Corriere della Sera, 28 novembre 2023
Il boss pentito che «cede» un’isola all’Italia. «È a Dubai, vale 70 milioni»
Un’isola di fronte a Dubai. Artificiale come tutto da quelle parti, ma un’isola intera, denominata Taiwan e del valore di 70 milioni di euro. E completamente di sua proprietà. Il narcotrafficante Raffaele Imperiale aveva investito anche così una parte della sterminata ricchezza accumulata in anni di attività come broker internazionale della droga. Ma da quando la sua carriera è finita, da quando, cioè, gli hanno stretto le manette ai polsi e per lui la prospettiva è diventata soltanto il carcere, ha deciso di collaborare con la magistratura. E per dimostrare di essere sincero, ora ha scelto di non limitarsi soltanto a rivelazioni, che peraltro al momento sono ancora in fase di verifica investigativa, ma di andare oltre con gesti concreti. Come cedere la proprietà di quell’isola allo Stato italiano.
Lo ha comunicato con una lettera alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli e ieri, nel corso della requisitoria in un processo con rito abbreviato, il pubblico ministero Maurizio De Marco lo ha comunicato al giudice rendendo quindi nota la vicenda e poi ha chiesto per lui la condanna a 14 anni e 9 mesi di reclusione. Non è la prima volta che il nome di Imperiale è legato a eventi eclatanti. Era già successo nel 2016, quando, mentre lui era latitante, furono trovati in un suo covo due quadri di Van Gogh rubati nel 2002 dal museo di Amsterdam dedicato al grande pittore olandese. Due opere dal valore stimato in almeno 130 milioni di euro che appartenevano alla collezione privata del narcotrafficante. Quarantanove anni, originario di Castellammare di Stabia, Imperiale – che nel suo ambiente era chiamato «Lello Ferrarelle» – è stato per anni la mente imprenditoriale degli Amato-Pagano, la fazione scissionista dei clan camorristici di Scampia, protagonista tra il 2004 e il 2005 della sanguinosa faida contro i Di Lauro. In seguito alla rottura con i vecchi alleati gli Amato-Pagano si trasferirono in Spagna (uno degli snodi principali per l’importazione in Europa delle grandi partite di cocaina e non solo), e ciò permise al broker di intensificare ulteriormente i contatti con le principali organizzazioni internazionali del narcotraffico, e di riuscire a stringere rapporti diretti e personali con i più attivi produttori sudamericani.
Fino all’agosto del 2021, quando fu arrestato negli Emirati, per poi essere estradato in Italia sette mesi più tardi. Prima di allora Imperiale era riuscito a diventare il broker di riferimento non più soltanto di ciò che restava in attività dei clan napoletani con i quali aveva operato in passato, ma anche delle più importanti famiglie di ’ndrangheta e di altre organizzazioni internazionali. Una attività che gestiva con una struttura organizzata come una grande società, con impiegati, consulenti e collaboratori, e che funzionava con tale efficienza da consentirgli di staccarsene quasi (solo operativamente) per dedicarsi agli affari di alta finanza attraverso i quali portare la sua ricchezza a livelli ancora non quantificati. Di certo per un periodo aveva anche investito in oro, acquistandone in media tre o quattro chili al giorno, salvo poi fermarsi quando cominciò a temere di poter attirare l’attenzione degli investigatori. In criptovaluta ha accumulato invece almeno un milione e ottocentomila euro, e cioè l’ammontare dei bitcoin che gli sono stati sequestrati negli ultimi due anni. Ma non è detto che non ci sia altro, nascosto dove magistratura e investigatori non sono ancora arrivati. Anche dell’isola, del resto, fino a poco tempo fa non se ne sapeva nulla.