la Repubblica, 27 novembre 2023
Gnecco er Matriciano
L’unico successo della cultura di destra è il suono romanesco che il nuovo potere ha imposto al Paese, la parlata strascicata di Giorgia Meloni. A Chigi “l’italiano sfatto”, come diceva Moravia, è quello delle interiezioni, “daje” alla fine di ogni frase e “stacce”, “stai manzo”, “m’arimabarza”, “t’accolli”. Così lo staff, da Giovanna Ianniello a Patrizia Scurti, e uscieri e portaborse, il cognato Lollobrigida che pare Gnecco er Matriciano e ovviamente Arianna, moglie e sorella romanaccia. Di quel mondo prossimo venturo che nell’aprile scorso fu immaginato dagli “Stati Generali” della Cultura, diretti dal ministro Sangiuliano, null’altro si è ancora imposto come dominio condiviso. La Rai, espugnata, precipita negli ascolti. La destra occupa tutte le poltrone, perché “è lo spoils system, bellezza”, ma sinora sembra l’egemonia dei tontoloni. Imejointellettuali di destra sono gli stessi da decenni, Guerri, Cardini, Veneziani, Tarchi… e finalmente con la Biennale vedremo all’opera Pietrangelo Buttafuoco. Non ci sono nuovi scrittori, registi, pittori, attori e professori. È un flop Pino Insegno, ed è un mezzo flop il Comandante Favino. È naufragata in una buffa velleità, non di egemonia ma di mitomania culturale, la celebrazione delSignore degli anellicome mito fondativo della “Signora Giorgia degli anelli”. È bella, al Maxxi di Giuli, la mostra su Jacovitti, un genio del fumetto che però ce l’aveva fatta già negli anni più gramsciani. Ridicolo è stato l’assalto a Dante sulla scia dell’inno Giovinezza: “La vision dell’Alighieri oggi brilla in tutti i cuor”. È segnata dal macchiettismo la crociata contro l’inglese di Rampelli. Sono penose le battaglie sul sovranismo alimentare. Non ci sono a destra storici dell’alimentazione made in Italy: i libri di riferimento sono ancora e sempre quelli di Elisabetta Moro e Marino Niola. E non ha portato fortuna al filosofo coreano Byung-Chul Han la citazione di Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura, che lo celebrò come l’Habermas della destra. Indimenticabile la preghiera der Mollicone: «L’Italia è mio padre, l’Italia è mia madre, ho gerarchie d’amore, vorrei che l’Italia fosse dei miei figli e voglio che resti Italia».
Davanti a quest’intruglio, si capisce perché il più applaudito sia ancora Pingitore, quello del Bagaglino, chiuso nel 2011, dove pure Berlusconi si romanizzava tra Pippo Franco, Oreste Lionello e Pamela Prati nel ruolo della donna serpente.
Quella sì che era egemonia culturale di destra, la trippa dell’umorismo italiano. A orchestrare l’intonazione, che non è il bonario dialetto dei compiaciuti difetti nazionali, da Belli ad Aldo Fabrizi, da Trilussa a Sordi, da Petrolini a Proietti, da Manfredi a Verdone, ma è solo una pronuncia, una “calata”, come la chiamava Tullio De Mauro, c’è er fidato Fazzolari, che dirige anche il ciociaro Tajani e Rampelli, Abodi, Isabella Rauti e “anvedi “Durigon… sino al Tg1 di Chiocci, più romano del Rugantino.