La Stampa, 28 novembre 2023
Intervista a Caterina Caselli
«Sono molto orgogliosa. Nel film e nell’album c’è una scelta di creazioni che sono capolavori. La serata alla Scala è stata sorprendente a dir poco, nel tempio del teatro più glorioso della musica c’era un’atmosfera particolare, quando è uscito sul palco la gente è impazzita. E da Aguaplano è cominciato un viaggio meraviglioso, tra suoni e dettagli musicali che piano piano è come se diventassero immagini grazie ai testi. In teatro viaggiavamo con lui». Ieri, prima di Paolo Conte alla Scala. Il Maestro è nell’anima al Tff: la cronaca geniale del concerto del 19 febbraio scorso nel tempio della lirica mondiale, con la regia di Giorgio Testi.
Caterina Caselli è in sala a Torino per l’anteprima, il film è nato da una sua idea coltivata da tempo, prodotto dalla Sugar, casa discografica di famiglia che si allarga a nuove esperienze, distribuito da Medusa e nelle sale dal 4 al 6 dicembre, poi si vedrà. Intanto esce anche l’album della Scala, il vinile è mirabile. Come catalizzatore di entusiasmi, Paolo Conte è una specie di Måneskin del mondo più adulto. Ha ammiratori in tutto il mondo ma la fan numero uno è proprio lei, Caterina, la più sperticata e a ragion veduta. La fascinazione viene da un coup de foudre che risale al 1968.
Come ha conosciuto Paolo Conte, Caterina?
«Da lontano, nel 1968, quando ho inciso Insieme a te non ci sto più. Erano i tempi del mio grande successo, io ho la voce da contralto e dovette abbassare la tonalità del pezzo».
Molti successi dopo, il Maestro abbandonò la RCA venduta a BMG e firmò per la CGD. Rimase nella vostra etichetta per vent’anni. Nel 1984 uscì il vostro primo album, Paolo Conte, il terzo della Trilogia del Mocambo, con Gli impermeabili.
«Ebbi allora l’idea del teatro lirico, quando cominciammo a collaborare. Ancora non lo conoscevo ma mi ero resa conto che era il numero uno. Ero passata davanti alla Scala con Dionne Warwick. Le chiesi: ti piacerebbe cantarci? Lei guardò bene e disse “It’s a dream”. E io pensai subito a lui, un poeta e musicista sublime, che avvertivo disegnasse anche con le parole. Ho tentato nel tempo diverse volte senza fortuna, infine l’ho visto agli Arcimboldi, ne ho parlato con mio figlio Filippo, e abbiamo contattato il ministero della Cultura. Ed eccoci, la tenacia vince sempre, sono orgogliosa del film e dell’album. Ho rispetto per gli artisti io, ricordo le parole di mio suocero Ladislao Sugar: “Un bravo editore deve divulgare difendere portare ricchezza all’opera dell’autore"».
Una parte o significativa di Paolo Conte alla Scala, durante Diavolo Rosso, testimonia il rapporto con l’orchestra...
«Mentre lo si ascolta nel film, viaggi con loro. In Diavolo Rosso c’è una sorta di languore, si vede il rapporto fra lui e i musicisti, la loro capacità, l’allegria, la fatica, la complicità. Un pezzo di cinema da non dimenticare».
Lei ha portato negli ’80 l’album di Conte in Francia: e fu il primo successo vero, che poi si propagò dovunque.
«Facemmo il primo contratto con la Chant du Monde a Parigi, nel 1982. Era appena uscito dalla RCA, venne dall’Olanda il responsabile e gli feci sentire Gli impermeabili: l’Olanda mi ha sempre portato fortuna, Paolo lì ebbe poi un successo enorme. Intanto il suo manager Fantini fece grande promozione a Parigi, e i primi concerti furono un trionfo».
Quello che ancora chiamavamo “L’avvocato” cambiò in seguito etichetta, ma i vostri rapporti rimasero buoni.
«L’ho sempre chiamato, parlavo con sua moglie Egle, volevo sapere come stava. Ho un grande rispetto per lui e per il suo pubblico: come dice nel film, questo suo pubblico gli assomiglia e quest’opera ha anche il compito di stuzzicare più curiosità nei suoi riguardi».
Che destinazione avrà il film?
«La distribuzione è Medusa, stiamo valutando e per ora non ci sono accordi. Non facciamo uscire il disco sulle piattaforme musicali, è talmente bello che va gustato diversamente. Abbiamo anche fatto un podcast, strumento del quale i ragazzi sono molto appassionati, per allargare l’audience: ne sono ospiti Francesco De Gregori, Francesco Bianconi, Dente, Colapesce e Di Martino tra gli altri. Son felice di vedere l’attenzione della gente, mi fa venire in mente quel verso di Insieme a te non ci sto più, che dice “Si muore un po’ per poter vivere"».
Com’è il suo primo ricordo di Paolo Conte?
«Io e mio marito Piero Sugar siamo stati insieme 52 anni, e anche Paolo e Egle hanno una lunga storia comune, sono una rarità. Si dice che sia introverso, Paolo, ma dipende anche dagli incontri, con noi si è sempre espresso senza ambiguità, parlava della mia voce e di quella di Celentano come di due voci veraci. Una sera venne ad un mio concerto a Torino quand’ero ancora molto popolare, finita la musica ci fu l’assalto al palco e lui mi disse poi ridendo che aveva dovuto farmi da gorilla».
Introverso a volte, ma ironico sempre...
«Mi ricordo di quando scrisse due pezzi per Patty Pravo, Spaccami il cuore (che riprese pure Mia Martini) e Come mi vuoi. A lui piaceva molto Patty, che cantò anche la sua Tripoli. Un 6 gennaio, eravamo con lui e Lilli Greco e con noi c’era il manager di Miriam Makeba, che chiamò a Los Angeles il manager di Dizzie Gillespie: nacque sotto il nostro naso e al telefono un duetto fra loro, e Paolo scrisse il testo in inglese di Don’t Break my heart. Per me la libidine massima».
Perché avete scelto proprio il TFF per il lancio?
«Il Tff è da sempre attento alla valorizzazione di progetti speciali e di qualtà, siamo molto felici di averlo presentato qui in anteprima, all’interno di una cornice così prestigiosa». —