28 ottobre 2023
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Biografia di Fausto Leali
Fausto Leali, nato a Nuvolento (Brescia) il 29 ottobre 1944 (79 anni). Cantante. Primo grande successo A chi (1966, versione italiana di Hurt), poi, tra gli altri, Io amo (1987), Mi manchi (1988), Ti lascerò (vincitrice di Sanremo 1989, in coppia con Anna Oxa). Di nuovo a Sanremo nel 2002 (Ora che ho bisogno di te, in coppia con Luisa Corna), nel 2003 (Eri tu) e nel 2009 (Una piccola parte di te). Negli anni Sessanta fu ribattezzato il “Negro Bianco” per la voce roca e potente. «Ho usato i primi soldi per comprare una casa, la prima di proprietà per la nostra famiglia. Sul citofono ho piazzato “Fausto Leali, suonare A chi”».
Vita «Mio padre tornò mutilato dalla Seconda Guerra Mondiale, ma non ebbe assegni o aiuti economici. Doveva lavorare, era fabbro e si faceva 25 chilometri al giorno in bici, tornava con la gamba monca sanguinante. A 10 anni mia madre, che pensava fossi intonato e dotato di talento, mi regalò una chitarra, e iniziai a studiare con Tullio Romano, uno dei Los Marcellos Ferial. Ma al contempo lavoravo, ho iniziato una settimana dopo aver finito la quinta elementare: facevo il garzone di salumiere a 2.500 lire a settimana. Finché a 14 anni venni ingaggiato dall’orchestra mantovana di Max Corradini, giravamo le balere, e di colpo balzai a 3.000 lire a notte: io, adolescente, mantenevo i miei. Come prima cosa gli comprai il frigo e la tv» (a Luigi Bolognini) • «Roma è stata la svolta? “Sì, ma non ancora sul piano economico, era più il prestigio, la curiosità di vivere a 16 anni così lontano dalla mia realtà, il divertimento di dormire solo in una pensione”. Non ha rischiato di perdersi? “Allora la vita era differente, non c’erano tutte le tentazioni di oggi, e nella Capitale non avevo amici” […] “A 17 anni suonavo con Wolmer Beltrami, grande fisarmonicista jazz, e l’ho seguito per un inverno, anche a Roma, dove la sera arrivavano i big dell’epoca come Emilio Schuberth (celebre stilista, ndr) o Re Faruq d’Egitto; poi una sera si presentò un discografico: “Perché affianchi Wolmer? Hai lo spessore per un gruppo tuo”. All’inizio il mio nome d’arte fu Fausto Denis, Leali non era internazionale; poco dopo è arrivato pure il mio esordio in televisione, a soli 18 anni, in una trasmissione condotta da Franca Bettoja”. Spaventato… “Allora non tanto, non vivevo l’età della ragione; paradossalmente l’ansia mi avvolge di più oggi che conosco i meccanismi”.
Coraggioso. “Allora era tutto in playback, il live non era consentito né previsto. E meno male: anche se non ero particolarmente emozionato, mi si seccò ugualmente la gola”. Era da solo? “No, in quegli anni mi accompagnava uno zio: nelle situazioni importanti veniva sempre lui, compreso quando ho preso per la prima volta l’aereo, un Milano-Roma di due ore, servito con le posate d’acciaio. Ecco lì mi sentivo come al debutto nella mia nuova vita”. Non si è mai sentito una giovane preda? “Era impossibile rendersene conto, ero un ragazzino abbagliato dalla magia dello spettacolo, affascinato da personaggi come Tony Dallara che mi parlava in milanese e mi trattava da mascotte; (resta in silenzio) davvero, a quel tempo non ero consapevole di nulla, mi cullavo dell’incoscienza, e solo verso i 40 anni ho capito cosa avevo vissuto”. Quindi… “Me la sono passata bene, poteva andare peggio, invece ho incrociato quasi tutte persone carine e poi ho incontrato i miei idoli, soprattutto Mina”» (ad Alessandro Ferrucci) • Primo in Italia a incidere una cover dei Beatles (Please Please Me e She Loves You). Con il suo complesso di allora, i Novelty, aprì il concerto del gruppo di Liverpool al Vigorelli di Milano, il 24 giugno 1965. «“Avevano un contratto per suonare appena 12 canzoni, quindi il loro repertorio finiva in 45 minuti; così per riempire il tempo i promoter avevano preso me e il mio gruppo (I Novelty, ndr), Peppino Di Capri, un certo Guidone, i New Dada e altri; l’unico video, girato di nascosto, è proprio di Peppino”. Ha vissuto in pieno il mito. “Con le ragazzine urlanti che piangevano; comunque gli organizzatori del tempo trattarono malissimo i Beatles, gli offrirono un impianto pessimo su un palco microscopico, qualcosa di ridicolo con davanti 65 mila spettatori”. Perfetto. “Il direttore della Rai derubricò i Beatles a fenomeno di un mese, ‘poi di loro non ne parlerà più nessuno’, tanto da non concedere le telecamere: per questo motivo il filmato di Peppino è l’unica testimonianza”. Fu un mini-tour. “Con due date a Roma, Carlo Verdone presente; quando ci siamo incontrati mi ha elencato i brani che ho cantato, con me stupito di tanta memoria; (ride) a un certo punto della carriera ero diventato più o meno il cantante della cover band dei Beatles”. E… “Sono arrivato a portare i capelli a caschetto, e visto che sono ricci, il problema era tenerli in giù; (ride ancora) vestito da Beatles sono andato anche in trasmissione da Mike Bongiorno”» (a Ferrucci) • «Nel 1967 arriva A chi, versione italiana di Hurt, un discreto successo. “Veda lei: quattro milioni di copie vendute nel mondo. Devo ringraziare anche Pippo Baudo, che mi chiamò a cantarla a Settevoci, e Renzo Arbore che la trasmetteva di continuo nella sua Bandiera gialla in radio. Il disco più venduto dell’anno, anche più di A Whiter Shade of Pale, Penny Lane, 29 settembre, Dio è morto. Uscì dalla hit parade dopo che ci entrò Deborah, l’anno dopo, che a sua volta restò in classifica fino quando uscì Angeli negri”. Altra canzone da leggenda: Pittore, ti voglio parlare mentre dipingi un altare. “Un simbolo delle battaglie per i diritti civili dell’epoca. Che mi valse anche il soprannome di ‘negro bianco’ per la voce su cui avevo iniziato a lavorare a 18 anni, cercando di imitare i toni di Ray Charles e James Brown. Sul finire degli anni Sessanta di botto diventai famosissimo, anche se non sapevo cosa mi stava succedendo, non mi montavo la testa e mi comportavo come se fossi ancora il garzone del salumiere. Coi primi soldi veri, per dirle, mi sono comprato casa”. Forse questa umiltà l’ha aiutata negli anni Settanta, quando il successo è scemato. “Ci sono stati dei momenti in cui ho pensato di abbandonare, convinto che non ci fosse più spazio per me. Ma ho continuato a lavorare: devo ringraziare le feste di piazza, le sante feste di piazza. Mi hanno dato di che vivere e tanto pubblico che veniva ad ascoltarmi e a cantare con me le mie canzoni. Non le rinnego e le faccio ancora quando capita”. Fino al 1987 quando torna alla ribalta con Io amo, giusto a Sanremo, scritta da Toto Cutugno. E di nuovo il boom. “Anche con Mi manchi l’anno dopo, e ovviamente Ti lascerò del 1989, con cui ho vinto Sanremo insieme ad Anna Oxa”. E qui conviene parlare un po’ di quella accoppiata. “Quell’anno votava il pubblico. Il televoto non c’era ancora e si usarono le schedine del Totip: uno doveva andare, giocare almeno due colonne di pronostici e votare. Quindi voti veri. Beh noi ne prendemmo quasi 6 milioni. La seconda classificata, Le mamme di Toto Cutugno, non arrivò ai 2. Ma da un certo punto di vista fu quasi una fregatura”. Quale? “Economico. Visto che c’era di mezzo il Totip, ci regalarono anche un cavallo, il galoppatore Littoriale, che donammo a Telefono Azzurro. Un campione, vinse anche diverse gare. Solo che le tasse furono accollate a noi comunque, una stangata”. Con Anna Oxa sembravate avere feeling. “Era nata una bella amicizia fra di noi. Ma non ci vediamo da un po’, mi piacerebbe, però ha scelto di fare una vita diversa, di non frequentare più gli amici. Peccato”. Restiamo a Sanremo e ai cavalli. Perché lei tornò ancora, nel 1992. La frase “questo festival è truccato e lo vince Fausto Leali” chi le ricorda? “Cavallo pazzo, ovviamente. Mario Appignani, specializzato nel disturbare programmi televisivi facendo irruzione. Era appena partita la sigla che lui salì sul palco e disse quella frase prima che Pippo Baudo potesse bloccarlo. Mai saputo perché abbia detto di me: non gli ho mai parlato in vita mia e quell’anno arrivai nono. Ci rimasi di gesso. Tra l’altro Sanremo è un continuo mostrare pass e permessi per muoversi, come era salito sul palco?”» (a Bolognini) • Ultimi album: Profumo e kerosene (2006), Una piccola parte di te (2009) e Non solo Leali (2016) • Negli ultimi anni spesso in televisione. Nel 2006 partecipò al reality Music Farm. Nel 2012 a Tale e quale show, nel 2017 a Ballando con le stelle, nel 2020 a Il cantante mascherato e al Grande Fratello Vip, nel 2023 a Io canto generation • Dal Grande Fratello Vip fu espulso per aver chiamato «negro» Enock Barwuah, il fratello di Mario Balotelli, e dopo aver parlato delle «cose buone» fatte da Benito Mussolini. «Non si aspettava l’eliminazione? “Nessuno se lo aspettava. Il primo ad accompagnarmi alla porta è stato Enock, commosso. Forse avrà pensato: abbiamo esagerato. Sono stato espulso come un disertore. Lì han capito che sono una brava persona, non un razzista”. Ha parlato di “razza negra”, però. “Quella cosa non lo so come mi è venuta, so perfettamente che non esiste nessuna razza negra, è stato un errore, una parola uscita a vanvera. Mi hanno dato dell’ignorante ma mi sono espresso male”. In molti, in realtà, le hanno dato anche del razzista. “Proprio, con le mie canzoni piene di riferimenti alla musica afroamericana. Quando mi sono rivolto così a Enock pensavo di fare una battuta: non volevo ferire nessuno. Credevo si facesse due risate e invece no”. Viverla come una battuta non è parte del problema? “Fino all’altro giorno cantavo Angeli negri, è uno dei miei successi maggiori, ai miei concerti l’aspettano tutti. Parla di un uomo di colore che prega perché vorrebbe vedere un angelo nero, un concetto più anti-razzista di così... Era il linguaggio di allora”. Come si è sentito quando si è accorto dell’errore? “Una me... Ho capito che avevo sbagliato non considerando le offese che aveva subito. Ma ora siamo d’accordo: andremo presto a mangiare assieme, anche con suo fratello Balotelli; voglio scusarmi e fargli capire che tipo di persona sono”. Perché non si è scusato subito? “Sono timido. Dopo quell’episodio, quando ci incontravamo vedevo che lui non era più il ragazzo simpatico di prima, era cambiato. Avrei dovuto dirgli che non volevo offenderlo, ma la mia timidezza non mi ha aiutato. Però ho vissuto una vita in mezzo ai neri, Wilson Pickett è stato il padrino di mia figlia”. Quindi è solo una questione di parole sbagliate? “Negli Usa si usa il termine afroamericani ma da noi?”. Afroitaliani? “Non l’ho mai sentita questa parola, ero convinto di averla inventata io. Ma dire che sono razzista mi fa male. Le cose dette in tv hanno una risonanza diversa”. Ha anche parlato delle cose buone fatte dal Duce. “Prima di entrare nella Casa avevo visto dei documentari storici che mostravano anche cose importanti fatte da Mussolini, non le ho inventate io. Ma si prende sempre il punto debole di un discorso”. Non pensa sia perché stoni di fronte all’enormità del male che Mussolini ha causato? “Allora, io non avrei dovuto dire nemmeno ‘Mu’ di Mussolini, o ‘ne’ dell’altra parola. So che sui social è stato un disastro tanto che mia moglie mi ha suggerito di non aprirli per non soffrirci troppo. L’eliminazione è stata il colpo finale, ma molti mi hanno espresso solidarietà”» (a Chiara Maffioletti) • Un cameo nel film Nessuno mi può giudicare di Massimiliano Bruno (2011), ha recitato anche in Tic toc di Davide Scovazzo (2023) • Autore con il giornalista Massimo Poggini dell’autobiografia Notti piene di stelle (Rizzoli, 2014) • Nel 2013 testimonial di una catena di negozi «compro oro» («Più Leali di così» lo slogan).
Amori Tre matrimoni, l’ultimo, nel 2014, con Germana Schena. Una figlia, Deborah • «Con le donne? “Persa la verginità a 15 anni, come l’epoca prevedeva”» (a Ferrucci).
Passioni «Sono un buongustaio, mi piace sedermi a mangiare con un bel gruppo di amici a Milano, a chiacchierare, ma anche a sentire jazz al Blue Note o alla Salumeria della Musica».