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 2023  novembre 30 Giovedì calendario

Metti in un libro Fellini, Leone e Monicelli

Perché il cinema, perché la commedia; cos’è la commedia all’italiana. L’importanza delle musiche all’interno di un film. No, niente musica, altera la visione. La forza della luce. I sogni. Le bugie. Le donne. Il “debito” di Peckinpah e Kubrick. È un dialogo indiretto, straordinario, quello proposto da Il Saggiatore, tra Federico Fellini, Sergio Leone e Mario Monicelli: tre maestri, tre visioni, quasi mai convergenti; tre approcci. Tre magie.
Di seguito alcuni passaggi.
Leone: “(…) Quando vado al cinema, spesso mi irrito perché capisco quello che succederà nei primi dieci minuti. Così, nel momento in cui lavoro su un soggetto, cerco un modo di far procedere la storia che lo spettatore non possa prevedere. Tento di sorprenderlo, faccio di tutto per alimentare la curiosità. E in questo tipo di struttura, l’ambiguità modella la costruzione. Frammentando il flashback, non allento la tensione e tengo viva la curiosità. Ma non è solo merito del flashback. Applico la stessa tecnica a tutte le sequenze”.
Fellini: “La luce è la materia del film, quindi nel cinema (…) la luce è ideologia, sentimento, colore, tono, profondità, atmosfera, racconto. La luce è ciò che aggiunge, che cancella, che riduce, che esalta, che arricchisce, sfuma, sottolinea, allude, che fa diventare credibile e accettabile il fantastico, il sogno o, al contrario, rende fantastico il reale, dà miraggio alla quotidianità più grigia, aggiunge trasparenze, suggerisce tensioni, vibrazioni. La luce scava un volto, o lo leviga, crea espressione dove non c’è, dona intelligenza all’opacità, seduzione all’insipienza. La luce disegna l’eleganza di una figura, glorifica un paesaggio, lo inventa dal nulla, dà magia a uno sfondo. La luce è il primo effetto speciale, inteso come trucco, come inganno, come malìa, bottega alchemica, macchina del meraviglioso. La luce è il sale allucinatorio che bruciando sprigiona le visioni; e ciò che vive sulla pellicola vive per la luce”.
Monicelli: “(…) La semplicità innanzitutto. Una storia deve essere riassumibile in poche frasi, senza inutili divagazioni”.
Monicelli: “Il vantaggio dei film brutti è che non li vede nessuno”.
Leone: “Stanley Kubrick ha dichiarato: ‘Senza
Sergio Leone, non avrei mai potuto fare Arancia meccanica…’. Sam Peckinpah ha detto: ‘Senza Sergio Leone, non avrei mai potuto fare Il mucchio selvaggio’. Non parlavano di affinità di idee o di temi. Si riferivano a una rottura storica con le convenzioni ineludibili del genere. Prima di me, non si poteva realizzare un western senza donne. Così come non si poteva rappresentare la violenza, perché gli eroi dovevano essere positivi. Era fuori discussione giocare sul realismo dell’epoca: i personaggi dovevano essere vestiti come dei modelli! Io ho imposto l’eroe negativo, sporco, realista, totalmente inestricabile dalla violenza…”.
Leone: “A volte facevo partire la musica sul set per fornire l’atmosfera della scena. La recitazione degli attori ne era influenzata. Era un sistema che Clint Eastwood apprezzava. Qualche tempo dopo, all’inizio delle riprese di C’era una volta il West, Henry Fonda non riusciva a capire perché ci fosse della musica mentre era in scena. Ne era sconcertato. In seguito si è abituato al punto da chiedere che fosse presente a ogni ripresa”.
Monicelli: “La musica in un film (…) supplisce alle manchevolezze della storia. Serve a sottolineare ciò che l’azione non è in grado di comunicare. In un certo senso, è la misura del fallimento del regista. In Parenti serpenti e Panni sporchi non c’è quasi commento musicale. Poi è vero che in alcune occasioni la musica diventa parte del film. (…) Senza le musiche di Nino Rota i film di Fellini perderebbero il 50 per cento”.
Fellini: “Quando il film è finito, lo abbandono con fastidio. Non ho mai rivisto un mio film in una sala. Sono assalito da una forma di pudore, mi trovo nella condizione di chi non vuol vedere un amico fare cose su cui non era d’accordo”.
Leone: “A ogni ciak Welles ordinava al ladro di correre più vicino al treno. Sempre più vicino! Più vicino! Alla fine della terza giornata, l’attore si è avvicinato e, tremando, mi ha detto: ‘Signor Leone, mi faccia un favore… dica al signor Welles che faccio cinema per sopravvivere, non per morire’”.
Monicelli: “La miseria ha costituito una fonte di comicità. La risata diventava una possibilità di riscatto, una forma liberatoria, la voce dei perdenti che si leva contro le regole sociali”.
Fellini: “Non sono un homo politicus. Politica e sport mi lasciano completamente disinteressato, inerte, non partecipe e quando mi trovo a viaggiare in treno, o ospite in qualche casa privata, le mie possibilità di conversazione sono ridotte a zero”.
Leone: “Ho iniziato la mia carriera di bugiardo con le donne. Quando ero giovane mi capitava di avere più di una relazione contemporaneamente. (…) Dovevo inventarmi ogni scusa per poter giustificare i miei spostamenti. Quella situazione non mi rendeva la vita facile. Ogni mattina, dovevo immaginare un nuovo copione e organizzare una specie di piano delle riprese. (…) Un copione che non finiva mai”.