Corriere della Sera, 28 novembre 2023
Banche, una storia italiana
Nella storia di Intesa Sanpaolo, cioè nel lungo percorso che parte dal 1982 (nascita del Nuovo Banco Ambrosiano) e arriva al 2007 (fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo Imi) e ad oggi, l’integrazione tra l’allora Banco Ambroveneto e la Cariplo Spa ha segnato una svolta fondamentale. Nella storia dell’istituto c’è un prima e un dopo, rispetto all’incontro con la Cariplo.
I quindici anni dal 1982 al 1997 erano stati per il Nuovo Banco Ambrosiano (a partire dal 1990 Banco Ambroveneto) anni estremamente difficili e rischiosi: in un certo senso, vissuti in continua emergenza. Si affrontava infatti quella che possiamo definire una grande sfida. Se risaliamo alle origini, dobbiamo riconoscere che l’operazione ideata nel 1982 da Carlo Azeglio Ciampi, governatore della Banca d’Italia, e Nino Andreatta, ministro del Tesoro – cioè la liquidazione coatta del Banco Ambrosiano e la costituzione del Nuovo Banco Ambrosiano —, fu un’operazione ad alto rischio, non solo per gli attori-protagonisti, ma anche per le stesse Autorità (posso testimoniare che Ciampi mi disse che, in caso di insuccesso, avrebbe dovuto dimettersi).
La gravissima crisi del vecchio Banco Ambrosiano veniva infatti risolta in un modo che risultava fortemente contrastato sia a livello politico (una componente di massimo peso della Democrazia cristiana voleva evitare il fallimento del Banco, mentre il Partito socialista era interessato al salvataggio della Rizzoli), sia a livello tecnico (Visentini, figura eminente del governo Spadolini, esigeva che le partecipazioni del Gruppo fossero affidate alla liquidazione), sia a livello mediatico (l’opinione pubblica accordava poche chance al successo dell’operazione). Si trattava di un progetto concepito per conseguire risultati irreprensibili e importanti, consoni all’integrità intellettuale e morale di Ciampi e Andreatta. Si era inflessibili nell’imporre il fallimento del Banco Ambrosiano, perché questa era un’esigenza ineludibile di giustizia e di pulizia; ma nello stesso tempo si cercava di evitare la distruzione di un’azienda valida, il sacrificio di un personale incolpevole, nonché, se possibile, si ipotizzava di assicurare un parziale recupero all’azionariato della banca, costituito in gran parte dalla sana borghesia milanese. Tutti travolti dalle criminali e spericolate operazioni estere di Calvi.
Solo i superstiti di quegli anni possono raccontare come la situazione iniziale del Nuovo Banco fosse drammatica e come all’inizio fosse incombente il rischio di precipitare dal Nuovo a un Nuovissimo Banco Ambrosiano!
Fu vinta quella sfida. Furono evitati anche sacrifici del personale e ai vecchi azionisti si offrirono chance di recupero con l’operazione warrant. Ma la banca, non appena risanata, subì due attacchi frontali, sferrati dai massimi poteri del Paese: alla fine del 1989, da parte delle Generali e, nel novembre 1994, da parte della Comit. Fu difesa, in modo rocambolesco, l’autonomia del nuovo istituto. Per questo ho parlato di uno stato di perenne emergenza.
La Cariplo dell’epoca era una banca di grande dimensione e solidità, sia pure caratterizzata da una gestione creditizia di tipo tradizionale e da scarsa propensione all’innovazione e alla ricerca di maggiore efficienza.
La Cariplo attraversava in quel momento una fase di profondi cambiamenti. Al posto di Roberto Mazzotta, che aveva guidato a lungo Ca’ de Sass, era stato nominato presidente Sandro Molinari; mentre la Commissione centrale di beneficenza aveva nominato come presidente della Fondazione Giuseppe Guzzetti, già presidente della Regione Lombardia.
Nel marzo 1996 la Commissione centrale di beneficenza della Fondazione Cariplo rinnovò alla Goldman Sachs il rapporto di consulenza finanziaria conferitole in precedenza,«per lo studio e la realizzazione delle operazioni volte alla concretizzazione del programma di valorizzazione e di dismissione di Cariplo Spa». Ma il rinnovo differiva radicalmente dal mandato precedente, perché non prevedeva di procedere a un’offerta pubblica di vendita di una frazione del capitale, ma era invece volto ad «esplorare la possibilità di intrecciare alleanze forti all’interno del sistema creditizio nazionale». Il presidente della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, aveva portato la Commissione centrale di beneficenza a fare una scelta strategica e lungimirante: quella di dismettere la maggioranza o la totalità delle azioni, ma con disponibilità della Fondazione a partecipare con una quota importante al progetto industriale della banca acquirente.
L’unione delle due realtà ricevette un’accoglienza molto favorevole: era nato un istituto che avrebbe contribuito da protagonista allo sviluppo del nostro sistema creditizio in vista dello sbarco in Europa
Un accordo tra Cariplo e il Banco Ambroveneto risultava suggerito dalla circostanza che entrambi gli istituti avevano una comune matrice storica e culturale: quella dell’impegno socio-economico del mondo cattolico lombardo del secolo precedente.
Il 13 maggio 1997 il Patto di sindacato del Banco Ambroveneto presentò alla Fondazione Cariplo un’offerta secondo cui la valutazione della Cariplo sarebbe avvenuta sulla base del patrimonio netto contabile. Al termine dell’operazione la Fondazione Cariplo sarebbe entrata con una quota attorno al 30% nel Patto di sindacato della holding; due obiettivi dell’operazione enunciati dal presidente della Fondazione, Guzzetti: massimizzare il ricavato della vendita per finanziare le attività istituzionali della Fondazione e partecipare poi da protagonista a un valido progetto industriale.
La Fondazione Cariplo, avendo ricevuto due offerte, si orientò da subito a favore di quella avanzata dal Banco Ambroveneto. Il presidente della Fondazione Cariplo fece un gesto di cortesia informandone preventivamente Fausti, il presidente della Comit, con il suggerimento di ritirare la propria offerta. Ma all’ultima ora, cioè il venerdì sera, con la riunione decisoria della Commissione di beneficenza fissata al lunedì mattina, la Comit avanzò in extremis una seconda offerta, con l’idea che potesse prevalere su quella presentata dal Banco Ambroveneto. Senza successo, perché il lunedì la Commissione centrale di beneficenza della Cariplo decise, pressoché all’unanimità, di preferire l’offerta del Banco Ambrosiano Veneto.
La holding assunse il nome di Banca Intesa.
La nascita del nuovo gruppo ricevette un’accoglienza molto favorevole sul mercato. Si inaugurava una fase nuova di fusioni e concentrazioni nel sistema creditizio italiano, al fine di recuperare condizioni di efficienza e competitività in un mondo globalizzato. Con l’unione di Cariplo e Ambroveneto era nata infatti una banca che avrebbe contribuito da protagonista allo sviluppo del sistema creditizio italiano in vista dello sbarco in Europa.
L’accordo con la Cariplo ha avuto un’importanza decisiva nella storia di Intesa Sanpaolo, non solo per la crescita dell’azienda bancaria dell’Ambrosiano grazie all’unione dell’Ambrosiano Veneto con la Cariplo, ma anche per il peso che da allora ha avuto la presenza della Fondazione Cariplo nella compagine azionaria alla guida della banca, sempre in perfetto accordo in tutte le decisioni strategiche assunte dal 1997 in poi.
Si può affermare che la Fondazione Cariplo dal 1997 è diventata coprotagonista dell’impresa ideata e avviata nel 1982 da Ciampi e Andreatta, aggiungendosi – anzi sostituendosi – a quegli azionisti che avevano partecipato sin dall’inizio. Il suo intervento è avvenuto in un momento decisivo, permettendo all’iniziativa di realizzare un risultato che è andato sicuramente oltre l’intento iniziale. Un risultato quasi impensabile.