il Fatto Quotidiano, 2 dicembre 2023
Callas non amava la sua voce
“Non mi piace la mia voce. Non capisco perché qualcuno la voglia ascoltare”. Così Maria Callas, nata a New York il 2 dicembre 1923, era solita civettare in più di una intervista. La sua voce – oggi eternata su 70 cd in un cofanetto Emi Classics – è stata invero la più mitizzata. Il centenario della nascita, scandito da celebrazioni a ogni latitudine, conferma quanto il suo nome basti da solo a simboleggiare l’opera lirica del Novecento.
Figlia di un farmacista greco emigrato, dopo la separazione dei genitori torna in patria con la madre e la sorella. È al conservatorio di Atene che scopre e affina il suo talento ma è con il riapprodo in Usa che perfeziona la sua tecnica per poi infine trovare la consacrazione in Italia. Nel corso degli anni 50 incarna alcune tra le più grandi figure femminili del melodramma. Luchino Visconti firmerà da regista i suoi trionfi con la Sonnambula e La traviata. La sua presenza scenica incanta gli spettatori perché “non si sa dove finisce la voce e dove comincia l’interpretazione drammatica”. Negli anni 60 è protagonista assoluta delle cronache mondane. Sposata con l’imprenditore Meneghini, lo lascia travolta dalla passione per l’armatore greco Aristotele Onassis, il quale qualche anno più tardi le preferirà Jacqueline Kennedy. Callas tenta la carta del cinema d’autore. Pasolini la sceglie, muta e ieratica, per il suo film Medea del 1969. Negli anni 70 si ritira via via dalla scena pubblica per poi morire a causa di un arresto cardiaco a soli 53 anni nel settembre del 1977.
Una biografia che ha ispirato il grande schermo. Basti pensare all’omaggio implicito di Fellini nel suo E la nave va o a Callas Forever di Zeffirelli con Fanny Ardant. In una Scala blindata proprio in questi giorni le riprese di un film che vede protagonista Angelina Jolie nei panni del soprano.
Il teatro italiano la celebra tra oggi e domani con due eventi in suo onore. Al Piccolo di Milano con Concita De Gregorio in dialogo con Umberto Galimberti e il giallista greco Markaris. Al Palladium di Roma con un’opera realizzata dai compositori Moretti e Piersanti e dal poeta Valerio Magrelli: Kalós-Callas: collage. È la bibliografia su Maria Callas tuttavia a destare impressione. Si contano a centinaia i titoli a lei consacrati che ne fanno una star anche dell’editoria libraria. Tra volumi fotografici sul suo look, ricettari, graphic novel, svariate le biografie, inclusa una illustrata per ragazzi. Svariati anche gli epistolari. Da segnalare almeno Io, Maria. Lettere e memorie inedite, a cura di Tom Volf, targato Rizzoli. Se Alfonso Signorini firma per Mondadori Troppo fiera, troppo fragile, l’editore Quodlibet ha mandato in libreria Mille e una Callas. Voci e studi, nel quale studiosi di rango analizzano “l’anatomia vocale”.
Tre uscite recenti ne perpetuano il mito e sono una traccia utile per ripercorrerne la parabola. Il critico francese René de Ceccatty nel suo Maria Callas (Neri Pozza) scrive: “Il suo timbro e il suo stile sono diventati un logo, come la gonna di Marilyn sollevata dal passaggio della metropolitana”. Nottetempo ripubblica, a cura di Irene Soave, Maria Callas di Camilla Cederna, apparso nel 1968. È un ritratto impietoso, distillato della penna caustica della giornalista. Pagine che raccontano le bizze della diva con gli impresari, le scene isteriche prima di andare in scena, la rivalità con Renata Tebaldi (“Paragonarmi a lei? Sarebbe come paragonare lo champagne con la Coca-Cola”). Cederna ricorda lo scandalo del giugno 1958 quando, al Teatro dell’Opera di Roma, alla presenza dell’allora presidente Gronchi, Callas non si presenta per il secondo atto infastidita da qualche fischio tanto da dover essere scortata all’uscita dai celerini tra le proteste degli spettatori. Annarita Briganti firma per Cairo Maria Callas. La Diva umana. Qui la biografia è scandagliata da una prospettiva simpatetica, che accoglie e comprende tutte le fragilità dell’artista: “Una bambina, una ragazza, una giovane donna non amata da grande si sentirà sola”. Ecco allora che per Briganti la leggenda è solo un altro snodo dell’emancipazione femminile: “Callas fa parte di quelle eroine del Novecento che hanno rotto il soffitto di cristallo anche per noi, che ci permettono di essere libere”.