Corriere della Sera, 27 novembre 2023
La truffa delle partecipate
di Domenico Affinito e Milena Gabanelli
Nel 2014, dopo un anno di lavoro, il Commissario alla revisione della spesa Carlo Cottarelli presenta un piano: le partecipate pubbliche devono scendere da 8 mila a 1.000. Risparmio possibile: 3 miliardi di euro. Il governo Renzi, però, non fa partire il piano e Cottarelli se ne va. Due anni dopo l’esecutivo vara il «Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica» (d.lgs. 175 del 19 agosto 2016), modificato l’anno dopo dal Governo Gentiloni che interviene sui passaggi incostituzionali.
Cosa prevede la leggeCon la nuova legge una pubblica amministrazione può costituire, acquisire o mantenere una società partecipata solo se risponde a ragioni di interesse pubblico o alle proprie finalità istituzionali. Le amministrazioni hanno l’obbligo di vendere, chiudere o accorpare le proprie partecipazioni se sono in società: 1) prive di dipendenti; 2) che hanno più amministratori che dipendenti; 3) che svolgono attività analoghe a quelle di altre partecipate o enti pubblici; 4) che hanno meno di un milione di euro di fatturato medio nei 3 anni precedenti; 5) che hanno quattro degli ultimi cinque bilanci negativi. Prima scadenza fine 2018 e poi verifica anno per anno, con comunicazione dei dati da parte di ogni pubblica amministrazione al ministero dell’Economia e delle Finanze, pena la liquidazione coatta della quota societaria. Questo in teoria, perché poi la pratica è diversa. A partire dalla scadenza che viene prorogata a fine 2021 e poi a fine 2022.
Il 18% degli enti non rispondeCon i dati in suo possesso ogni anno il Mef stila un rapporto. L’ultimo è pubblicato a gennaio 2023 e fotografa la situazione a fine 2020. Le amministrazioni pubbliche con partecipazioni e soggette alla nuova legge sono 12.877. Si tratta di Comuni, Province, Regioni, Città metropolitane, Camere di commercio, ministeri, ordini professionali, università, enti locali del servizio sanitario. Inviano i dati al Mef solo 10.592, il 18% ignora la richiesta. I meno solerti sono i Comuni fino a 50 mila abitanti e gli ordini professionali. Tra gli inadempienti, incredibile a dirlo, c’è il ministero dell’Istruzione che detiene il 20% della Tecnoalimenti di Milano e il 40% della Next Technology Tecnotessile di Prato.
Le amministrazioni pubbliche oggi stanno dentro a 5.260 società, con 39.989 partecipazioni per la maggior parte dirette. C’è di tutto: dall’Aci agli aeroporti, da case editrici a società di servizi pubblici per l’acqua, gestione rifiuti, dalle case di cura alle associazioni culturali, enti di ricerca, società di sviluppo territoriale o di gestione di enti fieristici, fondazioni, cooperative, enti sportivi. Di queste 1.201 risultano inattive o in liquidazione, e il 67% con procedure aperte da oltre 5 anni.
Partecipazioni, il 44% fuorileggeDelle 39.989 partecipazioni il Mef ne analizza 26.821, quelle riconducibili alle 3.240 società costituite prima del 23 settembre 2016 e con 5 bilanci d’esercizio completi. E di queste, il 44,3% non rispetta uno o più parametri previsti per il mantenimento in vita (11.872 partecipazioni). Vediamo ora in quali società hanno investito queste pubbliche amministrazioni. Ce ne sono 559 senza dipendenti. Fra cui la Boniter, che si occupa di gestione immobiliare e partecipata da diversi consorzi di bonifica veneti; oppure la Aeta, partecipata da alcuni comuni piemontesi, che coordina e gestisce altre tre società (Tecnoedil, Alpi Acque e Alse) che si occupano del ciclo idrico. Poi altre 327 società hanno più amministratori che dipendenti, come la Massa Martana Carni al 100% del Comune umbro di Massa Martana; o la Navigo, che fornisce servizi alle imprese del settore nautico, partecipata al 20% dalla Provincia e Camera di commercio di Lucca, e Comune di Viareggio.
Le società in rossoCi sono partecipazioni in 287 società che hanno registrato 4 bilanci negativi negli ultimi 5 anni; e ben oltre la metà degli enti ha inspiegabilmente dichiarato di volerle mantenere attive. Tra queste la Raccordo autostradale Valle d’Aosta al 42% della Regione Valle d’Aosta; la Società autostrada Broni-Mortara, partecipata indirettamente dalla Regione Lombardia; la Giulianova Patrimonio del Comune di Giulianova che gestisce immobili pubblici; la Fanum Fortunae che gestisce l’aeroporto di Fano, di proprietà all’84% del Comune di Fano e Camera di commercio delle Marche e al 16% della Provincia di Pesaro.
Società fuori parametroLa lista continua con partecipazioni dentro a 1.149 società che hanno un fatturato medio nell’ultimo triennio inferiore a 1 milione di euro. Come la Asp che si occupa di fornitura di energia elettrica e gas ed è partecipata all’80% dal comune di Polverigi (Marche). Il Notiziario comunale Appiano-Caldaro, di proprietà al 50% degli omonimi comuni, fatturato medio 490 mila euro; la Campus Reggio, al 100% del comune di Reggio Emilia, che gestisce il mercato all’ingrosso dei prodotti ortofrutticoli di Reggio e si occupa di iniziative per migliorare il consumo e la commercializzazione di frutta e verdura (fatturato medio 497 mila euro); la Serramazzoni Patrimonio, al 100% dell’omonimo comune modenese, gestisce gli immobili di proprietà comunali (fatturato medio 556 mila euro). Secondo la legge le società che gli enti controllano devono essere chiuse o accorpate, negli altri casi le partecipazioni dovrebbero essere vendute. Attenzione: i numeri non vanno sommati perché la stessa società potrebbe avere una o più criticità.
I casi limiteInfine il Comune di Gorizia controlla l’aeroporto Duca d’Aosta, tenuto aperto solo per qualche volo privato; la Regione Campania l’aeroporto di Salerno Costa d’Amalfi, completamente fermo e che in 4 anni ha perso 6 milioni; i Comuni di Verona e Vicenza controllano indirettamente la Agsm Holding Albania che fa anche smaltimento rifiuti a Tirana, che accumula 240 mila euro di passivo, ed è costata, tra capitalizzazioni e investimenti, altri 3,5 milioni.
Le mille deroghe della leggeMa perché le amministrazioni possono mantenere le quote in queste società? Perché la legge prevede un’infinità di deroghe: per le quotate, per quelle che gestiscono un patrimonio immobiliare, fanno sperimentazione sanitaria, gestiscono fondi europei, progettano un’opera pubblica, producono energia rinnovabile o, semplicemente, perché l’amministrazione dice «mi serve per la mia attività istituzionale». Forti anche di ciò che ha scritto nel 2020 la Corte dei Conti nel suo rapporto: le scelte «restano affidate all’autonomia e alla discrezionalità degli enti soci, in quanto coinvolgono profili gestionali/imprenditoriali rimessi alla loro responsabilità».
ClientelismiIn molti casi l’attività della partecipata potrebbe essere svolta dall’ente o andare avanti anche senza la presenza del pubblico. E invece sono centinaia le amministrazioni che mantengono le quote e possono così aggirare il patto di stabilità o piazzare nei consigli di amministrazione le loro clientele ed ex politici. In molti casi non vengono erogati compensi, ma sono comunque incarichi utili a mantenere un sistema di relazioni da giocare sui tavoli della politica locale. Giusto qualche esempio: Massimo Ruggeri, amministratore unico della società che gestisce l’aeroporto di Fano, nominato dal sindaco Massimo Seri, era candidato nella lista civica Noi Città che ha sostenuto lo stesso sindaco. La commercialista Laura Edvige Bordoli, già candidata sindaco di centrodestra al Comune di Como, è nel cda (con retribuzione) della società partecipata Comodepur in liquidazione da 2 anni. All’aeroporto Costa d’Amalfi di Salerno hanno trovato posto nel cda Anna Ferrazzano, consigliere comunale ed ex candidata a sindaco per il centrodestra a Salerno e Domenico Mitidieri (Pd) già sindaco di Lagonegro.
Tirando le fila: con la nuova legge del 2016 dovevano chiudere almeno 3.000 società e invece sono solo 275 quelle messe in liquidazione o per le quali è stata avviata la procedura di chiusura. E riguardano 1.942 partecipazioni: le altre quasi 10 mila sono sempre vive anche se non vegete.