Corriere della Sera, 28 novembre 2023
Intervista a Fanny Ardant
Fanny Ardant, perché le piace fischiare?
«Il fischio è una forma di insolenza, di libertà. Mi aiuta a superare la tristezza, i pensieri negativi, è un mondo parallelo. Ho cominciato da ragazzina e una volta mio padre mi disse: se vuoi fischiare, vai in giardino. Io risposi: ma non c’è il giardino! E lui: allora fallo qui. Ma qualche anno fa – aggiunge – ero a bordo di un taxi, cominciai a fischiare e il tassista mi fece scendere, perché secondo lui fischiare porta sfortuna...», ride.
Insomma lei è una temeraria, una ribelle...
«A scuola contestavo anche le suore: mettevo in discussione ogni autorità, non esistono verità assolute».
Forse non a caso, il primo dicembre torna in palcoscenico nel ruolo di una ex brigatista. Impossibile è lo spettacolo tratto dal libro di Erri De Luca, al Teatro Cucinelli.
«Ho voluto portarlo in scena, impersonando un ruolo originariamente maschile. L’azione si svolge in un tribunale. L’ex brigatista viene processata da un magistrato (Carlo Brandt, ndr): è accusata di aver spinto nel vuoto un suo ex compagno di lotta. Si erano rincontrati dopo quaranta anni in un sentiero sulle Dolomiti e, al contrario di quanto afferma il mio personaggio, e cioè che si è trattato di una caduta accidentale, il giudice tenta di farle confessare un omicidio premeditato».
Perché?
«Perché l’ex compagno, per ottenere lo sconto di pena, era un pentito, un traditore che aveva contribuito al mio arresto. Il titolo Impossibile si riferisce al fatto che il giudice ritiene improbabile l’incontro occasionale in montagna e la successiva mortale scivolata».
Come va a finire?
«Che ritorno in prigione...».
Anni fa lei fece dichiarazioni sulle Brigate Rosse e definì Renato Curcio un «eroe». Però poi si scusò con le vittime.
«Fraintesero la mia posizione. Ammiravo quelli che non si erano pentiti: puoi avere rimorso per ciò che hai fatto, ma non puoi risolverlo denunciando i compagni. Curcio ha sbagliato e ha pagato il suo debito in galera».
Una contestatrice, ma da ragazza voleva intraprendere la carriera diplomatica: un controsenso?
«Ero appassionata di teatro e volevo fare l’attrice. Una sera, a Parigi, ero con mio fratello a vedere Traviata e gli sussurrai: un giorno sarò sul palcoscenico. Lui mi guarda stupito e ribatte: sei una debole di mente. Ma io fissavo il sipario, provavo un’attrazione, invasa dalla certezza dei matti. Quando comunicai ai genitori la mia intenzione, erano preoccupati: mi suggerirono di fare l’università e poi semmai di frequentare l’accademia di recitazione. Scelsi la facoltà di scienze politiche non per fare la diplomatica, ma perché era una laurea breve, di soli tre anni».
Teatro e tanto cinema, dove riscosse il primo grande successo con La signora della porta accanto...
«Il grande schermo è per me molto importante, il teatro è un luogo di felicità. Quando salgo sul palcoscenico penso che nulla di male può accadermi, tutto dipende dal rapporto col pubblico che non è mai lo stesso: a volte è attento, altre volte distratto e ne devi conquistare l’attenzione. È una situazione al limite, che mi svuota la testa e me la riempie: una pulsione violenta, come una trasfusione di sangue».
Lei parla molto bene in italiano. A Solomeo in che lingua reciterà?
«In italiano! Ne sono affascinata. Quando iniziai a lavorare con Gassman, Mastroianni, Scola, non conoscevo la vostra lingua e loro si sforzavano di parlare in francese. Erano uomini che amavano stare insieme, la buona cucina, il buon vino, tutt’altro che mortaccini, con un forte senso dell’humour. Però, quando eravamo insieme a cena, Ettore raccontava barzellette in italiano, tutti si sbellicavano dalle risa, io non riuscivo a capirle. Poi imparai la lingua e una volta scoppiai a ridere. Mi guardarono sorpresi non solo perché dimostravo di aver capito, ma perché la barzelletta non era tanto spiritosa. Mi dispiace che siano scomparsi tutti, ma la morte fa parte della vita».
Non si è mai sottoposta a chirurgia estetica: non teme le rughe?
«È stupido preoccuparsene, meglio accoglierle con serenità. Mi ricordo una battuta di Scola: “Con tutte le attrici rifatte, diventa sempre più difficile trovarne una per il ruolo di nonna”. La mia più grande paura è diventare indifferente. Bisogna lasciare accesa la luce della curiosità».