ItaliaOggi, 28 novembre 2023
Le recensioni di Gabutti
Per alcuni (i gazzettieri, i politici, i conduttori di talk show) è una benedizione. Per la società nel suo complesso, è invece un drago da abbattere (ma campadrago). Peter Burke, autore di Ignoranza, scrive che «recentemente, negli Stati Uniti, Charles Simi, il poeta, ha scritto che «il nostro nuovo obiettivo nazionale è combattere l’ignoranza diffusa che sconfina con l’idiozia», mentre Robert Proctor, uno storico della scienza, ha definito il nostro tempo una «età dell’oro dell’ignoranza». Sempre al centro della scena, l’ignoranza, moderna e compiaciuta di sé, è il fantasma che infesta il castello delle società aperte. Uno spettro subdolo, che si vale degli stessi strumenti (l’«esame obiettivo dei fatti», il boogie-woogie delle ipotesi, la retorica) ai quali ricorre il suo contrario: la scienza.
Come il sapere, l’ignoranza persegue obiettivi pratici. Se il mondo va avanti grazie ai prodigi della tecnologia, della medicina, della lenta ma inarrestabile riforma dei costumi, l’ignoranza è la Nemesi di questo accumulo di saperi e di comportamenti e ne è insieme il suo doppio, il suo gemello: infiltra le istituzioni politiche, scolastiche, culturali nel tentativo, quasi sempre riuscito, di guastare la festa. Del resto è proprio nell’equilibro tra chi sa e chi ignora, tra chi si arma di conoscenze razionali e chi invece sbandiera pregiudizi, minaccia col pugno gl’infedeli, si fa beffe dell’evidenza e della logica formale, che le società umane assumono un modus vivendi che permette alle conoscenze di crescere e a ignoranti e sciocchi d’opporre resistenza.
A volte capita il peggio, e l’equilibrio si spezza a favore dell’ignoranza, come oggi in Occidente, e allora per le società libere cominciano i guai.
Burke racconta la storia labirintica dell’ignoranza attraverso i secoli: un mostro immortale che sfida la conoscenza, e che sempre più spesso vince la partita. Questo l’incipit del libro: «Definita come assenza di conoscenza, l’ignoranza può non sembrare affatto un argomento. Un mio amico immaginava che un saggio su questo tema non avrebbe contenuto altro che pagine bianche. Ciò nondimeno, si tratta d’un tema che sta suscitando un crescente interesse, sulla spinta degl’incredibili esempi d’ignoranza dei presidenti Trump e Bolsonaro, per non parlare d’altri paesi». Tipo l’Italia, dove un giorno vige l’«uno vale uno» dei 5stelle e un altro giorno la premier si rivolge a una Camera rumoreggiante dei deputati con un «booni» da film d’Alberto Sordi.
Peter Burke, Ignoranza. Una storia globale, Raffaello Cortina Editore 2023, pp. 400, 25,00 euro.
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Non sono rime qualsiasi, ma rime da fare invidia ai trovatori del Corriere dei piccoli, rime italiane, futuriste e beffeggiatrici, che raccontano il paese dei cachi senza troppe smancerie ideologiche e, quel che più conta, senza ricorrere alla lingua di gesso degli editorialisti e degli opinionisti da talk show. Raccontata mese per mese, dal 1997 alle predizioni per il prossimo anno, quella disegnata con feroce umorismo da Altan e Serra è un’Italia che non mette i brividi, come fa di solito, ma che al contrario mette di buon umore, a dimostrazione che quando la signora grassa cade nel tombino o scivola sulla buccia di banana tutti scoppiano a ridere anche se la poveretta si è giocata l’osso del collo. Come Shiva il distruttore, che danza sulle macerie del mondo, Serra e Altan ballano una giusta e meritata tarantella sulle rovine d’Italia. Prendete questa previsione per il 1994: «Il Salvini, perentorio, / ha aggiornato il repertorio: / castrazione dei violenti! / Bacchettate ai ripetenti! / Ingabbiare ai primi cenni / di malestro i dodicenni! / E buttare via la chiave! / Affondare qualche nave! / Rapatura delle mogli che trascurano i mariti! / Appostarsi sugli scogli / e sparare ai meteoriti! / E vietare la canasta! / Otturare i colapasta! / Alla fine si è capito / che la foga lo ha tradito». O questo amarcord del 2015: «Arriva primavera / e le ministre in fiore / annunciano entro sera / riforme di spessore. / Le guardi compitare / le norme e i codicilli. / Non fanno più pensare, / le belle, a Pitigrilli». Anche se non sempre la rima è perfettamente baciata, a differenza delle bellissime illustrazioni d’Altan, che invece lo sono sempre e senza inciampi, non zoppica mai, in compenso, il ritratto del paese, somigliante come un fotocolor. Soltanto degli umoristi (questa la morale del libro) sanno come dipingere un paese ridicolo, governato (e anche un po’ popolato) da clown. Qua e là, quando capita, ci sono rime anche extraitaliote. Una tra le più belle è la seguente: «Navigando su internette / se non clicchi sulle tette / ti classificano, i cookie, / tra gli apatici o gli eunuchi. / Il controllo è ormai totale, / sanno tutto dei tuoi gusti: / se il lattosio ti fa male, / se hai il diabete, se ti frusti, / se ti piacciono i pistacchi, / se ti abboni agli almanacchi. / Solo quando sei sconnesso / puoi sparire dalla giostra. / Ma ecco Zuckerberg che mostra / il suo ultimo successo: / è una app che documenta / cosa fai quando l’hai spenta».
Francesco Altan e Michele Serra, Ballate dei tempi che corrono, Feltrinelli 2023, pp. 176, 22,00 euro, eBook 12,99 euro
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Madre romanziera, padre poeta e Premio Pulitzer, un fratello e una sorella entrambi scrittori, poeta anche il patrigno che sua madre sposò in seconde nozze, l’inglese Joan Aiken (1924-2004) ha scritto più di cento libri, per lo più thriller, ucronie e storie horror per bambini. Da oggi, con I lupi di Willoughby Chase, entra nel prestigioso catalogo Adelphi, e più precisamente nella collana «i cavoli a merenda» (ispirata a un titolo di Sto, al secolo Sergio Tofano, grande attore di teatro e padre del Signor Bonaventura). I lupi di Willoughby Chase, del 1962, è il suo primo romanzo, e anche il più celebre (nel 1988 ne fu tratto un film: La Strega di Willoughby Chase, di Stuart Orme). Siamo nel 1832 o poco dopo. Luogo: un’Inghilterra alternata invasa da branchi di lupi russi, che sono penetrati nel paese, dopo alcuni rigidi inverni, attraverso un tunnel scavato tra Dover e Calais nel 1830.
Carrozze trainate da cavalli, caminetti accesi, due bambine dallo spirito avventuroso, i genitori in viaggio, un castello innevato, un’istitutrice carogna, altri malintenzionati, fiumi e foreste, ragazzi selvaggi nei boschi. Sono cliché giocati con grande maestria da Joan Aiken, brava almeno quanto J.K. Rowling, autrice delle storie di Harry Potter. Sono storie meno in debito con la magia e il fantastico, ma costruite con lo stesso materiale fiabesco: ogni pagina un intrigo, un colpo di scena, un mistero, una prova d’eroismo o un tuffo al cuore. Per i bambini che nel tempo dell’iPad e dell’intelligenza artificiale, ancora leggono, prima d’addormentarsi, romanzi d’avventura, I lupi di Willoughby Chase è un perfetto regalo di Natale. Idem anche le altre storie di Joan Aiken citate da Brian Phillips nella postfazione al libro Adelphi: «Aiken scrisse di mongolfiere e ferrovie segrete. Scrisse di fantasmi. Inventò un merlo indiano che, appartenuto a un lord, starnazzava un repertorio di frasi come: “Ohibò, una sedia per Lady Fothergill!”. Inventò un volubile capitano di Nantucket ossessionato dall’idea di inseguire una leggendaria balena, solo che la balena in questione era rosa e lui voleva trovarla perché era una sua cara amica. Inventò personaggi chiamati Lady Tegleaze, Dido Twite e Sir Randolph Grimsby. Scrisse romanzi per adulti, incluso uno in cui Lady Catherine de Bourgh di Orgoglio e pregiudizio veniva rapita». Una festa per la letteratura!
Joan Aiken, I lupi di Willoughby Chase, Adelphi 2023, pp.194, 20,00 euro, eBook 11,99 euro