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 2023  ottobre 31 Martedì calendario

Biografia di Tim Cook (Timothy Donald C.)

Tim Cook (Timothy Donald C.), nato a Mobile (Alabama, Stati Uniti) il 1° novembre 1960 (63 anni). Dirigente d’azienda. Ingegnere. Amministratore delegato della Apple (dal 24 agosto 2011). Secondo Forbes, ha un patrimonio personale di 1,9 miliardi di dollari. «Per me Steve non è sostituibile. Da nessuno. Era un esemplare unico. Non ho mai pensato che fosse questo il mio ruolo. Se avessi provato a fare una cosa del genere, sarebbe stato un percorso minato».
Vita «Sono nato in una famiglia di pochi mezzi, senza conoscenze importanti; ho visto mio padre che andava ogni giorno a fare un lavoro che non gli piaceva per mantenerci. Io a 16 anni ho deciso che non volevo fare come lui: volevo amare il mio lavoro. Ho sempre pensato di essere un po’ diverso dagli altri, sentivo di dover dimostrar il mio valore. Volevo essere un musicista, ma ero il peggior trombonista al mondo; poi volevo diventare un’atleta, ma non ero dotato. Ho continuato, però, a cercare quale fosse il mio futuro, perché ero e sono convinto che, se lo si continua a fare con passione, prima o poi, qualcosa di bello succederà» • «Cook è cresciuto a Robertsdale, Alabama, che racconta come un paesino “sulla strada che porta alla spiaggia”. Era uno dei tre figli maschi di Don, operaio in un cantiere navale, e Geraldine, che lavorava in farmacia. Quando aveva sette anni, King e Kennedy furono assassinati a distanza di due mesi. Cook ricorda che alla tv si parlava di continuo di quegli eventi tragici. Da ragazzo aveva visto con i propri occhi gli effetti del Ku Klux Klan: una volta si era imbattuto in una croce che bruciava davanti alla casa di una famiglia di colore nel suo quartiere. “Quell’immagine mi è rimasta impressa nella mente in modo indelebile, e ha cambiato per sempre la mia vita”, ha dichiarato in un discorso nel 2013. È comunque “orgoglioso di essere nato in Alabama. La gente ha il cuore al posto giusto, ti guarda negli occhi, ti saluta. È un privilegio venire da lì”. Studente modello alle superiori e poi alle università di Auburn e Duke, Cook aveva fatto carriera nella Silicon Valley come manager Ibm e Compaq. Ma, ripensando a quegli anni, sostiene che allora era “senza timone”. “Lavoravo come un pazzo, volevo essere più produttivo, più efficiente. Non c’era una stella polare a guidarmi”. Poi, nel 1998, aveva incontrato Steve Jobs. “Il mio intuito mi diceva che entrare alla Apple sarebbe stata un’opportunità unica per lavorare con un genio”, aveva detto Cook al biografo di Jobs, Walter Isaacson. Con Apple era stato amore a prima vista. “È stato come rinascere”, dice Cook adesso» (Ben Hoyle) • «La sua carriera prima di Apple è dedicata a Ibm (ben 12 anni) e, per un breve periodo, a Compaq, per i quali svolge ruoli operativi: la gestione strategica dei magazzini, il disegno della supply chain, la gestione dei rapporti con i fornitori e i partner. Qui impara a gestire anche un’azienda nelle sue fasi più operative, e proprio per questo Steve Jobs lo vuole personalmente: siamo alla fine degli anni Novanta, e l’obiettivo è salvare un gigante moribondo. Apple, sconfitta da Microsoft e dalla concorrenza del pc, era all’epoca una grande azienda sull’orlo della chiusura, con bilanci in rosso, deficit operativi, debiti, e soprattutto con una costante emorragia di denaro che derivava dalle attività produttive in California e dall’enorme magazzino in cui erano fermi 3 miliardi di dollari di apparecchiature. Cook in due anni, assieme al direttore finanziario dell’azienda, riesce a ribaltare la situazione: le fabbriche vengono chiuse e spostate in Asia, dove Cook si costruisce una ricca rete di rapporti personali con i grandi terzisti del mercato, a partire dalla taiwanese Foxconn e dal suo discusso boss, Terry Gou. Riesce a fare il tutto senza bloccare la produzione, e contemporaneamente ricostruisce la rete dei fornitori e il sistema di distribuzione, riuscendo a ridurre il valore dei beni immobilizzati in magazzino a poche decine di milioni di dollari e a far partire una delle rivoluzioni strategiche per Apple: la produzione “just in time”, che si sposa anche con uno dei più grandi siti di e-commerce messi in piedi negli Usa alla fine degli anni Novanta, assieme a quello di Dell. È Tim Cook che insiste per usare come “motore” informatico il software di pianificazione delle risorse aziendali della tedesca Sap (che tuttora fa da base software interna a tutte le attività di Apple, compreso l’iTunes Store) anziché quello della Oracle dell’amico personale e grande alleato di Steve Jobs Larry Ellison. Cook rimane dietro le quinte, lavora duramente nel suo ruolo decennale di chief operation officer. […] Nel 2004 e poi di nuovo nel 2008 e nel 2009 Tim Cook viene scelto dal consiglio di amministrazione per sostituire Steve Jobs durante i suoi tre congedi per motivi di salute, fino alla lettera dello scorso agosto [2011 – ndr], che annuncia le definitive dimissioni di Jobs e il suo invito al consiglio di amministrazione a seguire il piano concordato e dare l’azienda in mano a Tim Cook. Il consiglio è d’accordo. […] In pochi giorni la transizione è fatta, e Tim Cook diventa nuovo capo supremo» (Antonio Dini) • «Il progetto era che io diventassi il ceo mentre lui sarebbe stato il presidente. Poi, quando era chiaro che non ce l’avrebbe fatta, mi ha consigliato di non pensare mai a cosa avrebbe deciso lui davanti a una scelta, ma di farlo con la mia testa: questo mi ha tolto un grosso peso dalle spalle» • «Il giorno in cui è morto [il 5 ottobre 2011, a 56 anni – ndr] è stato il peggiore di sempre. Io… mi ero davvero convinto, lo so che può sembrare strano a questo punto, ma mi ero convinto che ce l’avrebbe fatta, a rimettersi in salute, perché ce l’aveva sempre fatta» (a Jena McGregor) • «Tim Cook è ceo di Apple dal 24 agosto 2011. Nella prima mail ai dipendenti esordì con queste parole: “I nostri migliori anni sono davanti a noi, e insieme continueremo a far restare Apple il posto magico che è”. […] Il fondatore morì nemmeno due mesi dopo: troppo presto per celebrare il momento in cui Apple diventò l’azienda più grande tra tutte quelle quotate in Borsa, per commentare l’accordo con l’ex nemico Ibm, per celebrare i quarant’anni dalla fondazione o il miliardesimo iPhone venduto. […] Oggi Apple ha rinfrescato la sua immagine con l’acquisizione di Beats, ma è cambiata pure la comunicazione, con un approccio più rilassato nei confronti dei media, e anche la sede principale non è più al numero uno di Infinite Loop, ma nel nuovo fantascientifico Apple Park. Tim Cook si è schierato pubblicamente sull’ecologia, la diversità etnica e di genere, sul tema dei diritti civili alle coppie omosessuali. Di più: ha fatto coming out e si è dichiarato gay, tra i pochissimi coraggiosi dirigenti della Silicon Valley. Nel suo ufficio, Cook ha una foto di Robert F. Kennedy e del reverendo Martin Luther King: del primo ammira come visse nell’ombra del più famoso fratello John Fitzgerald, del secondo la dedizione al lavoro, l’inflessibilità dei princìpi e la generosità. Ma la sua era comincia con uno strappo, sia pure a fin di bene: a settembre del 2011, Cupertino avvia un programma di beneficenza, annunciando che raddoppierà le donazioni dei dipendenti. E quando si ricomincia a parlare di suicidi nella fabbrica cinese Foxconn incarica un’azienda esterna di valutare le condizioni di lavoro alle catene di montaggio di iPad e iPhone. Poi vola in Oriente, controlla personalmente gli stabilimenti e si fa fotografare col casco giallo tra gli operai. Altri strappi arrivano nei prodotti, con l’iPad mini e il Pro da 12.9 pollici, con il pennino che Jobs detestava e con l’iPhone 6 e 6 Plus (per Jobs la dimensione ideale dello schermo di uno smartphone doveva consentire di raggiungere ogni punto col solo pollice). […] Eppure, in sette anni, l’Apple Watch è il solo prodotto veramente inedito arrivato da Cupertino. Non si sa se il fondatore abbia fatto in tempo a dare il suo parere sullo smartwatch, però è innegabile che rappresenti l’apertura a un mercato nuovo. […] Tim Cook […] ha saputo puntare sul valore della squadra e sfruttare al meglio l’eredità di Jobs, che non significa ripetere le sue parole e le sue scelte. Ha capito presto che la sola possibilità di riuscire era non domandarsi mai cosa avrebbe fatto Steve Jobs al suo posto, ed è andato avanti per un’altra strada, la sua. Ha chiesto scusa quando era necessario (per il disastro delle mappe, ad esempio), ha alzato la voce quando bisognava farlo, opponendosi alla richiesta dell’Fbi di accedere ai dati dell’iPhone dei killer di San Bernardino. Così è diventato un paladino della privacy, e sulle sue orme si sono mossi altri nomi della tecnologia, non sempre con la stessa credibilità. Con lui Apple vende meno prodotti tecnologici, e più una visione del mondo: per questo i nuovi prodotti non portano più la “i” iniziale di Steve Jobs, ma il nome dell’azienda, e i negozi non sono più “Store”, ma piazze, luoghi di aggregazione e creatività. Dall’altra parte, gli investitori chiedono solidità e progetti a lungo termine, e per Cook il compito non è semplice: non basta che un prodotto sia venduto: deve essere un successo planetario. Come l’iPhone, che conta per due terzi del fatturato ma non cresce più in un mercato saturo, dove abbondano i concorrenti più economici. Questa è la sfida più difficile per Cook: immaginare Apple oltre l’iPhone. Arriverà forse un’auto, ci sarà spazio per la realtà aumentata; intanto crescono per valore e importanza i servizi, da Apple Pay alla musica in streaming, fino a iCloud. Così la Mela è oggi la prima società da 1.000 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato [traguardo raggiunto il 2 agosto 2018 – ndr]. Alla morte di Jobs, il 5 ottobre 2011, valeva 350 miliardi di dollari» (Bruno Ruffilli) • «La leadership di Cook è stata messa alla prova nel dicembre 2015, quando l’amministrazione Obama ha fatto pressioni su Apple perché sbloccasse l’iPhone del terrorista colpevole della strage di San Bernardino, in California. La società si era rifiutata perché farlo avrebbe creato un precedente, scatenando un dibattito nazionale su come trovare l’equilibrio tra privacy e sicurezza. Alla fine l’Fbi aveva trovato un misterioso personaggio che era riuscito a sbloccare il cellulare. “La lezione che ho imparato è che, quando il governo ti si rivolta contro, ne vedi degli aspetti che non immaginavi. E ho capito che le regole, che pensavo valessero sempre, non valgono niente. Che ingenuo che sono!”, dice» (Hoyle) • Profonda l’amicizia con Jobs. «Quando nel 2009 si era saputo che Jobs aveva un cancro del fegato e aveva bisogno di un trapianto, Cook fece le debite indagini mediche, scoprì che poteva essere donatore e gli offrì un pezzo del proprio organo (il fegato si rigenera anche da un pezzo limitato). Ma Jobs rifiutò categoricamente l’offerta: “Nella nostra vita abbiamo litigato esattamente 13 volte – ha ricordato Cook –. Quella fu l’ultima. Steve tagliò le gambe immediatamente alla mia proposta”» (Anna Guaita) • «Con gli impiegati è esigente come Jobs, ma il suo stile è diverso. Se il fondatore di Apple non perdeva occasione per usare epiteti coloriti, Cook sceglie la via del silenzio: quando qualcuno non è in grado di dare una risposta alle sue domande, rimane seduto senza dir parola mentre gli altri si muovono nervosamente sulle sedie. Il silenzio diventa così insopportabile che tutti vorrebbero lasciare la stanza, mentre Cook, imperturbabile, continua a fissare il malcapitato, a volte tirando fuori dalla tasca una barretta proteica» (Ruffilli). «Sua consueta uniforme: jeans e scarpe da ginnastica, maglietta, maglioncino leggero e occhiali con la montatura scura. Un “maniaco del fitness” che si alza quasi sempre prima delle 4 per allenarsi e sbrigare le e-mail, e conduce un’esistenza “molto concentrata su Apple”. Snello, schiena dritta, capelli argento, denti bianchissimi e un linguaggio del corpo lievemente meccanico, maniere affabili ma decise» (Hoyle). «Parla con misura, e quando lo fa il pubblico raramente si sdilinquisce. […] Le performance dal vivo di Cook sono quel che sono. Non è un leader carismatico naturale, ma i leader carismatici di seconda generazione tendono al grottesco, sanno di contraffazione. Il punto di continuità fra i due [cioè fra Jobs e Cook – ndr] è il senso della primazia del prodotto su qualunque altra cosa, innanzitutto sul profitto. È diventato famoso l’episodio in cui il posato amministratore ha perso le staffe durante una chiamata con gli investitori per via di certe lamentele su investimenti socialmente coscienziosi ma poco profittevoli: “Facciamo un sacco di cose per ragioni che non hanno a che fare con il profitto: vogliamo lasciare il mondo meglio di come l’abbiamo trovato. Se volete che prenda decisioni soltanto basandomi sul profitto, vi suggerisco di vendere le azioni”» (Mattia Ferraresi) •
Coming out «È cresciuto tormentato dalla questione dell’uguaglianza, e capita spesso che nelle apparizioni pubbliche citi Martin Luther King, anche se difficilmente gli si potrebbe attribuire il fuoco sacro dell’attivista. Quando ha fatto coming out, […] sono stati in pochi a stupirsi della notizia; a stupire è stato piuttosto il percorso che lo ha portato a rendere pubblico “uno dei più grandi doni che Dio mi abbia dato”, una specie di uscita dall’armadio in cui le ragioni personali e quelle di marketing felicemente si sposano. Come ha scritto su Businessweek, moltissimi sapevano della sua omosessualità. Lui non lo nascondeva nei contesti privati: semplicemente evitava di dirlo nella apparizioni pubbliche. […] All’interno dell’azienda era in atto un complesso calcolo fra costi e benefici di una dichiarazione pubblica. Nel tempo Cook ha preso ad affrontare con crescente insistenza il tema dell’uguaglianza, dapprima senza precisi riferimenti alle discriminazioni per l’orientamento sessuale; poi il discorso è finito da quelle parti. […] Ha trasformato la parte emersa, socialmente impegnata di Apple in una dépendance ideologica delle Nazioni unite, ha fatto ampie manovre di avvicinamento alla questione e, quando ormai era chiaro che i benefici superavano enormemente i costi, è uscito allo scoperto. Del resto, questo è un mondo in cui Brendan Eich perde il posto al vertice di Mozilla per qualche migliaio di dollari versati in favore della famiglia tradizionale: che cosa poteva temere il capo dell’azienda più ricca del mondo? A parte una statua dedicata a Jobs a San Pietroburgo fatta rimuovere dalle autorità russe – ottima pubblicità –, l’uscita con racconto intimo su Businessweek è stata accolta da applausi convinti o da meno rumorosi “embè?”. Il manager grigio della Mela è diventato un compassato capopopolo arcobaleno» (Ferraresi). «Mi sono esposto perché non puoi essere un leader se non sei autentico. Ci sono cose orribili che accadono soprattutto a bambini e ragazzini. Bullismo a scuola, essere trattati come cittadini di seconda classe, essere ostracizzati persino in famiglia. […] Dopo essere diventato ceo di Apple, mi è diventato chiaro che avrei potuto fare la differenza, anche se magari solo per piccoli gruppi di persone. Così ho messo da parte la privacy e ho dichiarato chi sono».
Soldi Nel gennaio 2023 ha annunciato una riduzione del 40% del suo stipendio da amministratore delegato di Apple. «Il compenso totale previsto per il 2023 di Tim Cook è di 49 milioni di dollari, una riduzione di oltre il 40% rispetto al suo compenso totale registrato nel 2022». Il compenso di Cook per il 2023 dunque sarà così composto: 3 milioni di dollari (salario base), 6 milioni di dollari (piano di incentivazione), 40 milioni di dollari (in Equity Award, vale a dire una retribuzione non monetaria basata sulle azioni della società). L’ultima voce, nel 2022, era stata pari a 75 milioni di dollari • «In un’intervista alla rivista Fortune, Cook ha annunciato […] che prima di morire darà in beneficenza tutta la sua ricchezza. Ha chiarito, quasi scherzando, che l’unica spesa che intende fare è di pagare gli studi universitari del nipotino» (Guaita).