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 2023  ottobre 10 Martedì calendario

Biografia di Nicola Zingaretti

Nicola Zingaretti, nato a Roma l’11 ottobre 1965 (58 anni). Politico (Partito Democratico; già Democratici di sinistra, Partito democratico della sinistra, Partito comunista italiano). Deputato (dal 13 ottobre 2022). Ex segretario del Pd (2019-2021, dopo Maurizio Martina, prima di Enrico Letta). Ex presidente della Regione Lazio (2013-2022). Già presidente della provincia di Roma (2008-2012) e europarlamentare per il Pse (2004-2008) • «Il burroso e sudatissimo Zingaretti» (Alessandro Giuli) • «Fratello del commissario Montalbano» (Monica Guerzoni) • «Il 16 ottobre del ’43, quando ci furono le deportazioni degli ebrei a Roma, i nazisti entrarono anche a casa dei miei nonni materni, indirizzati lì da un vicino fascista. Mio nonno, ebreo, da qualche giorno si era nascosto in un convento di suore, e così trovarono solo mia nonna, e mia madre attaccata alla sua gonna. Le chiesero se era la famiglia Di Capua e lei ebbe la lucidità di dare loro un documento con il suo cognome da nubile, Rippo. “Siamo Rippo, noi: vi siete sbagliati”. Se non fosse stato per quel gesto le avrebbero portate ad Auschwitz e uccise, come è successo alla mia bisnonna Ester, la madre di mio nonno, e noi – come ricorda sempre mia mamma – non esisteremmo» (Silvia Nucini) • Lei tecnicamente non è ebreo. «No, perché lo era mio nonno, e si è sposato mia nonna grazie a una dispensa della Sacra Rota. Lei non parlava di politica, ma diceva che “dei fascistacci non ci si può fidare”» (Michele Masneri) • Cresciuto alla Magliana, poi a via del Serafico all’Eur, poi a piazza Bologna Suo padre c’è ancora? «Sì». Cosa faceva? «Dirigente della Banca commerciale italiana». Quanti figli siete? «Io, Luca e Angela, che si occupa di spettacolo. Abbiamo tutti due figlie a testa, quindi sei nipoti femmine totali» Che tipo di famiglia eravate? Qual è il segreto per produrre un attore celebre, suo fratello, e il (per poco) segretario del Partito democratico? «Mio padre era molto preoccupato, veramente. Un figlio in politica e un altro nel cinema: molto preoccupato. Però era una famiglia piena d’amore: mia madre ci portava la sera a Massenzio e di notte a vedere il festival di poesia a Castelporziano. Metteva un plaid e ci stavamo tutti. Non si stava mai a casa, si usciva tutte le sere». «Una famiglia di sinistra. Nessuno dei miei genitori militava in qualche partito, però ti mettevano in mano i libri di Pasolini, di Calvino. Si andava a vedere Dario Fo. E poi però io andavo a sentire Renato Zero». Non riesco a immaginarla sorcino. «Sì, sì, assolutamente sorcino. Pure mio fratello Luca». Altre passioni? «Giorgio Gaber! Tutto a memoria. Una delle ultime canzoni dice: “Non insegnate ai bambini la vostra morale / potrebbe far male / date fiducia all’amore / il resto è niente”, è una cosa in cui mi ritrovo molto» (Masneri) • «Un giorno dei suoi 17 anni legge L’Agnese va a morire di Renata Viganò. “Una contadina ignorante che percepisce, però, il senso del giusto e dell’ingiusto”. Gli si muove qualcosa dentro, […] e, molti anni dopo, chiamerà sua figlia Agnese. […] “Sai quando cammini sul bagnasciuga, tu non te l’aspetti, arriva un’onda improvvisa e ti ritrovi tutto bagnato? Ecco per me la politica è stata una cosa così. Non l’ho mai scelta, mi ci sono trovato in mezzo, zuppo”» (Nucini). D’altra parte, pure suo fratello Luca in quegli anni fa politica. «Era molto più estremo di me» • Mentre è ancora sui banchi dell’istituto per odontotecnici De Amicis di Testaccio, Nicola fonda un’associazione antirazzista, «Nero e non solo». «Pacifista, ambientalista, romanista fino al midollo, apparentemente mite, il giovane Zingaretti divora Marx, Gramsci e Pasolini, ma quando si iscrive a Lettere si ferma al terzo esame» (Guerzoni). «Facoltà di lettere e filosofia, numero di matricola 597468», precisa il suo staff. Si ricordano un exploit in storia del risorgimento, 30, e un 28 in storia dei partiti politici, dove in seguito avrebbe detto la sua. Poi abbandonò i libri, risucchiato dal demone della politica» (Stefano Zurlo). «La prima manifestazione a cui ho partecipato a Piazza del Popolo, lo stesso giorno ci fu l’attentato al Papa e gli organizzatori annullarono tutto» (a Pierluigi Diaco). «Ho iniziato col movimento della pace, in risposta alla violenza politica e terroristica degli anni precedenti. L’estate romana di Nicolini… (Qui Zinga pare sognante, al ricordo). Io sono un figlio dell’estate romana. E pensare che lo accusarono di aver privilegiato l’effimero. Col cazzo, effimero! Talmente effimero che siamo ancora qui a parlarne» • «A differenza di quasi tutti i titolari della nuova politica, Zinga non viene dalle chiacchiere dei bar, né dalla lotteria della Rete. Ha fatto lunga e pensosa gavetta da Prima Repubblica. Partendo dal Pci di Enrico Berlinguer, passando per Occhetto, il Muro di Berlino e perfino D’Alema, non s’è fatto mancare niente: Pds, Ds, Ulivo, fino alla cagnara psichiatrica del Partito democratico […] Da ragazzo è stato nel direttivo della Sinistra giovanile: erano i tempi remoti di Pietro Folena, il segretario elegantone. Poi il consigliere comunale in Campidoglio, ma già con attitudine spiccatamente glocal, locale e globale. E dunque scrivania da funzionario al Bottegone con il suo amico Nichi Vendola. Ma anche in Bosnia a portare aiuti umanitari, dopo i bombardamenti. In Israele con i pacifisti, sui confini di guerra. In Birmania con Veltroni a rendere omaggio a Aung San Suu Kyi, sacerdotessa di (quasi) tutti i diritti umani. E poi con il Dalai Lama, esule dal Tibet, personaggio ultra pop, guida spirituale» (Pino Corrias) • «Quando sono stato segretario dei giovani dell’Internazionale socialista, ho viaggiato moltissimo. Per dieci anni. Ho girato il mondo. Incontri pazzeschi. A New York Helen Clark, che sarebbe diventata prima ministra australiana; Martine Aubry, figlia di Jacques Delors, Felipe Gonzales... Shimon Peres. È stata un’esperienza incredibile. Una volta in Sudafrica andiamo a casa di Mandela e si mette a ballare con noi. Dovrei scrivere un libro». No, la prego, non ci si metta anche lei. «In effetti no, uno se po mette’ a scrivere queste cose? Forse fa un po’ tristezza» (Masneri) • Fautore di uno «stile lento» della politica. «Non gli piacciono i proclami. Tantomeno i comizi. E d’abitudine non va in televisione. In compenso va al supermercato con le figlie a fare la spesa. Cucina. Elogia il calore della famiglia. Non frequenta terrazze, salotti, feste private, convegni col buffet, piacendo persino a chi non fa molto altro, da Luca Cordero di Montezemolo a Pier Ferdinando Casini, passando per il cardinale Tarcisio Bertone» (Corrias). «Io non sopporto i politici che quando prendono un incarico pensano subito a cosa faranno dopo. Uno deve innanzitutto fare bene quello che fa». «Vuoi sapere perché mi piace tanto la politica? Io ho iniziato per l’articolo tre della Costituzione, quello che dice che la Repubblica deve “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Cioè, non ho nulla contro chi fa politica per altri motivi e altri ideali, ma tu devi rimuovere questi ostacoli! E sai come devi fare? Lo spirito di servizio, come lo chiamava Ciampi. Se li rimuoviamo questi ostacoli sei utile a qualcuno. Altrimenti ti perdi. Invece abbiamo il trionfo dei partiti personali, che durano cinque anni e poi scompaiono. Non è che non hanno senso, figurati, io li rispetto. Ma non rispondono a questa cosa qui» (Masneri) • Certo, lo stile di Nicola non è apprezzato da tutti. «Troppo bravo ragazzo. Troppo moscio» (Marco Damilano) • «Docile come un biscotto di pasta frolla» (Giuli) • Beppe Grillo lo prende in giro e lo chiama «Er Zeppola» • Soprannominato: «Sor Tentenna». Detto anche «Er Saponetta» • Goffredo Bettini, suo padre politico, lo definì «un gatto», per l’istinto felino con cui fiuta l’aria e schiva le trappole. È proprio Bettini a sceglierlo come segretario della federazione romana, poi a imporlo come candidato alla provincia («Nicola è il più bravo di tutti»). «È stato una volta ancora Bettini a consolarlo quando venne silurato come candidato sindaco a Roma. Era il 2013 (“Verrà il tuo turno, vedrai.”)» (Carmelo Caruso) • «Poi succede l’imprevisto: la giunta regionale di centrodestra cade per le dimissioni anticipate di Renata Polverini. Zingaretti vira l’obiettivo e diventa il candidato governatore del Lazio con una coalizione larga di centrosinistra (compresa l’allora Sel). Nel 2013 Zingaretti diventa governatore del Lazio con un ampio consenso: 40,7% contro il 29,3% di Francesco Storace (centrodestra). Durante la consiliatura […] si tiene lontano dalle lotte di partito, anche se non manca di dare il proprio consenso a tutti gli sfidanti di Matteo Renzi, alla premiership prima e alla segreteria nazionale poi: Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo e Andrea Orlando. A differenza di Renzi che rompe a sinistra, Zingaretti tiene sempre stretti anche i rapporti con i fuoriusciti del Pd che poi daranno vita a Liberi e uguali. Il governatore si tiene fuori anche dal processo di ricostruzione del Pd romano dopo lo scandalo di Mafia capitale, che di fatto è appannaggio dei renziani (il primis Matteo Orfini)» (Andrea Marini) • Nel 2018, anche grazie all’autolesionismo del centrodestra, è confermato alla guida della Regione Lazio, battendo di misura Stefano Parisi. «È il 5 marzo 2018, e Nicola Zingaretti, rieletto governatore, è l’eccezione nella disfatta Pd: vincitore, sebbene senza maggioranza. […] Il discorso della vittoria zingarettiana al Tempio di Adriano – “si apre una nuova fase”, dice il governatore, “in cui la nostra alleanza del fare deve dare il suo contributo culturale per ricostruire e rigenerare il centrosinistra” – fa capire che il tempo congressuale è giunto. Impressione confermata il 25 giugno quando, all’indomani dei ballottaggi e della seconda disfatta Pd, Zingaretti dice che “un ciclo storico si è chiuso”, che “vanno ridefiniti un pensiero strategico, le forme del partito e il suo rapporto con gli umori più profondi della realtà italiana, l’organizzazione della partecipazione e della rappresentanza nella democrazia… In questi anni non ci sono sfuggiti i dettagli ma il quadro d’insieme. C’è un lavoro collettivo da realizzare, deve partire subito e coinvolgere non solo il Pd. È il momento del coraggio, della verità e della responsabilità”» (Marianna Rizzini). «Il numero magico è 201.784. La quantificazione dell’effetto Zingaretti. Il riconfermato governatore della Regione Lazio ha preso infatti oltre 200 mila consensi in più rispetto a quanto preso, sempre in regione, dalla coalizione di centrosinistra e Liberi e uguali alle Politiche. […] Vista la débâcle del Pd a guida renziana a livello nazionale, la riconferma di Zingaretti come governatore lo proietta, volente o nolente, sulla scena nazionale» • È la sua occasione. Propone la de-renzizzazione del partito, ricuce i rapporti con D’Alema, Bersani, con Leu e Articolo Uno. Viene eletto segretario • Nel giro di ventiquattro mesi, gli capitano: la scissione di Italia Viva e Azione, lo scandalo Palamara, la nascita del Conte II - fortissimamente voluto da lui e Bettini - la pandemia. La caduta del governo e l’avvento di Draghi sono uno smacco grandissimo. Il 4 marzo 2021, dopo settimane di tensioni, si dimette con un post su Facebook: «Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni» • Alle politiche del 2022 è stato eletto alla Camera, si è dimesso dalla presidenza della regione Lazio per incompatibilità • «Mia moglie, l’ho conosciuta in un corteo. Abbiamo studiato per la maturità insieme. Da allora ci siamo presi e lasciati un po’ di volte. Ma quest’anno sono 20 anni di matrimonio» • Al polso porta un braccialetto, marca Pandora, con le iniziali in argento delle sue figlie, Flavia e Agnese. Per loro si immagina un futuro romano? O se ne andranno come tutti i giovani di buona famiglia che emigrano come se fosse una città sudamericana? «Io devo metterle nelle condizioni di fare le loro scelte. Anche se leggi la relazione del governatore della Banca d’Italia, abbiamo pochi giovani e scarichiamo su di loro i problemi che abbiamo…» (Guerzoni) • Oggi ha casa nel quartiere Prati, D’Alema abita nel palazzo di fronte al suo. Non ha mai vissuto in una città che non sia Roma • Presidente della provincia e poi della regione. Avrà conosciuto un sacco di Papi. «Ah... una delle cose più belle. Il 15 gennaio, il Santo Padre dà udienza. Stai una mezzora a colloquio». Ha un suo Papa preferito? «Ma no! Non sono mica una categoria!» Su! Dobbiamo mettere in risalto la sua umanità! «Beh, ho cominciato con Ratzinger, di cui apprezzavi quell’idea di una chiesa trascendente, tradizionale, la messa con le spalle al popolo… ma con Francesco ho avuto più tempo». Ma lei è credente? «Come ho detto una volta proprio a uno dei Papi, mi definisco un cristiano senza il dono della fede». Molto Pd come definizione. «Ma io vado a messa spesso, per lavoro, però non faccio la comunione, per rispetto!» Insomma parla non con Dio ma col prete, come Andreotti. «No, il contrario, proprio per quello, non scimmiotto». Il Vaticano non è un po’ una zavorra per lo sviluppo della città e del paese? «No, anzi, il contrario. È uno straordinario fattore di coesione sociale». Però lei è decisamente progressista. È per il ddl Zan senza tentennamenti. «Mi pare il minimo sindacale». E questo suo essere progressista come si concilia con la frequentazione vaticana? «Ma se uno va a Buckingham Palace non è che diventa monarchico!» (Masneri) • Quando era presidente della regione Lazio, eludeva la scorta e si rifugiava in un bar vicino a casa cui è molto affezionato. «Ho preso una bici. E mi sembrerebbe un po’ grottesco farmi seguire dalla macchina». Potrebbe costituire un corpo speciale di vigili ciclisti dai polpacci prodigiosi, come aveva fatto Marino. «No, te pare. Ho un raggio di un chilometro in cui posso muovermi senza scorta. Oh, se me devono menà, me meneranno. Pazienza» (Masneri) • Una volta gli tirarono un limone in faccia. «Certo, pe’ difende la Polverini» La Polverini era stata appena eletta presidente, ed era stata appoggiata pure da Casa Pound. Sul palco del 25 aprile del 2009, lui era presidente della provincia e lei della regione, e iniziano a contestarla, a tirare roba sul palco, ortaggi. Zingaretti si prende un limone nell’occhio, lei niente. Zingaretti, dicono le cronache del tempo, pur con l’occhio accecato dal limone prima di andare via si intrattiene a parlare con un ex partigiano. Mi sembra un episodio significativo (Masneri) • Molto amico di Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale • Molto attento alla linea • Va in palestra • Molto appassionato di cucina • «Sono bravo a fare i sughi, ecco. Su Instagram seguo tre cuochi: Giorgione, che è umbro; Meschini Chef che è romano, e Cucinoperamore che è napoletana». Sembra una mappa delle regionali. Però oggi i politici sembrano maledetti dai social... ne vengono come consumati. «Ma non bisogna essere contro la modernità! È il pensiero critico che conta! Non si può tollerare gli operai Amazon che lavorano 48 ore di seguito, ma non si può neanche rifiutare il digitale. Il digitale permette oggi immense opportunità». Va bene, va bene, chiedevo solo di Instagram! «Noi pendoliamo tra un approccio conservatore alla modernità a un approccio subalterno. O impauriti o subalterni. Ecco, io vorrei essere in mezzo. Vorrei essere il punto di mediazione tra questi due estremi. Se vai su YouTube c’è una cosa di Pasolini favolosa, in cui Pasolini circondato da un gruppo di intellettuali era l’unico che difendeva la televisione contro questi che sostenevano che avrebbe omologato la cultura italiana. Ma che cazzo dite! Diceva Pasolini, perché nelle campagne la tv aveva portato la modernità». Sento che stiamo per arrivare a Barbara D’Urso. «Ah! È un pezzo della tragedia di questo paese». Cosa? La D’Urso? «No, la reazione che c’è stata al fatto che io sono andato dalla D’Urso. Prima hanno detto che eravamo la sinistra Ztl, e poi se vado in una trasmissione popolare… È uno dei motivi che mi hanno portato ad andarmene…». Mi dica una cosa, una, che le piaceva fare da segretario del Pd. «Dare una mano». No, dài, una cosa vera. «I calli. Ora se ne sono dimenticati tutti, ma prima delle regionali io mi son fatto centocinquanta comizi. Tu capisci se vinci solo se alla fine ti sono i venuti i calli per le strette di mano. E rollare i manifesti! Sai come si rollano? Bisogna prendere il rullo così e così e poi girarlo così e così…». «Comunque nel Lazio non era mai capitato un presidente eletto due volte. È una patologia italiana, questa mania dei partiti personali, della velocità. Tutti puntano sul numero di riforme che fai. Ma il riformismo in sé non vuol dire niente! Anche le leggi razziali erano riformiste! Una cazzo di riforma! Il riformismo deve avere un’anima, una missione. O mi sbaglio?» (Masneri)