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 2023  novembre 30 Giovedì calendario

I carbonari della letteratura

Una specie di carboneria che intendeva applicare alla letteratura le tecniche del colpo di Stato. Così descriveva la neoavanguardia, nel marzo 1964, un anonimo professore che insegnava italiano in una università americana, intervistato sul Corriere d’Informazione da Giovanni Russo. Poteva essere Pier Maria Pasinetti, a giudicare dalla sigla che compariva nell’articolo, intitolato non a caso Avanguardia senza stracci. Quella in sostanza era l’idea che suscitava in molti letterati il Gruppo 63, costituitosi informalmente sessant’anni fa durante le famose (o famigerate) giornate di Palermo che dal 3 all’8 ottobre 1963 videro riuniti all’Hotel Zagarella giovani e giovanissimi critici e scrittori come Edoardo Sanguineti, Umberto Eco, Alberto Arbasino, Giorgio Manganelli, Antonio Porta, Elio Pagliarani, Renato Barilli, Francesco Leonetti, Nanni Balestrini, Luigi Malerba, Angelo Guglielmi, Alfredo Giuliani, Carla Vasio, Enrico Filippini (cui si devono i contatti con il Gruppo 47 tedesco) e altri. Molti dei quali sarebbero rimasti fedeli agli esordi sperimentali, mentre non pochi avrebbero preferito rientrare nei ranghi della stessa tradizione (magari rivisitata) che avevano contestato. In altri casi si trattò di autentiche abiure, come per Sebastiano Vassalli.
L’obiettivo polemico erano quegli autori che allora andavano per la maggiore, Cassola Bassani Pratolini, definiti per scherno le «Liale del nostro tempo». Per tutta risposta, fu adottata l’etichetta dispregiativa di «avanguardia in vagone letto». Anche se in realtà, prima di essere divulgata dagli avversari, quella etichetta fu inventata dallo stesso Eco, il quale riconosceva così ironicamente di essere, lui come i suoi compagni, già ben inserito dentro il sistema culturale, tra editoria, televisione, giornali, università, negando dunque di voler scalare un qualsiasi potere, e piuttosto insistendo sull’intenzione di bombardare dall’interno, anche con spirito giocoso e provocatorio, il linguaggio e gli schemi della vecchia letteratura «ben fatta». Tutto ciò con straordinari effetti di ricerca e di inquietudine sperimentale anche su tempi lunghi.
Parecchi di quei giovani contestatori sono meritatamente rimasti, a vario titolo, nelle antologie e nei manuali tra i maggiori scrittori e poeti del secondo Novecento. Oggi naturalmente tutto il livore reciproco è scomparso anche perché, per raggiunti limiti di vita, sono scomparsi molti dei protagonisti e degli antagonisti di quella accesa temperie pur avendo lasciato nipotini tutt’altro che arrendevoli. L’anniversario è passato alquanto sottotono, ma per fortuna c’è chi esorta a non dimenticare. E la Libreria antiquaria Pontremoli di Milano ha organizzato una mostra (ora terminata) di carte, fotografie, libri che rievocano quella storia di «carboneria», risalendo alle origini del Gruppo, ovvero alla fondazione della rivista Il Verri del critico-pioniere Luciano Anceschi, che sin dalla fine degli Anni 50 ospitò quei futuri «terroristi». L’antologia dei Novissimi, «voce violenta della nuovissima poesia italiana» (secondo le parole del prefatore Giuliani), avrebbe anticipato di due anni, nel 1961, il battesimo palermitano. In realtà, il Gruppo si sarebbe estinto con la chiusura, nel 1969, di un’altra rivista, Quindici, che per un triennio circa fu una sorta di house organ del «movimento», andato in frantumi per divergenze in primo luogo ideologiche: perché era ovvio che la trasgressione linguistica avesse una matrice genericamente di sinistra, che andava dal marxismo ortodosso al socialismo, all’estremismo extraparlamentare (quasi un decennio dopo, Balestrini sarebbe stato costretto a una fuga in Francia per evitare il carcere dopo il processo 7 aprile).
La collezione esposta alla Pontremoli è stata messa insieme per una vita da un lettore appassionato, Antonio Autieri, ed è composta da oltre cinquecento volumi e da più di venti riviste variamente legate alla nascita e allo sviluppo della neoavanguardia (c’è anche il Menabò di Vittorini e Calvino). Purtroppo il fondo di Autieri non è stato acquisito in blocco da nessuna istituzione o biblioteca pubblica ed è andato incontro a un infelice smembramento tra singoli acquirenti privati. Ne resta per fortuna un bel catalogo, pubblicato dalla stessa Pontremoli (Gruppo 63), a cura di Raffaella Colombo, che giustamente più che di un movimento parla di una «galassia», cioè di «un insieme di mondi verbali e verbo-visuali». E in tale senso è significativa la presenza di Achille Bonito Oliva, il teorico della transavanguardia nato come poeta sperimentale («guerriero solitario»), che in un’intervista mette in relazione le sovversive esperienze artistiche coeve con quelle letterarie, comprese le frange più specificamente acustico-verbali (come il circolo emiliano-parasurrealista del poeta «totale» Adriano Spatola).
Eccoci dunque alle antologie, che mostrano l’adesione immediata di editori come Feltrinelli e (più tiepidamente) Einaudi. Ed eccoci ai protagonisti, con singole schede biografiche a cura di Colombo e Giacomo Coronelli, da conservare a futura memoria per chi voglia ricostruire intrecci e storie singolari, dai «fondatori» ai seguaci. A partire dalla straordinaria figura di Anceschi per finire con i dimenticati come Gian Pio Torricelli, i capitati lì per caso come Amelia Rosselli, l’inventore della «poesia tecnologica» Lamberto Pignotti, il «parigino» Giancarlo Marmori, l’antiromanziere per eccellenza Germano Lombardi, i siciliani Roberto Di Marco e Michele Perriera, lo «schizoide» Corrado Costa. Poi le prime edizioni più rare: di Arbasino, di Manganelli, di Balestrini, con cui entra in scena in qualità di cauto spalleggiatore l’editore Scheiwiller. È interessante seguire la vivacissima costellazione editoriale: le tante piccole e coraggiose imprese, come Geiger (creata dai fratelli Spatola) o Tam Tam (edizioni con rivista animata da Giulia Niccolai), accompagnate da fogli minimi che oggi non dicono molto ma allora erano urli fantasiosi: «BAB ILU», «Malebolge», «Marcatrè», «Periodo ipotetico»… C’è insomma da divertirsi a scartabellare nel fondo Autieri, come si divertirono i neoavanguardisti nel fare «incazzare» il mondo pigro della tradizione. Proposito esplicito di Balestrini che andò indubbiamente a segno.