la Repubblica, 27 novembre 2023
Intervista a Anna Netrebko
S’avvicina il 7 dicembre, serata inaugurale della stagione della Scala, e la storia si ripete: spiriti concitati, media in ansia, biglietti esauriti, melomani al varco, gente del governo che si esporrà nell’evento più emblematico di una cultura italica “alta”. Scendono in campo Giuseppe Verdi e la sua opera Don Carlo e il binomio Verdi-Scala equivale a un monumento così nazionale e al tempo stesso mondiale da risultare gigantesco e inscalfibile.
Nella sua Spagna tetra e sontuosa del sedicesimo secolo, Don Carlo parla di politica e religione, ragion di Stato e impulsi individuali, triangoli amorosi e scontri tra il pubblico e il privato. Dirige l’orchestra Riccardo Chailly e il regista Lluís Pasqual dipinge un affresco alla Velasquez. Il folto cast di cantanti è formidabile.
Regina della soirée è la russa Anna Netrebko, soprano senza confronti. Voce da brivido, vigore espressivo, piglio da diva, milioni di follower e carisma ammaliante. Veste i panni di Elisabetta di Valois, che ama Don Carlo ma deve sposare il padre di lui, il re Filippo II. Già protagonista di varie produzioni alla Scala, Anna è una leggenda applaudita nell’intero pianeta. A San Pietroburgo la scoprì il geniale direttore Valery Gergiev, vicino a Putin e ora, dopo l’invasione dell’Uraina, bandito da ogni incarico in Occidente.
Quando cominciò la guerra Netrebko si disse contraria al conflitto ma anche a chi obbliga gli artisti a schierarsi. Non s’è mai pronunciata contro il suo mentore, il che le ha causato problemi coi teatri americani. La nostra intervista esclusiva e preziosa (non ne concede più) avviene a patto di non citare quei temi. Bello prendersi una vacanza dai fuochi e affrontare il ritratto del suo personaggio verdiano.
Anna, può spiegarci il suo ruolo in “Don Carlo”?
“Ogni volta che si affronta un soggetto basato sulla Storia, è necessario sapere come andarono le cose. La vera Elisabetta di Valois aveva 14 anni quando si sposò col re Filippo. Era una regina stupenda e prese iniziative eccezionali. Portò la moda a corte, insieme a un senso di nobiltà e di lusso. Era nota per questo ed è importante conoscere la sua autentica vicenda prima di studiare il personaggio dell’opera verdiana, in cui tutto è diverso perché il racconto ha bisogno di una storia d’amore. Ci vuole un po’ di pepe, giusto? Ma se si conoscono i fatti storici, quell’amore ci rattrista perché in realtà non c’è mai stato. Penso che sia il motivo per cui la magnifica musica di Elisabetta, soprattutto la sua, ci colpisce ancora di più: potrebbe esserci stato qualcosa che l’Elisabetta esistita veramente avrebbe potuto immaginare ma non si è mai realizzato. Per creare la mia interpretazione, ho dovuto cambiare completamente il colore della mia voce, i miei movimenti e il mio temperamento. Sono diventata una persona diversa. È una grande sfida per me, ma mi piace. Sono molti gli aspetti che determinano la difficoltà del ruolo. La linea vocale di Elisabetta è spesso raddoppiata dagli strumenti a legno, il che significa che il timbro vocale della cantante dev’essere sempre molto ricco e bello. La musica richiede frasi lunghe lunghe, con pianissimi fluttuanti, una voce centrale ricca e la presenza di note gravi. Ho lavorato per ottenere tutto ciò e tra pochi giorni il mio lavoro sarà completo”.
Elisabetta accetta di sposare Filippo II rinunciando all’amore per Don Carlo. È rassegnata all’infelicità?
“All’inizio Elisabetta avrebbe dovuto sposare il figlio di Filippo, Don Carlo, ma Filippo decise di volerla sposare lui stesso. Non credo che ci sia stato un amore tra Elisabetta e Don Carlo, che era molto strano. Soffriva di epilessia e aveva problemi psicologici. Forse è per questo che il re Filippo decise di non far sposare con suo figlio quella ragazza affascinante e volle sposarla lui stesso. Filippo aveva solo 32 anni. Non era anziano come nell’opera. Elisabetta visse un matrimonio felice e morì a 23 anni dopo aver dato alla luce il sesto figlio. Don Carlos morì in prigione pochi mesi prima di lei. Alle donne non era permesso di sperimentare in pieno la loro vita sessuale neppure coi mariti per via delle proibizioni della Chiesa. Soprattutto nell’alta società, le nozze erano combinate e le donne venivano informate su chi avrebbero dovuto sposare e per quale ragione. Qualsiasi sentimento o pensiero contrario a quest’accordo era inaccettabile. Le donne erano contente di sposarsi e di compiere il loro dovere per il paese. Oggi, almeno in Europa, i matrimoni combinati non esistono più”.
Elisabetta sembra nascondere il suo sacrificio in un atteggiamento regale distaccato, senz’abbandonarsi alla disperazione. Perciò alcuni musicologi parlano di un ruolo che rischia l’uniformità. È d’accordo?
“Non parlerei di sacrificio. Non dobbiamo guardare la trama da una prospettiva moderna. Non credo che funzioni così. Per esempio, in un’epoca diversa da quella dell’Inquisizione non si potrebbe presentare un’Autodafé come celebrazione pubblica. Invece in quel periodo lo si faceva”.
Lei ha lavorato più volte con Riccardo Chailly. Può parlarci della vostra intesa?
“Ho avuto la fortuna di collaborare col maestro Chailly in molte produzioni meravigliose. È il tipo di persona che sa cosa vuole e lo ottiene. Bisogna solo fidarsi di lui e ascoltarlo”.