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 2023  novembre 30 Giovedì calendario

I giornalisti possono piangere in tv?

Un reporter dello Zdf, il secondo canale pubblico, è scoppiato in lacrime in diretta, per aver visto una bambina seguire per strada i manifestanti dell’Ultima Generazione, che lottano per salvare il mondo, commosso dalle risposte della piccola alla sua intervista improvvisata.
È accettabile, anche noi cronisti siamo esseri umani, oppure bisogna sempre mantenere un distacco professionale? Se ci facciamo travolgere dalle emozioni non siamo più obiettivi? Lo ha chiesto, sulla Süddeutsche Zeitung, Tanja Rest, 52 anni.

La collega ha concluso con un ricordo personale. Alle prime armi in redazione, tornò da un servizio che l’aveva coinvolta, un bambino era stato rapito e ucciso, il giornale pretendeva l’intervista ai genitori. «Feci quanto richiesto», ha detto, «ma non raccontai a nessuno delle mie lacrime, altrimenti sarei rimasta per sempre la piagnucolona».

Adesso nei giornali la situazione è cambiata, ha aggiunto, ma da reporter si può piangere a una dimostrazione? Sempre meglio di no. Con il pianto, il giornalista tv ha confessato la sua totale partecipazione alla protesta dei giovani paladini del clima. E magari provoca una reazione contraria nei telespettatori che avrebbe avuto il dovere di informare su pro e contro dell’evento. Se era così coinvolto, avrebbe dovuto prendere un giorno di permesso e scendere in strada con i manifestanti.
Frau Tanja Rest la pensa come me, è un tema troppo personale, ognuno la pensi come vuole, però sono convinto di aver ragione. Occorre distacco, che non è indifferenza, per restare obiettivi. Una regola professionale che mi fu insegnata in cronaca. E si rimane sempre cronisti, o si dovrebbe, a Palermo o a Mosca. La Tv e i giornali, non solo in Italia, sono diventati più emotivi, a causa della audience, un servizio freddo non attira i like.

La collega ha ricordato il caso di Van Jones, telecronista afroamericano della Cnn, con anni di esperienza, di solito bravo nell’analizzare e spiegare i fatti, che il giorno della vittoria di Joe Biden, fu soffocato dall’emozione, cominciò a balbettare, a parlare di cosa significasse per lui e per la sua famiglia, vittima del razzismo quotidiano. Parlò di se stesso. Van Jones divenne la notizia.
Non riesco ad accettare le domande dei colleghi ai parenti delle vittime, di un incidente o di un delitto: «Cosa prova?», ancor peggio «Perdona l?assassino?», o il conducente dell’auto pirata. È una violenza su chi soffre, e che si sente colpevolizzato se proprio non riesce a perdonare. Se seguo una partita alla Tv, non voglio che il commentatore faccia il tifo per una squadra, neanche la mia. Mi piaceva la freddezza apparente di Nicolò Carosio.

Ingo Zamperoni, padre italiano e madre tedesca, 49 anni, conduttore del telegiornale dell’Ard, il primo canale pubblico, quando gli azzurri batterono la Germania, si limitò a dire con ironia: il mio sorriso vi fa capire per chi batte il mio cuore. E centinaia di tedeschi chiesero il suo licenziamento.
Non dimentico i morti visti come cronista alle prime armi a Torino, i morti sul lavoro, per strada, i suicidi. Mi ripugnava chiedere alle famiglie le foto delle vittime, all’inizio sono tutti sotto shock, poi ti buttano fuori casa, a Torino o in Germania, come ha ricordato Tanja.
Una volta, non ebbi il coraggio di chiedere alla vedova la foto del marito suicida, un disoccupato. Triste, ma non era una gran notizia. La mattina dopo, il giornale concorrente l’aveva in prima pagina. Avevo preso un buco, come si dice in gergo. Il capocronista non mi disse nulla, forse aveva capito. Ero troppo buono per essere un buon cronista.
Il mio primo servizio importante fu la tragedia del Vajont. Alle 10 di mattina, ero l’unico al giornale, perché stavo studiando per gli ultimi esami di legge. E l’inviato Gino Nebiolo mi volle prendere con sé. Davanti a duemila morti devi mantenere un distacco, altrimenti non riesci a scrivere. Alla prima domenica, parlai dei turisti che venivano con i figli anche piccoli a vedere. Descrissi senza un aggettivo la loro incapacità di partecipare al lutto. Ora ci siamo abituati. L’articolo fu notato da La Stampa, che poi mi assunse. La mia carriera, parola che non mi piace, cominciò sui morti.