ItaliaOggi, 2 dicembre 2023
Fleming: le città più malfamate
Giornalista, studi a Eton, poi a Monaco e Ginevra, accademia militare a Standhurst, ex funzionario del servizio segreto militare, amico di Edith Sitwell, Noel Coward e W. Somerset Maugham, Ian Fleming pubblica la prima avventura di James Bond quando la spy story è ancora un sottogenere del poliziesco, o un parente esotico e un po’ snob del romanzo d’avventura. Nel 1953, quando esce Casino Royale (in copertina un nove di cuori, ogni cuore sanguinante, come nei santini del Sacro Cuore di Gesù) e comincia la leggenda del «doppio zero», la spy story sta prendendo lentamente forma. Cresce a dimensione autonoma insieme alla guerra fredda, di cui sempre al momento si occupa la cronaca politica, e solo marginalmente la fiction. Questa sembra intimidita dalla minacciosa imperscrutabilità degli eventi: l’affaire Rosenberg e i colpi di Stato nell’est europeo, il maccartismo e la caccia alle streghe a Hollywood e nella pubblica amministrazione, la morte di Stalin e quella di Berija, i francesi in Vietnam, la guerra di Corea, la defezione delle spie di Cambridge, una gioventù improvvisamente «bruciata», gli scienziati atomici di fede bolscevica, le leggende metropolitane riguardo ai candidati manciuriani col cervello riprogrammato e volto al peggio.
Grande romanziere, Fleming fu anche un ottimo giornalista, come dimostrano le pagine di questo lungo reportage dalle città «più malfamate del pianeta» per il Sunday Times: Napoli, Hong Kong, Los Angeles e Las Vegas, Tokio, Montecarlo eccetera. Non c’è città, a questo mondo, che non sia a modo suo malfamata, come si vede dall’elenco di città esplorate da Fleming, ma soprattutto non c’è autore di spy stories che non sia anche un reporter più o meno addentro alla geopolitica criminale dei cinque continenti.
Quelli per il Sunday Times, scritti alla fine degli anni Cinquanta, sono articoli eccezionali, ma il top della carriera giornalistica di Fleming risale al 1933, quando per conto della Reuters capita giovanissimo a Mosca, dove si sta celebrando un processo-farsa «a sei ingegneri britannici della società elettrica Metropolitan-Vickers arrestati dal Ghepeù sotto l’accusa di spionaggio e sabotaggio». È il prequel degl’incombenti processi di Mosca. Fleming cerca d’intervistare Stalin, il quale si nega gentilmente, con un biglietto firmato di suo pugno che l’autore di Dalla Russia con amore conserverà per tutta la vita. Niente intervista, ma tornato in hotel dopo il processo, Fleming scrive un articolo che anticipa le storie di James Bond (lo racconta il suo biografo, John Pearson, in La vita di Ian Fleming, creatore di James Bond, Ghibli 2019).
«”Questa notte”», battè Fleming sulla macchina da scrivere nella vasta camera da letto al sesto piano dell’hotel moscovita, «”migliaia di nemici dello Stato sovietico si radunano furtivamente nelle cantine e sogghignano”». Quando mostrò il pezzo a Kinkead, un suo collega, e gli chiese di trasmetterlo a Londra, lo sbalordito corrispondente della Reuter osservò che se anche quei cospiratori fossero davvero esistiti, restava il fatto indiscutibile che pochissime case di Mosca avevano la cantina. «”Amico mio”, rispose Fleming allegramente, “non stiamo troppo a sofisticare. È l’atmosfera che conta, e i malvagi, com’è noto, vanno sempre a sogghignare nelle cantine”».
Ian Fleming, Thrilling Cities. La nave di Teseo 2023, pp. 288, 20,00 euro, eBook 11,99 euro