il Giornale, 26 novembre 2023
Riscoprire Barres
All’inizio degli anni Settanta lo storico israeliano Zeev Sternhell nel volume Maurice Barrès et le nationalisme française (1972) avanzò la tesi poi ripresa e sviluppata in altre sue opere, da La droite révoluttionaire 1885-1914 (1978) a Ni droite ni gauche. L’ideologie fasciste en France (1983) secondo la quale il grande scrittore francese, Maurice Barrès appunto, sarebbe stato il padre spirituale non solo del fascismo francese ma anche di tutti i fascismi del secolo XX.
Per quanto suggestiva e supportata da finezza argomentativa, tale tesi appare forzata se non altro per il fatto che Barrès, nato nel 1862 e morto nel 1923, non ebbe modo di conoscere il fascismo se non nella fase iniziale. È vero, comunque, che proprio a partire da quell’epoca la sua fortuna letteraria declinò e le sue opere, una volta celebratissime, subirono un processo di rimozione.
Solo adesso, in vista del centenario della morte che cade il 4 dicembre, la situazione sembra cambiare. È appena uscito, per esempio, a cura dell’accademico di Francia Antoine Compagnon il volume À l’ombre de Maurice Barrès (Gallimard, pagg. 174, euro 18) che raccoglie contributi di illustri studiosi, tra i quali Michel Winock, autore di importanti ricerche sugli intellettuali nel XIX secolo. Lo scopo è proprio quello di far recuperare a Barrès il posto che gli compete nel Pantheon della letteratura francese ed europea. Che egli fosse il centro attorno al quale ruotava l’intellettualità francese del suo tempo lo dimostrano gli attestati di stima rilasciati nei suoi confronti. Ne ricordo, a titolo esemplificativo, soltanto uno, quello di Marcel Proust, il quale, nel 1909 confidò a Madame de Noailles, una «immensa ammirazione per il talento di Barrès» unita ad una «umana simpatia, viva, cordiale, quasi affettuosa».
Nato da una famiglia di agiata borghesia in una piccola cittadina lorenese sulle rive della Mosella, in territorio sempre conteso fra mondo francese e mondo germanico, Barrès, da bambino, assistette al drammatico epilogo della guerra franco-prussiana del 1870 che vide le armate francesi sconfitte a Sedan e non dimenticò mai quelle giornate. Compiuti gli studi, prima a Nancy e poi a Parigi, si affermò come intellettuale nel quale sedimentavano, in singolare sincretismo, pulsioni decadentistiche e suggestioni positivistiche. C’erano in lui echi dell’estetismo immaginifico di Gabriele d’Annunzio, delle inquietudini esistenziali di Miguel de Unamuno nonché delle pulsioni superomistiche di Friedrich Nietzsche e dell’afflato romantico di Victor Hugo e Jules Michelet. Ma c’erano, pure, le rassicuranti certezze basate sul positivismo. Grande influenza ebbero, nella formazione della sua concezione della storia e della politica, Ernst Renan con la sua corrosiva critica sociale e, soprattutto, Hyppolite Taine, la cui opera sulle Origini della Francia moderna, impietosa nei confronti della Rivoluzione Francese, avrebbe lasciato un segno indelebile su un’intera generazione. La sua visione della vita, che ruotava attorno alla valorizzazione dell’io, Barrès la trasfuse nei tre romanzi che compongono la trilogia Le culte de moi e precisamente Sous l’oeil des barbares (1888), Un homme libre (1889) e Le jardin de Bérénice (1891). Un’eco italiana di tale visione è rintracciabile, più che in D’Annunzio cui egli fu legato, in un singolare scrittore proto-futurista, Mario Morasso, la cui teoria politica, l’egoarchia, ha molti punti di contatto con le idee dello scrittore francese.
Mentre si affermava nel campo delle lettere, Barrès si impegnò in politica militando fra i seguaci del generale Georges Boulanger, sostenitore di una svolta antiparlamentare, plebiscitaria e socialisteggiante. Quando scoppiò l’Affaire Dreyfus, si schierò tra gli anti-dreyfusardi vedendo nel capitano di origine ebrea accusato (ingiustamente) di spionaggio un simbolo del processo di disgregazione nazionale che favoriva l’ascesa della nemica Germania. Da quel momento in poi la sua attività letteraria assunse tono e dimensione sempre più politici ispirati a un forte patriottismo o, meglio, a un sentimento nazionalista, testimoniato dalla trilogia L’Énergie nationale comprendente i romanzi Les deracinés (1897), L’appel au soldat (1900) e Leurs figures (1902), i quali, già nei titoli, richiamano elementi tipici del nazionalismo barresiano, dall’attaccamento alla terra al plebiscitarismo. Non a caso, come osserva Winock nel suo bel saggio, Barrès, proprio per questi temi, può essere considerato «inventore del nazionalismo francese»: un nazionalismo che, peraltro, teorizzò in Scènes et Doctrine du Nationalisme (1902). A questi romanzi politici fece seguito La colline inspirée (1913), che Marguerite Yourcenar definì un «grande libro» per molti versi «sconvolgente» perché metteva insieme «il mondo invisibile e quello della realtà contadina». Durante la Grande Guerra, poi, Barrès sostenne con forza le ragioni dei combattenti al punto da essere polemicamente definito da Romain Rolland «l’usignolo della carneficina».
L’incontro con Charles Maurras fu importantissimo perché, pur non aderendo mai al credo monarchico del fondatore dell’Action Française, egli ne subì, come gran parte dell’intellettualità francese del tempo, la fascinazione. Peraltro, rispetto al «nazionalismo integrale» di Maurras, basato sul tentativo di modernizzare le posizioni controrivoluzionarie e fare una sintesi delle tradizioni politiche della destra francese, il «nazionalismo» di Barrès era tutt’altra cosa: un patriottismo potenziato e fondato sull’accettazione di un destino comune a tutte le generazioni la «terra» e i «morti» succedutesi nel tempo. Anche dal punto di vista istituzionale le due posizioni differivano molto perché all’ideale monarchico Barrès opponeva una soluzione istituzionale plebiscitaria, antesignana, in certo senso, del futuro gollismo.
All’origine della rimozione di Barrès del quale fino agli anni sessanta erano disponibili persino edizioni tascabili di sue opere ci furono, come si è detto, l’accusa di precursore del fascismo e quella, conseguente, di antisemitismo. Ma andrebbe ricordato, a tal proposito, che, dopo la conversione al cattolicesimo, egli nel volume Les diverses famiglies spirituelle de la France (Le diverse famiglie spirituali della Francia, 1917) rivide in maniera radicale il giudizio sugli ebrei e li affiancò a tradizionalisti, protestanti e socialisti come una delle quattro famiglie espressioni del genio francese.
Al di là, comunque, degli ostracismi politici rimane il fatto che Barrès è stato davvero uno dei maggiori e più influenti scrittori francesi del Novecento: nei suoi confronti tanti autori, di ogni colore politico da Jacques Maritain a Georges Bernanos, da Henry de Montherlant ad André Malraux, da François Mauriac a Louis Aragon hanno riconosciuto di essere debitori. Basterebbe questo a decretare la necessità di una sua «riscoperta».