Corriere della Sera, 27 novembre 2023
Intervista a Luciana Savignano
«Sono rimasta l’ingenua che crede che siano tutti buoni e gentili. Preferisco pensare positivo e continuare a sentirmi come la luna che appare e poi si eclissa, distaccata dal mondo». Il 30 novembre Luciana Savignano compie ottant’anni (invisibili) e un po’ si sorprende. Nello sfaccettato mondo del balletto, da sempre fa categoria a sé, un’antidiva che incarna il lato più misterioso della danza, seducente e ieratico, grazie a un corpo sinuoso che l’ha candidata a una visione moderna di cui è stata musa per Maurice Béjart che per lei creò l’assolo La Luna e le affidò il suo cult Boléro.
In una carriera tra la Scala, il glorioso Ballet du XX siècle a Bruxelles di Béjart, con gli impalpabili costumi di Gianni Versace, e il Teatro Franco Parenti di Andrée Ruth Shammah nell’intesa con la coreografa Susanna Beltrami, l’étoile milanese va in scena ancora oggi con discrezione, «per amore» dice lei, in una vita itinerante tra le case di Milano e Torino che divide con il marito medico Carlo Bagliani e l’akita Kalù.
Ha un corpo bionico dopo una vita sulle punte. Eppure, il balletto logora in una convivenza quotidiana con il dolore fisico.
«A quello sono abituata. La danza classica ti squarta, ti tortura, poi il corpo presenta il conto. Ogni mattina mi ascolto e lascio scivolare addosso gli anni».
All’apice della sua carriera era tra Carla Fracci e Liliana Cosi...
«Sono stata fortunata: per i miei ruoli, non avevo una “supplente”, li ho danzati solo io, non come adesso che ci sono più cast, ma non tutti possono affrontare lo stesso repertorio. Con Fracci e Cosi c’è sempre stato rispetto, ognuna aveva un proprio spazio. Dalla Fracci ero diversa anche dietro le quinte: alla Scala avevo il camerino vicino a Carla, lei arrivava con il suo seguito di bagagli e segretaria, io, tapina, con una sacca e mi arrangiavo da sola».
La carriera della Fracci è stata amplificata dal supporto del marito regista Beppe Menegatti, un mago della comunicazione. Lei non ha avuto neppure un portavoce.
«L’artista dovrebbe bastare a sé stesso. La Scala ha festeggiato i miei 50 anni non su mia richiesta: è stata una raccolta di firme a pretenderla».
Ha fatto scandalo dal primo ruolo: la prostituta in calze nere del «Mandarino Meraviglioso» di Mario Pistoni. Cosa voleva dire fare scalpore alla Scala nel 1968?
«Si può fare scandalo in maniera elegante. Creare un punto di rottura mandando un messaggio. Pistoni mi preferì alla procace Elettra Morini perché avevo una sensualità più intrigante. Un corpo velato è sempre più affascinante di uno nudo».
Sensualità
Si può fare scandalo in modo elegante: un corpo velato è sempre più affascinante di uno nudo
L’allora sovrintendente Ghiringhelli, però, cancellò il «Mandarino» nelle recite estive al Castello Sforzesco.
«L’ho rimosso. Il soggetto era scabroso, non certo io».
L’incontro con Béjart?
«In ascensore, mi guardò incuriosito. Mi ha sempre lasciata libera di assecondare il mio istinto, senza dover eseguire i passi alla lettera. Non sono una ballerina canonica».
Tra i vari partner, ha ballato con Jorge Donn e Rudolf Nureyev.
«Donn si autodistrusse per l’amore per Béjart. Con Nureyev ballai in Poema dell’Estasi di Petit, voleva dominare, ma io lì ero la Morte».
La tv l’ha mai tentata?
«Con Paolo Bortoluzzi avevo fatto il programma Sotto le stelle sulla Rai. Però la tv è un mezzo freddo, non ha il calore e la verità del teatro».
Il direttore del ballo della Scala Manuel Legris le ha chiesto di insegnare «La Luna» alla neo-étoile Nicoletta Manni.
«Non è un semplice assolo, piuttosto è un abito cucito su di me che racchiude un mondo artistico. Ma la danza è anima e viaggia nel tempo».