il Fatto Quotidiano, 2 dicembre 2023
Ascesa e caduta di Bernard Tapie
Ogni vita è un potenziale romanzo. Va bene. Però non tutte le vite facilitano il romanziere (e lo sceneggiatore) come nel caso di Bernard Tapie. Nato nella Parigi del 1943, figlio di un operaio metalmeccanico e di un’infermiera, in bacheca un diploma di tecnico elettronico, nella sua esistenza è riuscito a inanellare una serie incredibile di sconfitte, vittorie, hit, resurrezioni, batoste, trionfi, scudetti, carriera politica, affari e pure una Coppa dei Campioni. È riuscito a reinventarsi, a ottimizzare, a bluffare, a credere in se stesso oltre ogni possibile evidenza; ha iniziato come cantante, ha inciso un disco con il nome d’arte di Bernard Tapy (“più semplice da scrivere e ricordare”), ha poi mollato per gli scarsi risultati. Si è cimentato nella Formula 3, ma ha rinunciato dopo un incidente. Ha lanciato una catena di grandi magazzini di elettrodomestici, affari a molti zeri, una Ferrari come emblema del suo successo. Ha perso tutto, quando il socio ha deciso che non era più necessaria la sua presenza. Ha ricominciato, fino a diventare nel 1990 proprietario dell’Adidas e ancor prima della squadra di calcio dell’Olympique Marsiglia. Per almeno un decennio il suo ciuffo, il suo accento, il suo sorriso, i suoi modi sono stati il simbolo dell’uomo vincente, l’uomo che si è fatto da solo e in grado di sconfiggere un altro uomo che si è fatto da solo: Silvio Berlusconi e il suo Milan nella finale del 1993. Da lì il crollo. Inchieste. Scandali. Condanne. La fine di una breve stagione di fuoco. Tutto questo non poteva non essere un romanzo; non poteva non diventare una serie in onda su Netflix dove il sorriso, il ciuffo, i modi e le stagioni targate Tapie rivivono con un crescendo degno del suo protagonista.