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 2023  dicembre 01 Venerdì calendario

Intervista a Eva Cantarella

Domani sera alle Ogr di Torino Eva Cantarella, già professoressa ordinaria di Diritto greco e romano alla Statale di Milano, interverrà sul ruolo del Femminile tra Occidente e Oriente in occasione del Festival del Classico. In questa intervista, dopo Atene, Sparta e Roma proviamo ad arrivare fino ad oggi.
Nell’antichità come veniva considerata la donna in Occidente e in Oriente?
«Erodoto, che non fu solo uno storico ma un antropologo, viaggiò in Oriente raccontando per esempio Tomiri e Artemisia, due donne di grande potere da cui si comprende come in quel mondo la distinzione di genere fosse minima, al contrario che nel mondo greco».
Chi era Tomiri?
«Tomiri nel VI secolo a.C. fu una regina combattente, che ereditò il titolo dal marito pur avendo un figlio maschio e governò gli indiani massageti nell’attuale Kazakistan. Quando Ciro il Grande, imperatore di Persia, la chiese in moglie, lei rifiutò subendo un’invasione a cui rispose fino a che il figlio fatto prigioniero non si suicidò. Quando offrì la pace, Ciro declinò, così scatenò una battaglia e lo uccise immergendone il cadavere in una botte piena di sangue di animale per vendicare il figlio morto».
E Artemisia?
«Nello stesso periodo Artemisia, dopo la morte del marito, diventò sovrana di Alicarnasso, oggi Bodrum in Turchia. Con le sue cinque navi partecipò alla Seconda guerra persiana, pur avendo sconsigliato Serse di farlo. E sappiamo come andò a finire. Serse poi disse: i miei uomini sono diventati donne e le donne uomini».
Furono eccezioni o la regola in Oriente?
«Furono eccezionali come combattenti, ma rappresentative di una femminilità emancipata. In Grecia, da Aristotele in giù, si teorizzò invece l’inferiorità della donna: alcuni dubitarono perfino avessero un ruolo nella riproduzione».
Dipendeva dalla forza?
«Non solo, i greci erano proprio convinti dell’inferiorità mentale e fisica della donna».
Sia ad Atene sia a Sparta?
«Diciamo che avrei preferito vivere a Sparta, dove le donne erano più libere ma perché gli uomini erano sempre in guerra. I figli andavano subito a vivere in comune e, dopo il matrimonio, tornavano a casa solo per riprodursi, per il resto si allenavano e combattevano. Le spartane, inoltre, potevano amarsi liberamente tra loro, mentre ad Atene era ritenuto riprovevole. Va detto che anche a Sparta le donne pesavano poco, per esempio quando morivano il loro nome veniva scritto sulla tomba solo se avevano un figlio morto in guerra. Insomma, erano libere ma contavano come riproduttrici».
Questa diffidenza nasce dal mito di Pandora?
«Sì, viene definita la Eva greca, ma in realtà è peggio dell’Eva giudaica, subalterna ma pur sempre compagna. Pandora viene mandata da Zeus sulla Terra come punizione per la colpa commessa da Prometeo. Da lei, dice Esiodo, discende il genere maledetto, la tribù delle donne».
Il maschilismo proviene dai greci?
«Sì, i romani erano molto meglio. In Grecia per esempio le donne non potevano ereditare dal padre, mentre a Roma sì. Le romane all’inizio avevano un tutore poi nel tempo si ribellarono, a differenza delle greche. Quando Augusto volle affrontare il tema della denatalità, che veniva vista come colpa delle donne che si erano emancipate e non volevano affaticarsi, fece una legge per rendere punibili le adultere da qualsiasi cittadino e non solo dal capo famiglia con la clausola che non valeva per le prostitute, così le romane scesero in piazza minacciando di iscriversi tutte alle case di prostituzione».
E su di noi hanno influito più i greci o i romani?
«Grazie a Dio i romani, poi nei secoli anche per via del Cattolicesimo le cose sono cambiate. Il patriarcato di cui si parla tanto oggi a sproposito, per esempio, è nato a Roma».
Cosa intende?
«Mi pare si ignori il diritto, che però esiste. Nel 1942 il Codice era davvero patriarcale, ma dal 1975 non più con la fine della patria potestà. Parlare di patriarcato oggi vuol dire non conoscere i propri diritti. Poi che ci siano ancora molti uomini violenti è un altro discorso».
Per le femministe il patriarcato è una struttura sociale di cui sono vittime donne e uomini e che favorisce la violenza di genere, che ne pensa?
«Trovo sbagliata questa definizione sia dal punto di vista giuridico sia sociale. Distinguerei tra patriarcato e maschilismo. Secondo me occorre un nuovo patto sociale tra uomini e donne. I femminicidi sono un segno di crisi di molti uomini privi di strumenti, che dopo le riforme giuridiche e l’emancipazione femminile non sanno come reagire».
Aiuterebbe un’ora di educazione sentimentale a scuola?
«Sono perplessa, vorrei sapere prima chi la fa e con quali contenuti. Forse sarebbe meglio svolgere bene i programmi già assegnati. Se fossi un insegnante, inoltre, non vorrei mai doverla fare. È anche un tema molto personale».
Ha ragione Luciano Canfora quando dice che i femminicidi sono una questione di classe e non solo di genere?
«Sì, anche di formazione culturale. Mi pare che in certe zone d’Italia e nelle periferie il fenomeno si verifichi di più. E personalmente ci vedo una disperazione del maschio a cui non resta più niente».
C’è una guerra tra i sessi?
«Non la vedo oggi come non la rilevavo negli anni Settanta, quando semplicemente comandavano gli uomini e noi non abbiamo più ubbidito».
E oggi chi comanda?
«Oggi ci sono molte donne in condizione di potere, e io non sono favorevole alle quote, per cui per me va bene così. Mi prenderò della reazionaria, ma lo penso».
Invece come si definirebbe politicamente?
«Sono sempre stata di sinistra e continuo ad esserlo, anche se capisco poco Elly Schlein».
Cosa non comprende?
«È partita male con l’armocromista e ogni volta che parla faccio fatica a capire a chi si rivolga e con quali proposte esatte, ma forse a 87 anni non sono più io il suo obiettivo».
Chi è il suo personaggio storico preferito?
«Il mio mito è Cesare, meraviglioso politicamente, sessualmente e pieno di spirito».
E tra le donne?
«In questi casi si pensa sempre a Elena, ma quale? Quella al fianco del re di Sparta Menelao, modello perfetto di donna, o quella scappata col principe di Troia Paride e colpevole di tutto? Il mio mito femminile invece è Sulpicia, poetessa dell’epoca augustea che mise in luce l’altra grande differenza tra le donne romane e quelle greche: studiavano. Scrisse poesie d’amore per Cerinto, anche dichiarandosi esplicitamente e parlando di una notte erotica, ma poiché donna i suoi versi vennero attribuiti ingiustamente a Tibullo».