshall McLuhan e suadenti nostalgie sinfonico-jazz alla George Gershwin […] Quasi sistematicamente ignorato dal pubblico americano (mentre incassa assai bene in Europa, Italia compresa). Piccolo, bruttino, occhialuto, rosso di capelli, all’inizio della carriera venne scambiato per un altro Mel Brooks, un comico puro amante della parodia e dello sberleffo, per poi diventare invece l’emblema del liberal-chic nevrotico ed egocentrico, tutto amori problematici e lettino dello psicoterapeuta» (Il grande cinema di Ciak) • «Ogni lunedì suonava il clarinetto al Michael’s Pub di Manhattan. Per questo motivo non si presentò alla consegna dell’Oscar per Io e Annie. Adesso suona al Café Carlyle» (People Almanac 2002) • «Quando avevo 16 anni ed ero al liceo pensavo che, se fossi diventato famoso, la mia vita sarebbe cambiata: sarei stato ricco e noto, avrei potuto avere tutte quelle donne belle e affascinanti. Il lunedì sarei stato a Parigi, il martedì a Monaco, il mercoledì a Hollywood […] A casa, quando scrivo la sceneggiatura di un film, penso che sia magnifico. Ma quando realizzo l’idea è sufficiente che io faccia un errore qui e un altro là perché mi dica: “Ormai non sarà più un grande film”. E spero solo di poter sopravvivere alla sua uscita senza che sia troppo imbarazzante. Poi il film esce e quando la gente mi dice che gli piace io penso: “Se solo potessero vedere quello che io avevo scritto nella mia camera! Quello sarebbe stato un grande film!” […] I miei film sono come il beaujolais nouveau: ce ne è uno nuovo ogni anno. Certe annate sono buone, altre meno, altre di più» (ad Agnès Jaoui) • «Con i suoi film incantevoli, divertenti e intelligenti, spiritosi, ha insegnato tante cose: a conoscere una New York che non c’è più, ad apprezzare quel mix di autobiografia e autoparodia che è la chiave della cultura contemporanea, a riconoscere l’intellettuale metropolitano. Sempre ridendo, sempre inseguendo la bellezza della vita: Io e Annie, quattro Oscar di sofisticazione e di ridicolaggine; Interiors, la deformazione delle emozioni; Zelig, apologo esemplare sul conformismo; Ombre e nebbia, parabola sull’intolleranza crescente; Mariti e mogli, la fatale crisi della coppia; Celebrity, come la celebrità genera mostri nella decaduta cultura occidentale. Il dittatore dello Stato Libero di Bananas ancora serve ai nostri vignettisti politici. Geniale in Harry a pezzi l’invenzione di Woody Allen che interpreta la condizione in cui tanto spesso con angoscia ci ritroviamo: l’essere sfocato, senza contorni definiti, impreciso, smarrito, incerto del mondo e di se stesso» (Lietta Tornabuoni) • «Sono molto stabile e coscienzioso, soprattutto quando lavoro. Sono uno molto disciplinato. Preferisco scrivere i copioni che stare sul set, ma finora nessuno mi ha mai fatto causa per non aver completato un film, non sforo mai il budget prestabilito, non sono irascibile, non mi sono mai ammalato […] Non ho mai avuto a che fare con gli executives degli Studios, nessuno vede mai i miei copioni o discute sul mio casting» (a Silvia Bizio) • «Come tutti i comici, sono pessimista, depresso, vedo tutto nero. Quando faccio un film devo scegliere: è meglio mettere il pubblico di fronte alla tetra realtà, rattristarlo oppure regalargli un’ora e mezzo di leggerezza e di sorrisi che gli faccia dimenticare l’orrore del mondo reale? Spesso scelgo la seconda ipotesi e cerco di far ridere la gente e farla uscire dalla sala più allegra e rinfrescata, ma talvolta racconto la realtà in tutta la sua tragedia, voglio che il pubblico si terrorizzi, si renda conto della gravità dei problemi: con la segreta speranza che salti fuori qualcuno con una buona proposta per risolverli» (a Maria Pia Fusco) • Lunga relazione con Mia Farrow, cominciata nel 1980 e finita nel 1992. Grande scandalo, nell’agosto 1992, quando la Farrow rivelò che Allen intratteneva una relazione con Soon-Yi Previn (all’epoca ventiduenne), figlia adottiva dell’attrice e del suo secondo marito, precisando che ne era venuta a conoscenza scoprendo accidentalmente tra le cose del regista alcune foto (recenti) in cui la ragazza era ritratta nuda. Pochi giorni dopo, con tempismo parso sospetto a molti commentatori, la Farrow accusò Allen di aver abusato sessualmente della loro figlia adottiva Dylan, all’epoca di appena sette anni: tali accuse, dichiarate non provabili in sede giudiziaria (nel 1993 il medico incaricato di investigare disse che la bambina o aveva inventato tutto o era stata plagiata dalla madre), furono poi periodicamente reiterate dalla Farrow e confermate dalla stessa Dylan, oltre che da Ronan (il quale all’epoca dei presunti abusi sulla sorellastra aveva quattro anni e mezzo). La questione acquisì particolare rilievo dopo la deflagrazione del caso Weinstein, uno dei cui principali artefici fu proprio Ronan, ormai affermato giornalista del New Yorker: sull’onda dello scandalo che stava scuotendo Hollywood, la Farrow e i figli Dylan e Ronan organizzarono una potente campagna di comunicazione rilanciando quelle accuse di abusi sessuali e di pedofilia per indurre il mondo dello spettacolo a ostracizzare Allen, raccogliendo numerose adesioni. A levare la propria voce in difesa di Allen, nel maggio 2018, fu invece Moses, il figlio co-adottato dalla Farrow e da Allen insieme a Dylan. «“Cara mamma, immagino che lancerai una campagna per screditarmi pubblicamente, ma è un peso che sono disposto a sopportare”. Così, Moses Farrow, figlio adottivo di Mia Farrow e Woody Allen, ha concluso il suo ritratto di famiglia in un interno, la sua ricostruzione delle pressioni, i tormenti, le ripicche, le bugie, i plagi estenuanti cui sua madre ha sottoposto, per anni, lui e i suoi fratelli. Lo ha fatto per dire una cosa che ha già detto altre volte, mai spiegandola così bene, e mettendoci dentro tutto, anche il sangue: mio padre non ha violentato mia sorella Dylan. […] “A mia madre interessava che sembrassimo una famiglia felice ed esemplare: per questo adottò molti bambini, alcuni anche disabili”: premessa per breve memoir delle violenze, anche corporali e spesso pesanti, cui Mia li sottoponeva. La figlia Tam (vietnamita, cieca, depressa – per Mia “solo una ragazzina lunatica”), si è ammazzata a ventuno anni; il figlio Thaddeus si è sparato; la figlia Lark è morta di Aids. I lavaggi di cervello e le sevizie psicologiche pare facessero parte della manutenzione ordinaria di mamma Mia e crebbero fino alla psicosi dopo il fattaccio Woody-Soon: tutta la famiglia doveva, allora, aiutarla a incastrare il maiale. E veniamo allo stupro: è il 4 agosto del ’92, Mia lascia i bambini con Woody ed esce, raccomandandosi con ciascuno di loro di controllare il papà. In casa ci sono anche altri adulti e qualche tata. A un certo punto, stando al racconto di Dylan pubblicato dal New York Times nel 2014, Woody la porta in soffitta, le dice di sdraiarsi a pancia in giù e di giocare con un trenino elettrico; la violenta – secondo Moses, quella soffitta era impraticabile, piena di cacca di topo e uccelli, immondizia, robaccia, e nessun trenino. Mia Farrow rientra a casa con un suo amico, il quale, poche ore dopo, le rivela che la sua tata, rimasta in casa, ha visto Dylan guardare la tv con la testa posata in grembo a suo padre: tanto basta per convincere Mia che ci sia stata violenza. Tutto cambia per sempre. Pochi mesi dopo, una delle tate si licenzia perché Mia Farrow vuole obbligarla a testimoniare il falso. Durante tutto il processo, la madre dice ai figli che il padre ha fatto cose terribili e loro devono aiutarla a dimostrarlo se vogliono che la famiglia resti unita: “Feci la mia parte anch’io e dissi pubblicamente che mio padre mi aveva deluso: è il peggiore rimpianto che ho. Dissi poco dopo la verità agli psicologi, raccontai che mi sentivo bloccato tra i miei genitori, e Mia mi costrinse a ritrattare, accusandomi di aver rovinato il suo caso: ancora una volta, mi obbligò a mostrarle la mia lealtà”, scrive Moses» (Simonetta Sciandivasci) Pochi mesi dopo, nel settembre 2018, anche Soon-Yi Previn, divenuta nel 1997 la moglie di Allen, ha confermato i maltrattamenti della Farrow • «A Woody Allen piacciono giovani, le donne. Il Washington Post titola “Ho letto decenni di note private di Woody Allen. È ossessionato dalle adolescenti”, la firma è del freelance Richard Morgan, che recatosi alla Biblioteca Firestone dell’Università di Princeton ha potuto consultare i 56 scatoloni ivi custoditi dal regista americano: l’archivio contiene un po’ di tutto, da vecchie versioni di sceneggiature a script mai realizzati, da brevi racconti ad appunti personali, note e schizzi. Una mole documentale – copre 57 anni e l’82enne Woody la cura dal 1980 – che Morgan ha analizzato per primo, traendone la conclusione che Allen abbia “una insistente, vivida ossessione per le giovani donne e le ragazze” e la coazione a ripetersi del “misogino”. Forse più significativa è la premessa posta da Morgan: Allen non fa mai nuovi film, giacché ogni suo film, “può essere intitolato Una donna viene trattata come un oggetto da un uomo”. Insomma, il giornalista nutre qualche pregiudizio sul cineasta che ha incassato 24 candidature all’Oscar “senza bisogno – stigmatizza Morgan – di alcuna idea oltre a quella dell’uomo lascivo e della sua bella conquista”. […] Non solo manca il dolo nella “inchiesta” del reporter, ma latita lo scoop, anzi, la mera notizia. Da tempo, almeno da quando ha lasciato Mia Farrow per la loro figlia adottiva Soon-Yi Previn, la vita privata di Allen è stata rivoltata ed esposta a pubblico ludibrio, a partire dalle accuse di molestie sessuali della figliastra Dylan: Allen l’avrebbe abusata all’età di sette anni, il regista ha sempre negato. Ora Rose McGowan, vittima e accusatrice di Harvey Weinstein, twitta: “Woody Allen è stato finalmente smascherato. I suoi pensieri malati ci hanno danneggiato tutti”. Ma lo stesso Woody, parlando del caso Weinstein, aveva additato “l’atmosfera da caccia alle streghe”. Eccolo servito» (Federico Pontiggia) • «Con lo scoppio del Metoo, cresce di giorno in giorno l’elenco degli attori e delle attrici che, potendo tornare indietro, non lavorerebbero più con Woody Allen: Colin Firth, Timothée Chalamet, Rebecca Hall, Griffin Newman, Greta Gerwig, Mira Sorvino si sono pentiti pubblicamente di aver recitato per Allen, accusato di aver molestato la figlia Dylan quando aveva sette anni. La questione non è ovviamente la solidarietà, doverosa e lodevole, con le vittime di abusi. Il problema è che le accuse contro Allen sono di 25 anni fa, indagate da polizia e giudici e riportate dai media (Dylan le ha ripetute alla Cbs: “Perché non dovrei volerlo distruggere?”, e poi ha pianto). Dire oggi, come ha fatto Marion Cotillard, “ero ignorante in materia di quel che aveva fatto o non fatto, oggi scaverei più a fondo”, può portare qualcuno a ipotizzare che tra le buone intenzioni ci sia anche un pizzico di ipocrisia. […] Pentirsi è ovviamente degno di rispetto. Donare la paga a associazioni anti molestie è altrettanto lodevole. Ma proprio in casi come quello di Chalamet, ex sconosciuto, e Gerwig, lanciatissima con Lady Bird, non si può non prendere atto che rinnegare Allen significa anche fare un’ottima scelta di relazioni pubbliche» (Matteo Persivale) • «L’ultima del New York Times è che forse Woody Allen non è quel grande artista che si dice. Ora, è vero che Allen infranse molti anni fa una legge tribale della famiglia molto allargata di sua moglie, e “sua” grande attrice, Mia Farrow. I fatti sono noti. […] A. O. Scott, un buon critico cinematografico del Times, si è rivisto i film di Allen, in particolare quelli del periodo aureo anni Settanta e Ottanta con Mia Farrow interprete al suo fianco, e ne ha concluso, sia pure con un fondo di rispetto o tolleranza culturale, che lei è autore altrettanto quanto lui delle opere in questione, intanto, e che alla fine le storie di nevrosi sessuale e sentimentale, raccontate in decine di film, sono in bilico tra vita e arte, denunciano qualcosa di pericolosamente identitario (e il termine “denunciano” ha qui un significato non metaforico) e denotano un mondo di contemporaneità postfreudiana in fondo ambiguo e passibile di rivisitazione anche estetica e critica. Scott non va oltre, ma sono andati oltre tutti quelli, maschi e femmine, che si sono fatti una recente passeggiata su Woody Allen calpestandolo con le scarpe chiodate di un sospettoso e acre moralismo post #MeToo e affermando stentoreamente che non lavoreranno più con lui e sono pentiti di averlo fatto. Per essere un mattone nella demolizione di Woody Allen, la demolizione come monumento al pensiero unico dominante, quello di Scott è tra i meno pesanti, ma è anche distruttivo» (Giuliano Ferrara) • In seguito alle ripetute accuse di Mia Farrow e dei figli Dylan e Ronan (nonostante Allen sia stato scagionato anche giudiziariamente da ogni colpa), le grandi casi editrici statunitensi si rifiutarono di pubblicare la sua autobiografia, Apropos of nothing, edita poi nel 2020 da Arcade Publishing (e in Italia da La Nave di Teseo). «Quattro grandi editori americani, ha rivelato il New York Times, si sono rifiutati di pubblicare le memorie del regista temendo il boicottaggio del pubblico e l’attacco dei media. Gli stessi che soltanto qualche anno fa avrebbero fatto a pugni, a suon di assegni milionari, per aggiudicarsele alla luce delle ottime vendite dei precedenti libri di Allen come Saperla lunga, Effetti collaterali, Citarsi addosso, Pura anarchia. Interrogati dal quotidiano americano, i rappresentanti di Harper Collins, Hachette, Macmillan, Simon & Schuster, Penguin Random House si sarebbero rifiutati di commentare» (Gloria Satta) • Nel 2023 ha presentato al Festival del cinema di Venezia il suo ultimo film, Coup de chance. Contestazioni al Lido di un gruppetto di femministe che gli hanno gridato: «stupratore».
Battute «Se Dio potesse solo darmi un segno! Per esempio, intestandomi un conto in qualche banca svizzera» • «Non solo Dio non esiste, ma provate a cercare un idraulico durante il week-end!» • «Ho incontrato la mia ex moglie in un ristorante e, dato che sono uno scostumato, l’ho avvicinata e le ho chiesto: “Che ne diresti di venire a fare l’amore ancora una volta?”. “Sul mio cadavere!”, ha risposto. Al che ho replicato: “Perché no? come abbiamo sempre fatto”» • «Sono contrario ai rapporti prima del matrimonio perché fanno arrivare tardi alla cerimonia» • «Io sono eterosessuale, ma a essere bisessuali si hanno dei vantaggi. Per esempio, raddoppia le probabilità di uscire il sabato sera» • «Sono tormentato dai dubbi. E se tutto fosse un’illusione? Se nulla esistesse? Ma, allora, avrei pagato uno sproposito per quella moquette!».