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 2023  ottobre 11 Mercoledì calendario

Biografia di Carlos lo Sciacallo (Ilich Ramírez Sánchez)

Carlos lo Sciacallo (Ilich Ramírez Sánchez), nato a Michelena (Venezuela) il 12 ottobre 1949 (74 anni). Terrorista. Mercenario. «Sono un rivoluzionario di professione». «Non ho ammazzato tanta gente: non più di 1.500-2.000 persone, tra cui appena 200 civili. Fidel Castro ha ammazzato molta più gente» • «Il nome di Ilich, glielo diede il padre, un avvocato comunista: in modo da poter formare, assieme ai fratelli Vladimir e Lenin, l’appellativo completo del leader della Rivoluzione d’Ottobre. Il nome di battaglia di Carlos, […] se lo diede lui quando iniziò a fare il guerrigliero, in onore del presidente venezuelano Carlos Andrés Pérez: che per aver nazionalizzato il petrolio era considerato un eroe terzomondista, e che veniva dallo stesso suo Stato di Táchira, al confine con la Colombia. Il soprannome “lo Sciacallo” glielo affibbiò invece la stampa internazionale, più precisamente l’inglese Guardian, dopo che una copia dell’omonimo romanzo di Frederick Forsyth [Il giorno dello sciacallo – ndr] fu trovata tra i suoi effetti personali. Solo che […] il libro di Forsyth, si scoprì in seguito, non era suo, ed era finito tra le sue cose per caso» (Maurizio Stefanini) • «La madre, Elba Maria Sánchez, è una cattolica praticante, mentre il padre, José Altagracia Ramírez Navas, professione avvocato, è militante nel Partito comunista venezuelano. Della formazione marxista-leninista di Ilich, e di quella dei suoi fratelli Vladimir e Lenin, si occupa il padre. Ilich e Lenin studiano privatamente, con professori marxisti, fino al liceo Fermín Toro di Caracas, che concludono entrambi nel 1966» (Andrea Merialdo). «Un tempo, alla fine della mia adolescenza, ho pensato di diventare avvocato come mio padre, ma allo stesso tempo volevo fermamente essere un rivoluzionario. A dir la verità, non ho realmente scelto di essere ciò che sono diventato: sono stato scelto dal destino». «Lui da piccolo voleva fare l’avvocato, come il padre. Ma questi gli disse che “la giustizia non esiste”, e lo spinse intanto a studiare scienze. “Mi è stato utile per fabbricare le bombe”, spiega. Poi, all’età di 16 anni e tre mesi, nel gennaio del 1966, se lo portò appresso a Cuba, per partecipare alla Terza Tricontinentale. Già iscritto sia all’Università di Caracas che al Partito comunista del Venezuela, il giovane Ilich ne approfittò però per passare l’estate a Campo Matanzas, in una scuola di guerriglia gestita dai servizi cubani. Poco dopo, però, i genitori divorziano, e la mamma se lo porta con un fratello in Inghilterra. Ma il padre li rincorre, e cerca di farli invece iscrivere alla Sorbona. Proprio in quel 1968 del maggio francese e della protesta studentesca. Non ci riesce, ma la soddisfazione per lui deve essere ancora maggiore quando Ilich viene ammesso nientemeno che alla Università Patrice Lumumba di Mosca. Il prestigioso ateneo in cui il regime sovietico cerca di formare lo stato maggiore dei rivoluzionari di tutto il mondo. Solo che nel frattempo in Unione Sovietica qualunque tipo di slancio rivoluzionario è stato ormai definitivamente ammosciato dal grigio clima brezneviano, con cui l’irrequieto giovanotto latino non può non scontrarsi. Nel 1970 Ilich ne è allora espulso, e finisce in Giordania, in un campo di addestramento del Fronte popolare per la liberazione della Palestina: il gruppo marxista e panarabo del medico di origine ortodossa George Habash, ostile al nazionalismo “borghese” dell’Al Fatah di Yasser Arafat. Ed è lì che assume appunto il nome di battaglia di Carlos. […] Da Beirut, Carlos va al Polytechnic of Central London. Ma in realtà continua a lavorare per il Fronte, e il 30 dicembre del 1973 compie il suo primo attentato terroristico. Anche se lo fallisce, per un contrattempo un po’ comico. Joseph Edward Sieff, il suo obiettivo, è un uomo d’affari ebreo, presidente della società di grandi magazzini Marks & Spencer e vicepresidente della Federazione sionista britannica. Per vendicare un leader del Fronte ucciso a Parigi dal Mossad, Carlos entra in casa con una Beretta in pugno, ordina al maggiordomo di portarlo da lui e gli spara. Ma la prima pallottola sbatte sulla dentiera, la pistola si inceppa e Carlos scappa via, lasciando Sieff svenuto ma incolume» (Stefanini). «Tutto sommato, Carlos riesce meglio come bombarolo che come killer. Se un attentato a una banca israeliana a Londra pure fallisce, col sistema delle autobombe imparato in Libano colpisce tre giornali francesi tacciati di filo-israeliani. Poi, ancora a Parigi, butta una bomba a mano in un ristorante, provocando 2 morti e 30 feriti. Falliscono di nuovo però due tentativi di colpire con missili aerei israeliani in decollo dall’aeroporto di Orly, il 13 e 17 gennaio del 1975. Il suo soggiorno in Francia dura fino al 27 giugno del 1975, quando il Dst francese cattura un libanese che è il suo contatto con il Fronte. Gli uomini del controspionaggio persuadono il libanese a collaborare, e con lui raggiungono Carlos in mezzo a un party. Ma Carlos inizia a sparare, ammazza il libanese e due agenti, ne ferisce un terzo, e torna a Beirut via Bruxelles. Ormai bruciato, il Fronte decide allora di utilizzarlo per un’azione spettacolare. Il 21 dicembre del 1975 alla testa di un commando di sei uomini attacca la sede dell’Opec a Vienna, mentre è in corso un incontro tra i leader dell’organizzazione. Un poliziotto austriaco, un dipendente iracheno dell’Opec e un membro della delegazione libica sono uccisi, oltre 60 persone sono prese in ostaggio. Minacciando di uccidere un ostaggio ogni 15 minuti Carlos ottiene prima di far leggere a tv e radio austriache un comunicato sulla questione palestinese ogni due ore. Poi, il giorno dopo, un aereo, che porta il commando e 42 ostaggi ad Algeri e poi a Tripoli. È il vertice della carriera di Carlos, l’azione per cui tuttora è più conosciuto. Ma il Fronte popolare di liberazione della Palestina non è contento. Gli aveva infatti ordinato di uccidere il ministro del Petrolio dell’Arabia Saudita Ahmed Zaki Yamani e quello dell’Interno iraniano Jamshid Amouzegar, e invece Carlos li ha risparmiati: in cambio di 20 o 50 milioni di dollari pagati dai sauditi, che si è poi pure tenuto. Insomma, il Fronte lo espelle, e nel settembre del 1976 Carlos è arrestato in Jugoslavia. Ma pure di lì scappa, va a Bagdad, passa nello Yemen del Sud allora comunista, dove fonda un suo gruppo armato composto da siriani, libanesi e tedeschi. L’Organizzazione di lotta armata, foraggiata dalla Stasi. Lo stesso servizio della Ddr gli dà un ufficio e vari rifugi a Berlino Est, uno staff di 75 persone, un’auto di servizio e il diritto di portare una pistola in pubblico. Per conto della Stasi nel febbraio 1981 attacca gli uffici di Radio Free Europe a Monaco» (Stefanini). «Poi arrivò un’altra serie di fatti sanguinosi, a partire dal 1982. Perché nel febbraio di quell’anno la tedesca Magdalena Kopp, la donna dello sciacallo, e lo svizzero Bruno Bréguet, entrambi della banda Baader-Meinhof, ma ormai affiliati di Carlos, erano stati sorpresi dalla polizia francese nel quartiere degli Champs-Elysées, mentre trasportavano armi ed esplosivi. Erano stati incarcerati. Ebbene, qualche giorno più tardi una lettera anonima arrivò al ministro degli Interni, Gaston Defferre, dove si chiedeva “la loro liberazione entro trenta giorni”: altrimenti “sarà guerra”. Le impronte digitali di Carlos furono poi ritrovate su quel documento. Seguirono, puntuali, diversi attentati: il 29 marzo 1982 una bomba sul treno Le Capitole (5 morti e 28 feriti), dove Carlos pensava viaggiasse Jacques Chirac; il 22 aprile seguente un’autobomba davanti al palazzo della redazione del giornale Al Watan a Parigi (un morto e 66 feriti); il 31 dicembre 1983 un doppio attentato contro il Tgv, il treno ad alta velocità, Marsiglia-Parigi (tre morti e 12 feriti) e al deposito bagagli della stazione di Marsiglia (due morti e 33 feriti)» (Leonardo Martinelli). «Ma Carlos uccide anche fuoriusciti per conto della Securitate di Ceausescu, collabora con il Kgb, offre i suoi servizi all’Iraq e, di nuovo, al Fronte. Il 18 gennaio 1982 tenta addirittura di lanciare missili sulla centrale nucleare francese Superphénix, per fortuna non riuscendoci. I servizi dell’Est europeo, però, sono sotto pressione. Dal 1983 Carlos è costretto a starsene calmo in Ungheria, in un quartiere elegante di Budapest. Nel 1985 è espulso, e, dopo essersi visto rifiutare l’ingresso da Iraq, Libia e Cuba, è costretto ad andare a Damasco. Con lui la moglie tedesca Magdalena Kopp, ex Baader-Meinhof, e la figlia Elba Rosa. La Siria pure lo ospita a condizione che se ne stia buono, e quando, dopo l’inizio della guerra del Kuwait, viene contattato dall’Iraq di Saddam Hussein, nel settembre 1991 è ancora espulso. A Damasco Carlos ha iniziato una relazione con la giordana Lana Jarrar, e una volta in Giordania decide di raggiungere con lei il Sudan, mentre Magdalena e la figlia vanno in Venezuela. Ma il suo libertinaggio sfacciato scandalizza i maggiorenti del regime islamico, che non si fanno troppi problemi a concludere con Parigi e Washington un accordo per consegnarglielo. Arrestato in una villa dove è convalescente dopo un’operazione al testicolo e poco dopo il matrimonio con Lana, il 14 agosto del 1994 è trasferito in Francia, per entrare nel carcere da dove non è più uscito. Ma il governo venezuelano parla di un “rapimento da narcotizzato”, che toglierebbe valore a tutti i successivi procedimenti legali» (Maurizio Stefanini). «Alla giornalista Isabel Pisano, Carlos racconta di essere stato legato, chiuso in un sacco per cadaveri e portato alla base militare di Villacoublay, a fini elettorali e su mandato del ministro dell’Interno Charles Pasqua. Viene trasferito nel carcere parigino La Santé, dove resta per 20 anni, molti dei quali in completo isolamento. Due processi lo condannano all’ergastolo per diversi attentati avvenuti in territorio francese tra gli anni ’70 e ’80. Isabelle Coutant-Peyre, avvocato e terza moglie di Carlos, sostiene che nei diversi processi è stato negato all’imputato il diritto alla difesa: in particolare, le autorità francesi si sono rifiutate di far testimoniare familiari, amici e conoscenti di Carlos che erano rimasti in contatto con lui negli anni dei fatti contestati. Dopo la prima condanna, 24 dicembre 1997, Carlos inizia lo sciopero della fame, che interrompe solo dopo aver ricevuto una lettera di George Habash. Carlos non ha mai perso il sostegno del Pcv, di cui il fratello Vladimir è militante attivo. La Gioventù comunista del Venezuela lo ha eletto presidente onorario, visto il suo passato di militante nell’organizzazione, e il partito ha lanciato numerose iniziative per chiedere il suo rimpatrio in Venezuela» (Merialdo). Tuttora in carcere, nel settembre 2021 è stato condannato in via definitiva al terzo ergastolo • «Nel marzo del 2000, dal carcere parigino della Santé, Carlos parla per la prima volta con la stampa italiana del caso Moro. Secondo il terrorista, i servizi segreti italiani trattarono il rilascio del presidente della Dc con esponenti delle Brigate rosse, in cambio della scarcerazione di alcuni estremisti: una trattativa fallita il giorno prima dell’omicidio. Anche sulla strage di Bologna, Carlos ha una versione diversa da quella ufficiale. L’attentato non sarebbe opera “dei fascisti, e ancora meno dei comunisti”, ma di “yankee, sionisti e strutture della Gladio”, con lo scopo di far ricadere i sospetti sul Fronte di liberazione palestinese. Nel 2012 Carlos si è detto pronto a collaborare con la magistratura italiana per fare luce sulla strage, ma le toghe hanno ignorato le sue teorie, mai supportate da fatti significativi» (Gabriele Bonfiglioli). «Ho finito di scrivere le mie memorie ad Amman nel 1992. Saranno pubblicate solo dopo la mia morte» (ad Anaïs Ginori) • «Il 17 luglio 2013 accetta di fare da testimone, con il controverso umorista Dieudonné, al matrimonio gay in prigione di due detenuti: Alfredo Stranieri, detto l’assassino dei piccoli annunci (4 omicidi), e Germain Gaiffe, uno che aveva ucciso e decapitato una persona nel 1997» (Leonardo Coen) • Numerosi i riferimenti alla sua figura nella cultura popolare; da ultimo, nel 2010, gli è stata dedicata la miniserie televisiva franco-tedesca Carlos di Olivier Assayas, premiata con il Golden Globe per la miglior miniserie • «Io sono comunista ma sono anche musulmano, non bisogna dimenticarlo: mi sono convertito all’inizio di ottobre ’75. […] Credo in Dio, e l’islam è la fonte della rivelazione». «In carcere ha sposato nel 2001 con rito islamico la sua avvocatessa Isabelle Coutant-Peyre, divenendo ufficialmente bigamo: ma dice di avere anche tre figli illegittimi da altrettante madri. In carcere ha scritto i saggi pubblicati in volume nel 2003 col titolo Islam rivoluzionario, lodando anche Bin Laden e gli attacchi dell’11 settembre. […] Sostiene che l’islam può apportare al marxismo un complemento spirituale di cui manca e il marxismo può dare in compenso all’islam una capacità analitica per comprendere il mondo moderno» (Stefanini) • «Carlos si faceva pagare molto bene dai suoi committenti. Pasteggiavamo a base di champagne e caviale, trascorrevamo lunghi periodi in ville con piscina o in grandi alberghi. Quando eravamo nei Paesi arabi, le spese venivano pagate dai governi che ci ospitavano. Nella Ddr invece dovevamo pagare noi i conti, ma i soldi non ci sono mai mancati. Ricordo che una volta ricevette una grande somma dalla Libia, e un’altra 200 mila dollari in contanti dai servizi iracheni. […] Diceva di essere un rivoluzionario, un vero comunista. In realtà era un reazionario, un macho dalle idee ristrette, come tutti i terroristi che ho conosciuto» (l’ex moglie Magdalena Kopp) • «Putin? È un uomo che è stato formato dal Kgb, ciò che significa che era programmato per appartenere all’élite dell’Urss: è dunque normale che si trovi alla testa della Federazione della Russia. Auspico che il suo progetto politico abbia successo poiché il mondo ha bisogno di una terza Roma, della Russia forte, della Russia che si solleva e che svolge nuovamente il suo ruolo storico sostenendosi su tre pilastri ideologici: l’ortodossia, il comunismo sovietico ed il panslavismo». «Gheddafi? Un dittatore nell’antica accezione nobile e romana di dictator». «Lo stesso Berlusconi non è filoisraeliano: è a favore della Palestina nel fondo del suo cuore, ma non può dirlo». «Beppe Grillo non è un rivoluzionario nel senso che non agisce a titolo organizzativo, ma, quando il popolo denuncia le cose, lui denuncia: ciò significa che appartiene all’avanguardia. Sono rivoluzionari tra virgolette, nel senso che lui denuncia delle realtà di corruzione». «Jean-Marie Le Pen è un anticomunista e un vecchio fascio, e tuttavia ho molta simpatia per lui. È sorprendente, non fa compromessi, è il solo uomo politico francese che dice la verità senza edulcorarla. Un tempo i veri comunisti erano come lui» • «Sono militante comunista dal gennaio 1964, dall’età di 14 anni, e lo resto. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto credendo in una società più giusta, socialista». «Sono fiero di tutto ciò che ho fatto. […] Invece mi rammarico dell’evoluzione della storia del mondo, della caduta dell’Urss, del fatto che non abbiamo ancora liberato la Palestina» (a Christian Bouchet) • «La figura di Carlos è ancora assai controversa. Testimone a tutti gli effetti della Guerra fredda, vissuta attraverso il conflitto israelo-palestinese, sul piano ideologico può essere definito un marxista-leninista, con forti influenze che arrivano dalla politica mediorientale (ad esempio quella baathista), dove spesso la religione islamica viene considerata parte integrante della politica» (Merialdo). «Carlos è una grossa ambiguità fatta persona. Su cui l’unica certezza è rappresentata dalla sua straordinaria e spietata capacità di macchina per uccidere» (Stefanini).